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sabato 28 aprile 2012

Vendicatori, è quasi l’ora

The Avengers (2012, di Joss Whedon)
 Ci siamo quasi. Con la speranza che la febbre mi sia passata, il momento di The Avengers (2012, di Joss Whedon), è quasi arrivato. 


Prima di ciò, nella giornata della festa dei lavoratori mi diletterò con Woody Allen. Precisando che non sono stato per nulla entusiasta di Midnight in Paris (2011), film che si è aggiudicato l’Oscar come miglior sceneggiatura originale (…), temo che To Rome with Love non mi farà uscire troppo soddisfatto. 

Comunque, l'ultima parola la lascio allo schermo. Fui scettico anche su Carnage (2011) di Roman Polanski, e oggi lo reputo una delle migliori pellicole degli ultimi anni. Ma torniamo ai supereroi. Il film giusto al momento giusto. Con il sangue ingolfato dal veleno dello scorpione astrale, il sentimento di vendetta è qualcosa che conosco molto bene. Ignorarlo? Impossibile. Il malvagio Loki (Tom Hiddleston) è l’emblema dell’ingiustizia. 

A lui e il suo esercito si opporranno in quattro. Tutti con personalità diverse. Tutti con i propri demoni interiori. Una sfida al nostro stesso egoismo. Mettere da parte qualcosa di noi stessi, e fare scudo e spada insieme. Forse non lo faranno, non lo so. Ma di sicuro ci proveranno Thor (Chris Hemsworth), Captain America (Chris Evans), Iron Man (Robert Downey Jr.) e Hulk (Mark Ruffalo).

Giovedì sera. Cinema Excelsior. In questo caso aggiungo volentieri 2,50 euro per vedere il 3D. Poco più di 36 ore dopo, e sarò in partenza per Roma. L'adrenalina giusta per andare a conquistare la capitale.

venerdì 27 aprile 2012

Colin Firth in difesa della tribù Awá

Lido di Venezia (Ve), Colin Firth alla 66° Mostra del Cinema di Venezia © Biennale foto ASAC
L’attore premio Oscar Colin Firth ha aderito alla campagna di Survival per salvare la tribù più minacciata del mondo, i nativi brasiliani Awá .

"Molti Awá sono ancora incontattati e stanno fuggendo per salvarsi la vita" ha commentato "Ma c’è un uomo che può fermare i taglialegna: il Ministro della Giustizia brasiliano. In questo momento non è una sua priorità. Facciamo in modo che lo diventi".

È stato l’arrogante Lord Wessex di Shakespeare in love (1998, di John Madden). È stato due volte l’impacciato Mark Darcy, fidanzato dell’eterna insicura Bridget Jones. Si è dato al musical con Meryl Streep in Mamma mia! (2008, di Phyllida Lloyd). È stato il professore omosessuale George Falconer nel debutto cinematografico dello stilista Tom Ford, A Single Man (2009), film presentato alla 66° Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia e dove l’attore inglese si è aggiudicato la Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile. 

Appena due anni fa ha vestito i panni del balbuziente Re Giorgio VI in The King’s Speech (2010, di Tom Hooper) e ha vinto il premio Oscar. Che Colin Firth (Grayshott, 1960) sia un grande attore, non lo so si scopre certo oggi. Che fosse anche un grande uomo, neppure.

In più di una occasione si è mobilitato per cause umanitarie, offrendo inoltre il proprio sostegno alla campagna globale della Oxfam, Make Trade Fair. A fianco di un grande uomo c’è sempre una grande donna. È il caso anche di Colin, che nel 1997 è convolato a nozze con la produttrice e regista italiana Livia Giuggioli

I due insieme hanno fondato nel 2006 la società di produzione Nana Productions, che ha fatto il suo debutto con “In Prison My Whole Life”, pellicola che apre i riflettori sulle falle delle operazioni processuali ai danni dell’attivista politico Mumia Abu-Jamal, accusato nel 1981 di aver ucciso il poliziotto Daniel Faulkner. Livia inoltre è la direttrice creativa di Eco Age, il primo negozio ecologico ed etico a Londra, co-fondato con il fratello Nicola.

Da anni Colin Firth sostiene l’ong Survival. Oggi, la situazione nell’Amazzonia Brasiliana è preoccupante. Le terre della piccola tribù degli Awá sono state invase da un esercito di coloni, allevatori e taglialegna illegali. Nella sezione speciale del sito di Survival dedicata alla campagna, una grafica mostra la devastante avanzata della distruzione, che sta procedendo più veloce che presso qualsiasi altra tribù amazzonica. La situazione è diventata talmente critica che molti esperti brasiliani parlano già di “genocidio” ed “estinzione”.

Oggi gli Awá usciti dall’isolamento sono 360. Molti di loro sono i sopravvissuti di massacri brutali. Ma l’organizzazione pensa che altri membri della tribù siano tuttora incontattati, nascosti nella foresta, alla ricerca disperata di un rifugio che li possa salvare dal disastro incombente. Colin Firth non ci sta, e ha lanciato il suo appello per una campagna che mira a convincere il Ministro della Giustizia brasiliano a mandare la polizia federale ad espellere i taglialegna, i coloni e gli allevatori, e a tenerli lontani per sempre.

Stanno tagliando la loro foresta illegalmente, per il legno. Quando i disboscatori li vedono, li uccidono, spiega l’attore nel suo appello, Archi e frecce non hanno chance contro i fucili. E come altre volte nella storia, potrebbe finire tutto lì. Un altro popolo cancellato dalla faccia della terra, per sempre. Ma possiamo far sì che il mondo non lo lasci accadere

Gli fa eco Stephen Corry, direttore generale di Survival: “Se saremo in tanti a dimostrare di tenerci, in Brasile come nel resto del mondo. I bambini Awá potranno diventare adulti, e crescere in pace sulle loro terre. Lo abbiamo già visto succedere, più e più volte, ovunque”. Per info, http://www.survival.it/awa

Brasile, la tribù degli Awá © Survival
(da sx) Tom Ford, Juliette Binoche e Colin Firth al Lido di Venezia © Biennale foto ASAC
Brasile, la tribù degli Awá © Survival

giovedì 26 aprile 2012

Una spia non basta per Reese Whiterspoon

Una spia non basta - la bellissima Lauren Scott (Reese Whiterspoon)
Sempre più incantevole la premio Oscar Reese Witherspoon nel film Una spia non basta (2012, di McG) in compagnia dei maschiacci Tom Hardy e Chris Pine.

di Luca Ferrari

Va bene, lo ammetto. Da quando ho iniziato ad andare al cinema per fare qualcosa di più di passare due ore del mio tempo libero, ho sempre cercato una cosa. Vedermi uno spettacolo interamente da solo. A dispetto di una media di 40 film annui davanti al Grande Schermo, ancora non ci sono riuscito. E dire che le condizioni, ci sarebbero tutte.

Le proiezioni cui partecipo sono al 95 per cento condensate tra il lunedì e giovedì, in particolare i primi due giorni della settimana. E anche nella mia ultima incursione, Una spia non basta (This Means War), di McG con protagonisti Tom Hardy, Chris Pine e l'incantevole Reese Witherspoon, non ho raggiunto il mio obbiettivo. Cosa normale visto che sono andato questa volta di sabato. La spiegazione è presto detta. Era il primo weekend della coppia Allen & Benigni. Nelle mie previsioni tutti sarebbero andati lì, lasciandomi tranquillo. Così è stato.

Quando infatti sono passato dinnanzi al cinema in cui lo proiettavano, proprio nel momento in cui la gente iniziava a sfollare, un polveroso e scomposto ciarlare ha provato a investirmi. Pur senza lo scudo di Capitan America (che voglia di The Avengers, maremma celluloide) per proteggermi, sono rimasto concentrato su quanto io avevo appena visto. 

Una commedia rilassante, dove la biondissima Reese presta bellezza e sex appeal a Lauren Scott, decisa a rimettersi in carreggiata nella propria vita sentimentale, e in questo viene aiutata dall’amica fedele Trisha (Chelsea Handler). 

Se nel romantico Se solo fosse vero (2005, di Mark Waters), la bella Elizabeth (Reese Whiterspoon) aveva lo stesso problema sociale ma gli sviluppi della sua vicenda erano a metà strada tra la vita e la morte, qui la protagonista si dimena tra due bellocci agenti della CIA, Tuck Henson (Tom Hardy) e Franklin Delano Roosevelt "FDR" Foster (Chris Pine). Ne emergerà un conflitto tra i due colleghi-amici per la pelle molto Otelliano, con l’inevitabile happy end e la scelta della fanciulla verso uno di loro senza che questo sancisca alcuna fine. Anzi, l’esatto contrario.

Esilarante i modi in cui ciascun agente speciale cerca di sabotare gli appuntamenti dell’altro con la pulzella. Il pezzo migliore di queste gag resta sicuramente quando Tuck è in macchina con Lauren al volante di un auto d’epoca e si accorge che un aereo spia modellino li sta seguendo, con tanto di telecamera. Il dito medio che gli mostra seguito da colpi di pistola per spazzare via il nemico, è fenomenale.

Una spia non basta - Foster (Chris Pine), Lauren (Reese Whiterspoon) e Tuck (Tom Hardy)

mercoledì 25 aprile 2012

Più che Supercinema, a me pare supergossip

il gossip fa schifo!
Ho letto cose…a dir poco nauseanti”. Dalle pagine del mensile Best Movie ho appreso della nascita di Supercinema, programma  televisivo in onda in seconda serata il venerdì su Canale 5.

di Luca Ferrari, ferrariluca@hotmail.it
giornalista/fotoreporter – web writer

Premetto che grazie al sistema digitale, le reti Mediaset non le vedo. Non che la cosa m’importi assai, ma è tanto per spiegare che non ho una visione diretta. Ragion per cui mi baserò esclusivamente sulle parole della rubrica “Ho visto cose…”, pubblicata sul suddetto magazine, per mano del diretto interessato e co-autore del programma, il giornalista-scrittore Antonello Sarno

Nel prevedibile tirare acqua al proprio mulino, sono rimasto inorridito nel leggere questo: “Bene, noi andiamo a guardare anche oltre l’ufficialità, dove il fascio di luce dei riflettori non arriva. In quella zona d’ombra in cui muore in una stanza d’hotel Whitney Houston, dove Demi Moore viene ricoverata per overdose, in cui George Clooney si dichiara depresso e alcolizzato”.

Domanda legittima sig. Sarno: ma che c’entra tutto questo con il cinema? Il rispetto per la vita privata è una materia che non s’insegna dalle sue parti? È possibile che il giornalismo debba necessariamente confluire nel pettegolezzo?

Qualche tempo fa rimbalzò su tutti i quotidiani la telefonata disperata della protagonista di Ghost (1980) in preoccupante stato di alterazione, e subito ci fu la caccia al titolo, e sparare in copertina paroloni ad effetto come “rehab”, “overdose”, etc. Svendere la vita degli altri, non è giornalismo. E finiamola una buona volta con la cazzata del “sono personaggi pubblici”. No, non lo sono. Sono persone come tutti gli altri. E hanno gli stessi diritti di rispetto di privacy. E sotto questo punto dovrebbero farci un pensierino anche quegli editori che autorizzano la pubblicazione di spazzatura, svendendo le fragilità umane.

martedì 24 aprile 2012

Elizabeth: The Golden Age - alzati, combatti e vinci

Elizabeth: The Golden Age
Prima lo sconforto, poi la reazione, la battaglia e la vittoria. La regina Elizabeth I (e annessa Golden Age) si alzò in volo e piegò l'aggressore. 

di Luca Ferrari

Era la fine del XVI secolo quando il dominio di Filippo II di Spagna, nel nome della Guerra Santa, sembrava incontrastato. Un solo monarca rispose no e osò ribellarsi. Lottò per la libertà di culto del proprio popolo e quella nazionale. Senza farsi intimorire da un nemico più potente. Lei è Elisabeth (I) e quello era The Golden Age (2007, di Shekhar Kapur). 

Di fronte all’ennesimo e provocatorio avvertimento dell'Invincibile Armada, la regina Elizabetta (Cate Blanchett), supportata dal sempre fedele consigliere Sir Francis Walsingham (Geoffrey Rush) e dal corsaro Sir Walter Raleigh (Clive Owen) non abbassò la testa. Guardò la belva diritta negli occhi e rispose sprezzante: Posso comandare anche i venti, signore! Ho un uragano dentro di me che raderà al suolo la Spagna. Che vengano anche con l’esercito dell’Inferno. Non passeranno! 

Il trailer di Elizabeth: The Golden Age

Elizabeth: The Golden Age - la regina Elisabetta (Cate Blanchett)

domenica 22 aprile 2012

Cineluk 16-21 aprile, cosa m’illumini cinepresa

Intrattenitore, imbonitore o qualcosa di più di una mera lettura della realtà? Il cinema coraggioso, capace di arrivare in tutti i continenti, è una voce fuori dal coro. Produzioni indipendenti ergono le loro produzioni di dissenso, ma si sente ancora troppo poco. Censura preventiva, livellamento culturale o la tragica idea che non dobbiamo capire cosa stia succendo. Le prigioni si formano nei posti più strani. Volere è potere è un motto che manca del verbo finale.

Sul blog CINELUK - il cinema come non lo avete mai letto

17.04.12 - “Da Roy Scheider, Drew Berrymore e Harrison Ford, a Paperon de’ Paperoni, Gastone e Paperino. Lì nel mezzo, anzi, dietro la macchina da presa, sempre lui. Anche se in questo caso, nella storia disneyana "Paperinik divo del cinema", diventa Luke Splitberg” … online su Cineluk: Steven Spielberg, ciak a Paperopoli

18.04.12 - “Nella 6° sesta serie della celebre sitcom, nella sorella minore di Rachel (Jennifer Aniston), interpretata dalla futura premio Oscar, s’intravede già il “seme” di Elle Woods, protagonista di La rivincita delle bionde (2001) e Una bionda in carriera (2003)” ... online su Cineluk: Reese Whiterspoon, legally Friends

19.04.12,  "This Means War" e "Bel Ami" mi attirano. Temo i luoghi comuni di "To Rome with Love", e "che palle" nel vedere per l'ennesima Johnny Depp fare lo sballato. Per "The Avengers", attendo Hulk e Locki. Su Titanic 3D, forse una rinuncia ma con sorpresa” … online su Cineluk: Cinema su cinema - Spie, monotonia e Vendicatori

20.04.12 - “Era il 15 marzo 1998. Una domenica. Due giorni dopo sarei salito a bordo per la seconda volta. Ancora insieme a loro. Jack Dawson (Leonardo DiCaprio) e Rose DeWitt (Kate Winslet). Sul Titanic (1997) di James Cameron. Una fotocopia sbiadita mi ha fatto pensare che dovrò fare di più del guardare un'imbarcazione sparire nell'orizzonte” ... online su Cineluk: The Titanic Diary

21.04.12, “Anche se ti chiami George Clooney o Nicolas Cage, non è facile realizzare film "impegnati". La musica sa osare di più. Fiorella Mannoia, insignita del premio Amnesty Italia 2012 per la canzone "Non è un film" scritta da Frankie HI-NRG, parla d'immigrazione attaccando duramente la propaganda elettorale che usa gli immigrati per diffondere l'antico germe dell'odio razziale” … online su Cineluk: Fiorella Mannoia, l'immigrazione on è un film

sabato 21 aprile 2012

Fiorella Mannoia, l'immigrazione non è un film

la cantautrice romana Fiorella Mannoia
La musica sa osare più del grande schermo, specie in Italia. I grandi artisti come Fiorella Mannoia hanno ancora il coraggio di parlare forte e chiaro. 

di Luca Ferrari

Fiorella Mannoia, insignita del premio Amnesty Italia per la canzone scritta da Frankie HI-NRG, Non è un film, è un fulgido esempio dell'artista impegnato. Il cinema di grido nostrano, molto meno. Troppo legato al botteghino. Nel Bel paese come oltreoceano. E chi vuole fare film d'interesse umanitario che toccano nervi scoperti della “perfetta società occidentale”, anche se ti chiami George Clooney o Nicolas Cage, la strada diventa un calvario in salita. 

Produttori e case di distribuzione si tirano indietro. In Italia si va ancora avanti con fiction sulla mafia senza mai attaccarla per davvero, anzi. Mostrando talvolta quei galantuomini come gente pure di un certo rispetto. Quanto bisognerà aspettare perché registi nostrani di fama internazionale puntino la telecamera sul razzismo dilagante? La commedia ha sempre la meglio. Beh, forse non c’è molto da ridere. 

E che dire della disarmante situazione dei raccoglitori di agrumi in Puglia, cosa già denunciata da Medici Senza Frontiere nel 2005? Dove sono i Nannni Moretti? Persi dietro concetti esistenziali o troppo impegnati a raccontare le gesta di qualche pagliaccio (psiconano) scambiato per ministro o qualcosa di più?

“Ho sempre appoggiato le cause promosse da Amnesty International e ricevere questo premio mi onora” ha dichiarato Fiorella, “Quando ho contattato Frankie per questo mio ultimo progetto intitolato Sud, gli ho fatto una richiesta ben precisa. Volevo che toccasse il tema dell’immigrazione. Ne parlammo e ci scambiammo le nostre idee.

Concordavamo sul fatto che stiamo vivendo un momento storico molto delicato in cui una parte del paese, non tutto per fortuna, si lascia influenzare dal terrorismo delle parole (non meno pericoloso del terrorismo delle armi) di una parte della politica che per meri fini di propaganda elettorale usa gli immigrati, non avendo altri argomenti, per diffondere l'antico germe dell'odio razziale, mettendo in pratica l'antica tattica del divide et impera, dimenticando (o meglio, facendo finta di dimenticare) che tutto il benessere dell'Occidente poggia sulle spalle di interi paesi del Sud del mondo, Africa in testa, saccheggiati da una politica predatoria della quale tutti i governi sono responsabili”.

Si osa sempre di meno. La politica è una battaglia persa. Non la Mannoia, che è un fiume in piena. “L'Europa, gli Stati Uniti e ora anche la Cina si spartiscono, oggi come ieri, le risorse di interi popoli, derubandoli indisturbati di tutte le materie prime, cibo compreso. Tutti intenti a divorare a sazietà ma pronti a lamentarsi della puzza della varia umanità che ci occorre, ci soccorre e ci sostenta. Ma di questi argomenti naturalmente la politica non parla”.

“Questo brano racconta la fuga di chi spera di salvarsi da persecuzione e sofferenza attraversando il Mediterraneo a bordo di un’imbarcazione precaria” ha sottolineato  Christine Weise, presidente di Amnesty International Italia, “la vita vera di giovani cittadini africani che cercano umanità e protezione, e trovano spesso razzismo e propaganda. I 1500 morti del 2011, annegati in mare sulla via verso l’Europa, non sono un film, sono veri anche loro. E sono vere le migliaia di vittime della tratta sulle strade italiane, costrette alla prostituzione e accolte come ‘carne fresca’ da clienti che chiudono gli occhi davanti alla propria complicità nel mercato delle schiave”.

Appunto, la prostituzione. È un problema che non esiste. Invece si che esiste, perché anche quello non è un film. È la tragica vita vera.

Non è un film, di Fiorella Mannoia e Frankie Hi-NRG

la cantautrice romana Fiorella Mannoia

venerdì 20 aprile 2012

The Titanic Diary

l'agenda con il biglietto di Titanic al cinema e la fotocopia del singolo My heart will go on

Ci sono film che non finiscono con le luci che si accendono. Ci sono film come Titanic (1997, di James Cameron) che ti scorrono dentro il cuore per l'eternità e oltre.

di Luca Ferrari

"Secondo me, dovresti andare a vedere Titanic. Ti piacerebbe" mi disse Marta C. La conoscevo da poco tempo quella ragazza ma lei mi aveva capito bene e sotto quella solitaria e lunatica scorza hard rock molto simile a un guscio protettivo, aveva ben intuito che quella struggente storia d'amore mi avrebbe potuto contagiare. Le diedi ascolto e domenica 15 marzo 1998 (spettacolo pomeridiano) feci il mio ingresso al cinema Astra del Lido di Venezia.

"Capisco che forse 
ero l’unica persona libera di questa stanza 
nera/… L’unico che uscito dai sogni 
cercherà la realtà della propria 
vita/ Non sono ancora pronto 
per tornare a casa… Temo non lo sarò 
mai... Le loro promesse 
sono il mio vivere quotidiano…Sono 
un te bambino, non scordartelo..."
                                                                l.f

La pellicola era reduce dalla scorpacciata di Oscar ma di questo m'importava poco. Andai e le lacrime sgorgarono al punto da nasconderle sotto il mantello (chiodo nero). Due giorni dopo salii a bordo del Titanic per la seconda volta. Ancora insieme a loro: Jack Dawson (Leonardo DiCaprio) e Rose DeWitt (Kate Winslet). Sul Titanic (1997, di James Cameron). Rivedo tutto questo. Una fotocopia sbiadita mi ha fatto pensare che dovrò fare di più del guardare un’imbarcazione sparire nell’orizzonte.

Titanic. L'inizio della primavera 1998. Fu un anno difficile per me. Troppo, oserei dire. Vedo ancora l’inchiostro tremolante delle mie mani. Se dopo la prima visione vagai senza meta, terminata anche la seconda, sapevo bene dove andare. Presi la bici e pedalai a perdifiato fin davanti al mare. In un punto dell'isola a me molto caro. Salii sugli scogli e a dispetto della stagione, infilai le mani nell'acqua fredda. Respirando il salso e tutta la vita.

Timidi tentativi di apparire meno naufrago. Ho fatto in tempo a conservare una traccia del mio ingresso e poi ero già con l'anima nel salso per essere sicuro che la notte non cancellasse ogni traccia del giorno prima. I sostantivi indicanti il tramonto a colori di una prua, offrono ancora di più una voce a quei delfini più inclini alle lunghe profondità.

I giorni successivi furono un continuo ripensare al film. E quella canzone, My Heart Will Go On di Celine Dion, doveva essere mia. Comperai il singolo e la passai da cd a cassetta per il walkman (che bei rudimentali tempi, ndr). Così eccola in mezzo a Pearl Jam, Skid Row, Megadeth e Nirvana. Già con qualche anno di scrittura di poesie alle spalle, nuove creazioni sgorgarono incessanti. 

"La matita ricalcata voleva lambire il passaggio/... Non so che cosa si possa ancora provare/ Non lo so perché ho rinunciato troppo spesso alla notte/, e ho pronunciato solenni voti di nuovi grovigli/ C’è stato un tempo in cui le onde del mare erano un riflesso sufficiente/ C’è stato un tempo a cui mi affezionavo/, e oggi tutto finisce troppo presto/... Ma se a fine giornata avremo ancora la forza di darne notizia insieme, ecco, questa volta avremo la stessa storia da raccontare" l.f

My Hear Will Go On (OST Titanic, by Celine Dion)

l'agenda con il secondo biglietto di Titanic e i titoli delle poesie ispirate

giovedì 19 aprile 2012

Cinema su cinema: Spie, monotonia e Vendicatori

This Means War (2012)
Devo dire sempre meno rispetto a una volta, ma anche al giorno d’oggi capita che ci siano settimane nel corso dell’anno in cui al cinema non esca nulla di esaltante.

di Luca Ferrari, ferrariluca@hotmail.it
giornalista/fororeporter – web writer

Qualcosa che mi faccia fare piazza pulita dell’agenda, e gridare qualcosa frasi del tipo – Ok, Grande Schermo, ci siamo solo io e te –. Quello che sta per accedere non rientra invece in questa categoria, poiché sono in arrivo pellicole di cui sto già immaginando la poltrona del cinema su cui mi siederò per vederli, anche se con critiche incluse.

Cominciamo con This Means War, che in italiano è stato tradotto con un curioso Una spia non basta con protagonisti Reese Witherspoon, Chris Pine e il sempre più lanciato Tom Hardy. L'ideale per una serata rilassante. The Rum Diary invece vede per l’ennesima volta Johnn Depp nella parte dello sballato e fatto, per la serie W l’originalità. 
Bel Ami
Non stravedo nemmeno per il nuovo film di Woody Allen, To Rome with Love con Penelope Cruz, Alec Baldwin, Jesse Eisenberg e Roberto Benigni. Spero non si riveli il classico filotto di luoghi comuni, malattia che colpisce quasi ogni regista americano che abbia a che fare con il Belpaese.  

Bel Ami mi intriga di più, se non altro per le similitudini con il mondo contemporaneo, e che vede protagonista Robert Pattinson nel ruolo di latin lover sfruttatore di donne altolocate quali Uma Thurman, Christina Ricci e Kristin Scott Thomas. In arrivo infine The Avengers, dove la mia attenzione sarà tutta per lui: il nuovo Hulk versione Mark Raffalo e Loki (Tom Hiddleston), superbo villain, degno erede del Commodo Phoenixiano.

Chiusura per Titanic 3D. Dopo l’attesa, sto cominciando a meditare di rinunciarci e tenermi gl’indelebili ricordi targati marzo 1998, ma qualcosa è comunque in arrivo. E su questo argomento vi dò appuntamento a sabato 21 aprile.

martedì 17 aprile 2012

Steven Spielberg, ciak a Paperopoli

Paperinik divo del cinema - il regista Luke Splitberg e Paperon de Paperoni © Walt Disney
Paperone ha le mani in pasta in ogni affare. La sua industria cinematografica però va a rilento. Ecco allora arrivare il regista Luke Splitberg con un'ideona: un film su Paperinik.

di Luca Ferrari

Nel lontano 29 aprile 1984, quando Steven Spielberg era già balzato alle cronache per capolavori come Lo squalo, I predatori dell’arca perduta ed E.T. - L'extraterrestre, la creatività targata Disney ci mise lo zampino e con i disegni di Massimo De Vita e i testi dello staff di IF, venne pubblicata una storia speciale, Paperinik divo del cinema.

La vicenda inizia come una delle tante, con il multimiliardario Paperon de’ Paperoni in cerca di un giornale abbandonato nel parco. Deluso per la vana caccia, se ne vede offrire uno nuovo di zecca da uno straniero. A porgerglielo è il regista Luke Splitberg, che ha utilizzato questo stratagemma per avvicinarlo e proporgli una lucrosa (e dispendiosa) idea da Oscar. Fare un film sull’eroe mascherato Paperinik, di cui nessuno conosce l’identità.

Il prescelto, manco a dirlo, sarà il fortunato Gastone. La sceneggiatura però non entusiasma troppo Paperino (…) che, scelto come controfigura del cugino rivale, tiene comunque d’occhio il set. E farà bene. Nella scena dell’assalto al deposito di Paperone, le comparse assunte per interpretare la banda Bassotti assomigliano un po’ troppo ai malviventi originali...

"Steven Spielberg" in Paperinik divo del cinema © Walt Disney
il regista Luke Splitberg e Paperon de Paperoni, da Paperinik divo del cinema © Walt Disney
Luke Splitberg sceglie Gastone come protagonista del suo film - da Paperinik divo del cinema © Walt Disney
il regista Luke Splitberg da Paperinik divo del cinema © Walt Disney
il regista Luke Splitberg da Paperinik divo del cinema © Walt Disney
Paperinik sul set del film con Splitberg, Paperone e Gastone - Paperinik divo del cinema © Walt Disney
Paperinik ne ha da dire sulla sceneggiatura di Luke Splitberg - da Paperinik divo del cinema © Walt Disney

domenica 15 aprile 2012

Cineluk 9-14 aprile, faccio PARLARE il mio sangue

no alla censura
Smarrimento. Ribellione. Un instancabile desiderio di speranza irrompe nell’animo umano. Gli sarà sufficiente per ripiegare le idre della guerra? È un viaggio difficile, e anche lì, nel grande schermo siamo circondati. Il mercante d’armi (e morte) passa dalla realtà al cinema di Nicolas Cage, e ora nuovamente alla realtà di una condanna a cui la “democratica” Mosca si oppone. L’orrore del pestaggio alla scuola Diaz, una tragica pagina di storia italiana che deve ancora trovare giustizia. E in mezzo al troppo sangue versato, c’è ancora chi ha voglia di rispondere con le favole, e con il coraggio di una giovane rispetto a una perfida (…) regina.

Sul blog CINELUK - il cinema come non lo avete mai letto

10.04.12 – “che ingrato, dopo tutte le volte che gli ho salvato la vita! – disse Joe il Biondo, il Buono (Clint Eastwood) a Tuco Benedicto Pacifico Juan Maria Ramírez, il Brutto (Eli Wallach) - Il buono, il brutto, il cattivo (1966, di Sergio Leone)” - Online su Cineluk: Parola di Biondo... il Buono

11.04.12 – “Dalla fine della Guerra Fredda il traffico di armi "leggere" ha raggiunto livelli incalcolabili. Stato e Malavita convivono e incassano felicemente. Caricatori come registratori di cassa. Andrew Niccol dirige il premio Oscar, Nicolas Cage. L'orrore della finzione è poca cosa rispetto all'abominio della realtà” - Online su Cineluk: Lord of War, NOT control Arms

12.04.12 – “Venerdì 13 aprile è il giorno di "Diaz - Don't Clean Up This Blood (2012)". Il ciclo dell’orrore non si risparmia. Siamo tutti sospesi dinnanzi alle azioni di chi sa solo brandire. Adesso è già tempo di dimostrare che tutti abbiamo perduto qualcosa. No, non è andata così. Non è andata così, e lo sapete bene" - Online su Cineluk: Diaz, io ritornerò nella vostra pirite

13.04.12 – “ho visto il mondo prendere la strada del supplizio senza che nessuno capitasse per sbaglio a compiere una nobile impresa/...da che parte si trovano le nuove colonne d’Ercole?” - Online su Cineluk: PERCHÉ NON TU, biancaneve? PERCHÉ NON NOI?

13.04.12 – “Dall'atmosfera di pura e naturale libertà di Into the Wild, alla magia di Biancaneve (Mirror Mirror), passando per il dramma di Romanzo di una strage di Marco Tullio Giordana. Tutto in pochi minuti al cinema Palazzo di Mestre" - Online su Cineluk: Into the Bianca Strage

14.04.12 – “Nella trasposizione cinematografica di Tarsem Singh della celebre favola, con protagonisti Lily Collins, Julia Roberts e Armie Hammer, c’è più un annacquato Shakespeare che non i fratelli Grimm" -  Online su Cineluk: Biancaneve e Julia Roberts amletica

sabato 14 aprile 2012

Biancaneve... e la strega Julia Roberts

Biancaneve - La perfida strega (Julia Roberts) e Biancaneve (Lily Collins)
Fragile Biancaneve (Lily Collins). Amletiana Regina Cattiva (Julia Roberts). Specchio specchio delle mie brame, mostrami un film degno del mio reame.

di Luca Ferrari

Con la magia nera (...) una donna senza scrupoli s’infila nel letto di un re vedovo facendogli perdere la testa e poi trasformandolo in una spaventosa creatura al suo servizio. Ma perché il trono diventi una sua definitiva proprietà deve ancora fare due cose: sbarazzarsi della figliastra e sposare un ricco, e possibilmente affascinante, principe. Sulla sua strada però arriverà uno strampalato gruppo di nani e un impacciato quanto belloccio reale spagnolo. 

Biancaneve (2012 - Mirror Mirror ) è poco più di una favoletta inoffensiva, già sofferente dell'inevitabile confronto con il più romanticamente guerriero Biancaneve e il cacciatore (2012, di Rupert Sanders), in arrivo in estate, con una malefica Charlize Theron, la “neo-vampira” Kristen Stewart e Chris Thor Hemsworth

Diretto dall’indiano Tarsem Singh, Biancaneve non punge proprio. Una storia incapace di decollare e dove la protagonista, aldilà dei duelli che sanno da spettacolo di burattini, pare potersi infrangere da un momento all'altro come cristallo sul pavimento

La giovane Lily Collins presta il proprio candore a Biancaneve. Julia Roberts prova a sviscerare perfidia ma sembra più una semplice vanitosa che non una regina cattiva pronta a tutto. Con abiti a dir poco Elizabethiani, è costantemente seguita dall’impacciato e fedele Brighton (Nathan Lane, visto di recente nei panni del magico Zio Albert del film Lo Schiaccianoci 3D, con Elle Fanning). 

È vero che manda a morte la figliastra nella foresta, ma affidare la missione al suddetto consigliere, sarebbe come chiedere a un agnellino di sbarazzarsi di una gattina. Biancaneve verrà trovata dai classici sette nani, una combriccola di fuorilegge dove spicca il volto noto di Martin Klebba, l’indimenticabile Randall che insieme all’inserviente terrorizzano il povero J.D. (Zach Braff) nella serie televisiva Scrubs.

Dopo la non certo esaltante performance nel festival dei luoghi comuni Mangia prega ama (2010, di Ryan Murphy) e il poco riuscito Larry Crowne (2011, di Tom Hanks), c’era molta curiosità nel vedere Julia Roberts nei panni di una “cattiva”. Il risultato è stato tiepido, per non dire annacquato. 

Quando è nella carrozza reale in procinto di sposarsi, sembra più la giovinetta di Pretty Woman (1990) che non una navigata donna di mondo mangiauomini. E quando gli si presenza davanti, a torso nudo, l’aitante Principe Andrew (Armie Hammer), la sua reazione pare ripescare dall’universo di What Women Want (2000), dove Helen Hunt nei panni di Darcy McGuire si ritrovava involontariamete a curiosare con lo sguardo sul “cavallo” del rivale/collega Nick Marshall (Mel Gibson). 

Ma più che davvero perfida, la regina Robertsiana è una donna alla disperata ricerca della grazia, della ricchezza e della gioventù perduta. E la magia serve fino a un certo punto visto che prima del matrimonio la donna si sottopone a una terribile ed estenuante seduta di trattamenti di bellezza al limite della tortura cinese su tutto il corpo.

Vermi le sfiorano i polpastrelli della dita facendola uscire di testa. Scorpioni, serpenti e altri insetti le camminano attorno l’ombelico e sulla pancia facendole il solletico a più non posso, e perfino escrementi di uccellini spalmati sul volto come maschera di bellezza. Il doveroso prezzo da pagare per essere la più bella del reame.

Pochi gli spunti interessanti se non quello shrekkiano di non giudicare le persone dal proprio aspetto e accettare gli altri. Saranno i nani che insegneranno a Biancaneve ad aquisire la fiducia necessaria per credere in se stessa e affrontare così la Regina e la terribile creatura, che faccia a faccia, non pare stranamente intenzionata a ucciderla.

Ma è il finale a far riprendere quota a una pellicola tutto considerato, modesta. La celebre mela avvelenata arriva anche qui, subito dopo le nozze tra Biancaneve e il principe. Insieme ai fidati amici la ragazza non solo ha imparato a cavarsela nelle avversità e a colpire di spada, ma ha anche a tenere la guardia alzata. E sotto quel cappuccio che le offre il frutto c’è qualcuno di cui non sarebbe il caso di fidarsi. Ma il suggerimento me lo posso anche risparmiare. Biancaneve ha capito tutto da sola.

Il trailer di Biancaneve

Biancaneve - la candida Biancaneve (Lily Collins)

venerdì 13 aprile 2012

Into the Bianca Strage

cinema cinema...
Ho iniziato ascoltando Eddie Vedder e le sue coinvolgenti poesie musicali tratte dal film Into the Wild. Così sono arrivato al Cinema Palazzo di Mestre (Ve), totalmente estraniato (più del solito), e lì mi è successo un fatto strano. Ho letto un articolo che mi ha spiazzato. 

Complice forse un precedente e intenso coinvolgimento pro Diaz - Don't Clean Up This Blood (2012), mi sono imbarcato in un articolo con una lunga intervista al regista Marco Tullio Giordana sul film ancora nelle sale, Romanzo di una strage (2012). Ero andato al cinema  per vedere Mirror Mirror (2012, Biancaneve). Per starmene nel tepore della magia. Senza pretese. E invece mi sono ritrovato catapultato in una realtà giornalistica di sangue e dolore. 

Ho preso appunti, e gli ho dato l’arrivederci. Ieri sera, la mia quindicesima incursione stagionale davanti al grande schermo è stata comunque per Julia Roberts e Lilly Collins ma una cosa è certa. Prima o dopo il Titanic 3D, nel mio gps mentale c’è già il dramma di Piazza Fontana.

PERCHÉ NON TU, biancaneve? PERCHÉ NON NOI?

siamo stati gli indesiderati
per molto tempo

mi sono costruito una casa,
e adesso non
la vorrei proprio abbandonare

ho visto il mondo
prendere
la strada del supplizio
senza che nessuno
capitasse per sbaglio
a compiere
una nobile impresa

da che parte
si trovano
le nuove colonne d’Ercole? Dalla mia ultima caduta
mi è rimasta
solo una fionda in mano
ma sono certo mi sarà sufficiente
per distruggere
ciò che ha saputo  causare molto dolore

siamo tutti qua…ma se vi
aspettate che inghiotta
quanto offertomi
da una mano nascosta
solo per una ragione di amore, vi
dovrete ricredere al più presto

imparerò a camminare
sull'acqua se necessario, ma non
ho intenzione
di chiedere il permesso di fare un nuovo
sogno
                           (Mestre [Ve], cinema Palazzo, 12 Aprile ’12)

giovedì 12 aprile 2012

Diaz, io ritornerò nella vostra pirite

Diaz, Don't clean up this blood  (2012, di Daniele Vicari)
Genova, 21 luglio 2001. Sono i giorni del G8. I reparti mobili della Polizia di Stato pestano senza pietà giovani attivisti. Diaz - Don't Clean Up this Blood.

di Luca Ferrari, ferrariluca@hotmail.it
giornalista/fotoreporter – web writer

Venerdì 13 aprile è il giorno della visione della “più grave sospensione dei diritti democratici in un paese occidentale dopo la II Guerra Mondiale”, come seppe scrivere con coraggio Amnesty International. Una calda estate a Genova, quella del 2001. Oggi il regista Daniele Vicari e il produttore Domenico Procacci aprono i riflettori sui famigerati comportamenti brutali delle forze dell’ordine ai danni dei manifestanti stipati in una scuola, in occasione del G8 del 2001. Venerdì 13 aprile è il giorno di Diaz - Don't Clean Up This Blood (2012).

Ciao dittatori, voi ignobili che non volete sentire contradditori. Crederete anche che al buio non si distingua nulla. Crederete ancora che l’omertà e la paura trasformeranno in camaleonti ogni cosa. Ci avete detto parole. Avete taciuto sulle menzogne. Avete compiuto azioni improbe. Quale morte si merita la verità? Stando alle vostre azioni, proprio nessuna. La politica non è diversa dalla guerra. Adesso è già tempo di quegli sguardi commossi. Adesso è già tempo per stringere le spalle dell’altro e dimostrare che tutti abbiamo perduto qualcosa. No, non è andata così. Non è andata così, e lo sapete bene.


Il passato come il presente. Nel 1977 l’allora Ministro degli Interni, Francesco Cossiga inviò M113 (veicoli blindati) per contrastare le manifestazioni studentesche. Otto anni dopo, nel 1985 divenne l’ottavo presidente della Repubblica. Nel 2001 i fatti di Genova. Gran parte delle resposnsabilità vennero imputate all’allora Vicepresidente del Consiglio dei ministri, Gianfranco Fini, oggi Presidente della Camera dei Deputati. Quale futuro adesso? Adesso quei signori che hanno dato il permesso di usrae la violenza si ergono a paladini della libertà.  Il ciclo dell’orrore non si risparmia. Siamo tutti sospesi dinnanzi alle azioni di chi sa solo brandire. Le fronde oltranziste non si schierano da nessuna parte ma solo in cerchio per tutelare il neo potentato

Lo sfregio totale è stato il bisogno del comando. La notte sta uscendo da una finestra proprio quando bugie prefabbricate stavano cementificando un altro clone. Emergenze. Esigenze. Avvoltoi setacciano formicai. Nessun paradiso in lista d’attesa. Il sangue vomitato dagli occhi ha reso la comunicazione un resoconto di muri scrostati. Eccomi, sono solo il primo di quelli che dovevano tornare.

Il trailer di Diaz - Don't clean up this blood

Diaz, Don't clean up this blood  - il giornalista Luca Gualtieri (Elio Germano)
Diaz, Don't clean up this blood  - la polizia pronta a colpire

mercoledì 11 aprile 2012

Lord of War, NOT control Arms

Lord of War (2005, di Andrew Niccol)
Dalla realtà più sanguinosamente mercenaria al cinema di Andrew Niccol con Lord of War (2005). E se qualcuno provasse a fermare questo massacro? 

di Luca Ferrari

Per quanto folle o visionaria possa essere la prospettiva di un regista, nulla è paragonabile a ciò che la realtà è in grado di sbatterci in faccia. Il russo Viktor Bour, venditore e trafficante d’armi cui s’ispirò il regista Andrew Niccol per la sceneggiatura di Lord of War (2005) con protagonista il premio Oscar Nicolas Cage, è stato di recente condannato a 25 anni di prigione.

Ma se nel film a mercanteggiare la propria libertà era lo stesso incriminato Yuri Orlov (Cage), svuotato dopo la morte del fratello Vitaly (Jared Leto) e l’abbandono da parte della sua famiglia, inclusa la moglie Ava (Bridget Moynahan) e figlio, nella piattaforma politica internazionale, a difendere il proprio concittadino è sceso il governo di Mosca richiedendone l’estradizione con incredibile ed eccessiva solerzia. Qualcosa da nascondere forse? Qualche segreto che temono possa essere rivelato alle orecchie sbagliate? L’orrore della finzione è poca cosa rispetto all’abominio della realtà.

Il 9 ottobre 2003 tre delle più importanti associazioni per i diritti umani, Amnesty International, IANSA (International Action Network on Small Arms) e Oxfam, lanciarono la campagna Control Arms per chiedere ai governi del mondo l’adozione di un Trattato internazionale sul commercio delle armi (ATT) e destinato a impedire i trasferimenti di armi che alimentano conflitti, povertà e gravi violazioni dei diritti umani.

Alla società civile fu chiesto d’inviare una propria fotografia con in mano la scheda di adesione a Control Arms. Non la classica firma, ma una vera e propria dichiarazione. Mettendoci la propria faccia. L’obbiettivo era quello di raggiungere un milione di supporter da portare al Palazzo di Vetro di New York dinnanzi alle Nazioni Unite al gran completo, e così sensibilizzare i potenti del mondo sul problema. Il traguardo fu raggiunto, i risultati sperati molto meno. E non certo per mancanza di azione da parte delle realtà in difesa dell’Uomo. 

E queste non sono certo i partiti teocratici dell’ONU, organismo internazionale costituto dalla quasi totalità delle realtà statali del Pianeta e forgiato con il nobile intento di preservare l’umanità da stragi e genocidi, ma che di fatto trova nei suoi cinque membri permanenti con diritto di veto (Cina, Francia, Inghilterra, Russia e Stati Uniti) gli autori/beneficiari di oltre l’ottanta per cento del traffico d’armi mondiale.

Niccol racconta la parabola di Yuri Orlov. Un pesce piccolo diventato nel giro di poco tempo un autentico Signore della Guerra, superando perfino il potente Simeon Weisz (Ian Holm). Un uomo capace di essere sempre presente su tutti i peggiori scenari di sangue per piazzare la propria merce, utilizzando ogni metodo possibile. Lecito e illecito. Il suo mantra? Una propria considerazione: Ci sono più di 550 milioni di armi da fuoco in circolazione nel mondo, questo significa che sul pianeta c’è un'arma da fuoco ogni 12 persone. La domanda è: come armiamo le altre 11?

Come Bour, catturato dalla DEA, l'Agenzia Federale Antidroga Statunitense (Drug Enforcement Administration), anche Orlov finisce agli arresti braccato dall’integerrimo agente dell’Interpol, Jack Valentine (Ethan Hawke). La detenzione del trafficante però dura il tempo di una conversazione con quest’ultimo, facendogli capire che il suo primo cliente è il suo stesso supremo datore di lavoro (dicasi, presidente degli Stati Uniti). 

Lui non è che l’uomo ombra. Oggi, il volto rispettabile della Nazione ne ha bisogno, domani magari no. E lui lo sa bene. Qualcuno dice che il male trionfa perché nessuno fa niente per impedirlo, sentenziava un cinico-amareggiato Orlov, la verità è che il Male trionfa. Che fine toccherà a Bour? C’è già qualcuno che ha preso il suo posto? È indubbio.

Dopo l’agghiacciante esperienza di due guerre mondiali, il pianeta si è ritrovato sotto la costante minaccia di uno scontro nucleare tra USA e URSS. Due nazioni. Due “modelli”. Due dittature ideologiche che non accettavano neutralità, ma decise prese di posizione verso l’una o l’altra parte. In quarant’anni di corsa all’arma definitiva (ma l’ONU dov’era in questo tempo?), un’infinità di guerre, rivolte e massacri si sono alternate e sovrapposte. 

Finita l’era dello spauracchio da annientamento globale, il mondo ha sposato la linea della follia più totale. Mezzi eserciti, schegge impazzite, terrorismo. Due genocidi nei primi anni ’90: Bosnia e Ruanda. Guerre d’invasione in Afghanistan e Iraq. Guerre non ufficiali. Dittature presentate sotto mentite spoglie. Sangue, sangue e ancora sangue. Il tutto ad aggiungersi a quanto già di deleterio era stato vissuto da questa stupida umanità. Sì, stupida perché continuiamo a mettere al governo assassini e commercianti di morte senza fare nulla per cambiare le cose.

Lord of War - i trafficanti d'armi Simon Weiz (Ian Holm) e Yuri Orlov (Nicolas Cage)
Lord of War - Yuri Orlov (Nicolas Cage) e il dittatore Andrè Baptiste sr. (Eamonn Walker)
Lord of War - Yuri Orlov (Nicolas Cage) assiste all'uccisione del fratello
supporter della campagna CONTROL ARMS