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giovedì 23 maggio 2013

Giovanni Lindo Fedele alla linea (2013)

L'ex-cantante dei CCCP e CSI, Giovani Lindo Ferretti
Viaggio dentro il musicista, e l'essere umano. Germano Maccioni racconta Giovanni Lindo Ferretti. Un uomo Fedele alla linea (2013).

di Luca Ferrari, ferrariluca@hotmail.it
giornalista/fotoreporter – web writer 

Volevamo dire la nostra, racconta un giovane Giovanni Lindo Ferretti. Parto da qui. Da una frase che almeno una volta ci ha attraversato tutti. La maggior parte però lascia da parte e si accontenta di quello che i binari della vita suggeriscono, impongono, flirtano. Non Giovanni, come registra Germano Maccioni nel suo documentario Fedele alla linea (2013).

Un viaggio dalle tinte unite tra il ragazzo, l’uomo e il cantante. Nella quiete delle colline reggiane la voce dei CCCP (e poi dei CSI e PGR)  apre il portone dei suoi ricordi. Dal primo incontro febbricitante in una discoteca di Berlino con il conterraneo Massimo Zamboni, futuro chitarrista dei suddetti gruppi musicali (i primi due), alla scoperta di un tumore alla pleura (da cui si è perfettamente ristabilito).

Lì nel mezzo un difficile ma sempre sincero rapporto con la madre, con lui stesso ad ammettere la sua delusione per aver visto il proprio figliolo intraprendere quella strada. E allora nella mente, non possono non ritornare alcune parole della canzone Tu menti (Socialismo e Barbarie, 1987 – CCCP).

Maccioni si muove nella vita di Ferretti senza andare alla ricerca di miraggi, ma recensendo in un aere familiare le pagine più feconde del suo impressionismo naturale. E i suoi occhi si fanno sempre più incisivi tra nitriti e i cappotti del passato domani. Un uomo si racconta. La sigaretta si accende. E si riaccende. Si, ricordo ancora, lo ricordo bene quel viaggio che non poteva finire.  

Giovanni Lindo Ferretti condivide il proprio mondo bambino. La sua voglia di evadere. L’inevitabile assorbimento dell’allora cultura comunista tipica del reggiano. Qualche viaggio per vedere, scoprire. Ed ecco che l’accettazione dell’incompiuto percorso umano diventa filastrocca di rivolta e lotta.

Scorrono i minuti nel grande schermo. Quasi accenni “mendesiani “da American Beauty (1999) nel suono solitario delle campane che si propaga e investe la neve appenninico-casolare della notte. E non c’è nulla di più soave in quel momento. Ci sono i paesi abbandonati di cui Ferretti parla con amarezza. Il mondo lascia la propria origine alla ricerca di un comfort che non farà altro che aumentare la ricchezza d’altri. In una dimensione sempre più in mano ai souvenir da supermarket, la musica è come la vita. Una scelta d’intenti.

Spezzoni d’interviste e concerti. Difficile (se non impossibile) non ripensare alla propria vita mentre il regista procede con il viaggio del musicista. Tra parole, paesaggi delicato-selvaggi, è la poetica dell’esistenza a prendere il sopravvento. Che sia ambientata in una poco nota località montana priva di strade asfaltate o il paesaggio sconfinato della Mongolia, i passi restano quelli. Niente filosofie. Un narrare che investe, mentre la brace scalda la legna senza mai consumarla.

“Non so dove scenderò ma qui c’è la mia casa” sembra quasi sussurrare il protagonista. Ma in realtà non bisbiglia mai. Dice apertamente quello che pensa. “Faccio fatica a esprimere il disagio, e poi ho sempre fretta/ Ho intimorito il mondo attorno a me e di questo non ne ho mai voluto troppo parlare/ ” mi viene da aggiungere.

Settantaquattro minuti dopo siamo già nell’era dell’oggi, dove la vita insegna a nascere e continuare a esistere. E allora posso dire in tutta sincerità che mi sto appostando in prima fila per mostrare nello scontro quotidiano col mondo come le intenzioni si traducano in elementi dentro di noi. Oggi sono sul crinale, ancora a digiuno di malinconia.

Il trailer di Fedele alla linea

Fedele alla linea (2013, di Germano Maccioni)

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