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giovedì 28 novembre 2013

Bari, i demoniaci Sentieri del Cinema

Nosferatu il Vampiro (1922, di Friedrick Wilhem Murnau)
Nella XXI edizione della rassegna Sentieri nel cinema (Bari, 21 novembre-5 dicembre) irrompe il "fantastico horror" espressionista tedesco.
di Luca Ferrari

Il lugubre mondo dell’horror. Demoniache presenze. Sinistri ambienti gotici. Musiche da tregenda. In Puglia sale in cattedra il cinema espressionista tedesco. È in corso a Bari la XXI edizione del festival Sentieri nel cinema, diretto da Mario Fiorentino e realizzato con il sostegno economico di Apulia Film Commission.

Dopo il primo appuntamento, si ricomincia giovedì 28 novembre al Cineporto di Bari con la proiezione di Ombre ammonitrici (1923). Il regista Arthur Robison, americano di nascita ma tedesco d’adozione, rinuncia alle didascalie esplicative per dare spazio alle sole immagini impreziosite da soluzioni innovative nell’utilizzo dell’illuminazione.

Grazie alle atmosfere allucinate e oniriche realizzate dagli effetti ottici di Fritz Arno Wagner, il film è un classico del cinema espressionista che, come ha spiegato il critico Leonardo Gregorio, crea una commistione “fra teatro stilizzato ed espressionismo perturbante, messa in scena trasfigurata di corpi, spazi e geometrie”.

Alle 18 il bar del Cineporto proporrà un aperitivo a tema, mentre un’ora dopo i critici cinematografici Luigi Abiusi (Filmcritica, Uzak) e Gemma Bianca Adesso (Uzak) dibatteranno su “La Magia delle luci e delle ombre” per introdurre il pubblico alla proiezione di un altro baluardo del cinema espressionista: Il Golem- Come egli venne al mondo (1920).

Il capolavoro diretto da Paul Wegener, reso immortale grazie anche alle imponenti scenografie gotiche di Hans Pöelzig e la fotografia di Karl Freund, narra la storia di “un antropoide dalla forza straordinaria, muto essere infelice scisso fra la dipendenza da chi lo ha creato e il bisogno di libertà che lo porta infine alla ribellione” scrive Marilù Ursi.

Venerdì 29 novembre Sentieri nel Cinema si sposta negli spazi della Mediateca Regionale Pugliese dove lo storico dell’arte contemporanea Marco Senaldi (docente presso lo IULM di Milano), per il secondo appuntamento dedicato al Cinema Assoluto, condurrà gli spettatori in un percorso di cinque cortometraggi per conoscere le opere di Marcel Duchamp, Fernand Legér e René Clair.

Infine giovedì 5 dicembre, ancora tre proiezioni, l’ultima delle quali e a conclusione della della rassegna Sentieri nel Cinema, Nosferatu il Vampiro (1922, di Friedrick Wilhem Murnau).

Il programma dettagliato di Sentieri nel Cinema (Bari, 21 novembre – 5 dicembre 2013):

Giovedì 28 novembre, Cineporto di Bari

• h. 18 Ombre ammonitrici di Arthur Robison [Schatten, Ger. 1923, 85’]. Versione restaurata, colonna sonora di Donald Sosin
• h. 20 "La magia delle luci e delle ombre", intervento di Luigi Abiusi
• h. 21 Il Golem. Come egli venne al mondo di Paul Wegener e Carl Boese [Der Golem. Wie Er In Die Welt Kam, Ger. 1920, 84’]. Versione restaurata. Colonna sonora di Aljoscha Zimmermann


Venerdì 29 novembre, Mediateca Regionale a partire dalle h. 18

Fernand LegérBallet mécanique [Fr. 1924, 16']
René Clair Entr'acte [Fr. 1924, 22']
Marcel DuchampAnemic cinéma [Fr. 1926, 7'] da Hans Richter, Dreams That Money Can Buy
Marcel DuchampDiscs [Fr. 1947, 4'] da Hans Richter, Dreams That Money Can Buy
Fernand LegérThe Girl With The Prefabricated Heart [Francia 1947, 8'] da Hans Richter, Dreams That Money Can Buy


Giovedì 5 dicembre, Mediateca Regionale

• h. 18 Il Castello degli Spettri di Paul Leni [The Cat and the Canary, Usa 1927, 84’]. Versione restaurata. Colonna sonora di Hugo Riesenfeld
• h. 20 "Sinfonie dell’orrore", intervento di Grazia Paganelli
• h. 21 Nosferatu il Vampiro di Friedrick Wilhem Murnau [Nosferatu. Eine Symphonie des Grauens, Ger. 1922, 94’] Versione restaurata. Colonna sonora di Danilo Rea


Ombre ammonitrici (1923, di Arthur Robison)

martedì 26 novembre 2013

Il cinema ambientale del Think Forward Film Festival

Think Forward Film Festival 2013
Sabato 6 e domenica 7 dicembre alla Fondazione Querini Stampalia di Venezia è di scena la III edizione del Think Forward Film Festival.

di Luca Ferrari, ferrariluca@hotmail.it
giornalista/fotoreporter – web writer

Se il clima esplode, le conseguenze sono preoccupanti. E lo saranno sempre di più con pesanti ricadute sulla popolazione, l’economia e la popolazione di nuovo. A gettare napalm sul fuoco l’avida mano dell’uomo, con il chiodo esasperato del guadagno e la totale noncuranza dei pericoli che certe operazioni generano (scatenano).

Lo abbiamo già visto anche in Italia. Abbiamo di recente assistito alle devastazioni che hanno colpito la Sardegna provocando morti e feriti. Ma credere che tutto ciò sia solo il frutto dell’imprevedibilità meteorologica sarebbe un abominio. Il vortice vizioso dello sfruttamento ambientale miete tragedie.

Un aiuto per la Sardegna
In un crescente successo d'interesse e pubblico, il grande schermo di Venezia si apre al tema dei cambiamenti climatici, le questioni legate all’efficienza energetica ed energie rinnovabili con film, documentari e una selezione di cortometraggi. Per il terzo anno consecutivo sbarca alla Fondazione Querini Stampalia il Think Forward Film Festival (6-7 dicembre).

Venezia, la III edizione del Think Forward Film Festival
Come nelle edizioni 2011 e 2012 (la cui serata conclusiva vide la proiezione dell’Atlantic Rowing Project), non mancheranno eventi collaterali tra cui dibattiti e incontri con registi e attori. Alcune attività verranno poi dedicate alle scuole con l'obiettivo di informare gli studenti e gli insegnanti per accrescere la loro consapevolezza e alimentare il dibattito sul tema tra i giovani.

Appuntamento a Venezia lunedì 2 dicembre per la presentazione ufficiale della 3° edizione del Think Forward Film Festival.

giovedì 21 novembre 2013

Il profumo del cuore selvatico

Il profumo del mosto selvatico - Victoria (A. Sánchez-Gijón) e Paul (Keanu Reeves)
Romanticismo nel ventre vinicolo. Keanu Reeves eroe romantico della fiaba agreste Il profumo del mosto selvatico (1995, di Alfonso Arau).

di Luca Ferrari

Ho ancora il sonno turbato e sento parlare di confini e segreti. Ho sentito tracce del destino, e se oggi le cortecce sono sempre più verdi allora io mi dovrò presto abituare a questa nuova stagione dei tuoi nativi sentimenti. Nuvole basse si scambiano pagine d’orizzonte. Labbra sporche di terra inscrivono il calore degli spiriti. Viaggio nella poetica del film Il profumo del mosto selvatico (1995, di Alfonso Arau).

Per il reduce di guerra Paul Satton (Keanu Reeves) il ritorno a casa non assomiglia lontanamente a ciò che sognava sotto il fuoco. In mezzo a sangue e macerie ha scritto decine e decine di lettere alla moglie Betty (Debra Messing) su come avrebbe voluto la sua futura vita ma la realtà non è così. Non c’è nessuno ad attenderlo e la materialista consorte m non ha mai letto alcuna delle sue parole.

Quasi costretto, Paul si rimette subito in viaggio per lavoro, lasciato solo anche negli incubi dove rivive costantemente l’orrore dei campi di battaglia della II Guerra Mondiale. Sulla sua strada gli vomita addosso (letteralmente) una donna alla ricerca di miracoli, Victoria Aragon (Aitana Sánchez-Gijón). Sta tornando a casa incinta ma senza un marito né un fidanzato, angosciata dalle sicure reazioni furiose del rigido padre.

Il buon samaritano Paul prima la difende da due bruti sull’autobus, poi rincontrata in mezzo al nulla viene messo a conoscenza della sua lacrimevole storia e decide. Le mette un anello al dito per presentarsi come suo marito. Un compagno che l’indomani ripartirà e forse non tornerà mai più.

Il destino però è in agguato perché domani nella piantagione Las Nubes della famiglia Aragon è il giorno della vendemmia. Ben accolto dalla mamma di Victoria, Maria (Angélica Aragón) e i suoi nonni Guadelupe (Evangelina Elizondo) e Pedro (Anthony Quinn), quest’ultimo ghiottissimo di dolciumi, la notizia delle nozze manda invece su tutte le furie il padre Alberto (Giancarlo Giannini) che attacca e sferza fendenti contro i neosposini.

Io sono tornata a casa per dire alla mia famiglia che ho sputato sulla loro fiducia? Sono io che sono tornato a casa per dire che sposato questo coso, cosa fa lei? tuona Alberto. Cioccolatini, vendo cioccolatini risponde candido Paul suscitando l’ulteriore commento di disprezzo del suocero che replica con un semplice e laconico No!?!

Nei due giorni successivi Paul vive la magica atmosfera agreste di Las Nubes e ogni mattina quando cerca di andarsene, l’anziano Don Pedro lo blocca con amore. Rendendolo parte vivente della loro famiglia, mostrandogli anche la radice che il suo antenato piantò secoli or sono. Non è solo la radice della nostra Las Nubes, è la radice della nostra vita dice il vecchio.

Un mo(n)do che l'orfano Paul non può ignorare.

Arriva il momento della vendemmia. Le donne di famiglia hanno i capelli raccolti con foglie. Quando l’anziana Guadalupe, di origine azteca, suona una grande conchiglia per chiedere secondo tradizione il permesso dei 4 venti per raccogliere ciò che dona la terra, è un trionfo di bellezza e incanto. A quel punto tutte le donne sposate entrano in una gigantesca tinozza per danzare pigiando l’uva.

La società materialista e consumistica avanza ma la grande lezione viene dalla Madre Terra che fa incontrare e unire uomini e donne. Ognuno con le proprie specificità. Chi con i pensieri, chi con i sentimenti. Le atrocità non saranno mai dimenticate ma qui, a Las Nubes, è la vita che trionfa. È l’amore che unisce.

Paul e Victoria si separano com’è giusto che sia, ma il loro finto legame esploderà in piena regola come un incendio d’amore (e non solo). Anche il burbero Alberto Aragon, riappacificatosi con l’adorata figlia e il buon Paul, alla fine lo accoglie umanamente con le parole Questa è la radice della tua vita. La radice della tua famiglia. Tu sei legato a questa terra e a questa famiglia con la promessa, con l’onore e con l’amore. Piantala.Crescerà.

Las Nubes vivrà.

Il profumo del mosto selvatico, la festa del vino

Il profumo del mosto selvatico - la festa del vino
Il profumo del mosto selvatico - la radice di Las Nubes
Il profumo del mosto selvatico (1995) - l'uva
Il profumo del mosto selvatico - Paul (Keanu Reeves) e Victoria (Aitana Sánchez-Gijón
Il profumo del mosto selvatico - Victoria (Aitana Sánchez-Gijón) e Paul (Keanu Reeves)

domenica 17 novembre 2013

Jobs (2013), qualcosa di non fantastico

Jobs - Steve Jobs (Aston Kutcher)
Dai videogame casalinghi alla fondazione del colosso informatico Apple. Joshua Michael Stern dirige Jobs (2013). Aston Kuthcer intepreta Steve Jobs.

di Luca Ferrari

Deciso. Scaltro. Instancabile. Geniale. Steve Jobs (1955-2011) è stato un uomo che ha segnato l’ultimo trentennio tecnologico. Le sue smanie di grandezza, perfezionismo e voglia d’innovazione lo hanno reso un inflessibile fabbro digitale in costante attraversamento di sentieri meno battuti. Create qualcosa di utile, qualcosa che vi stia a cuore ripeteva Steve.

Ad appena due anni dalla sua morte, il regista Joshua Michael Stern (The Contractor, Swing Vote) ha realizzato Jobs (2013) con Aston Kutcher (That '70s Show, Oggi sposi... niente sesso, Bobby, The Guardian) nei panni di “Mr Apple”, mostrandone pregi e difetti con un po’ troppa fretta e senza eccessiva introspezione.

Dalla fine all’inizio, e via con il “film” del passato. Come visto di recente anche in The Iron Lady (2011, di Phyllida Lloyd), la pellicola segue una linea standard più che collaudata. Ma se nel lungometraggio dedicato all’ex-Primo Ministro britannico Margaret Thatcher (interpretata da Meryl Streep) si giocava a ping-pong tra passato e presente, in Jobs il salto è uno e unico. Iniziando da un Kutcher/Jobs invecchiato mentre presenta l’iPod e quindi il flashback a partire dai tempi del college.

Il ritratto che esce di Steve Jobs è quello di un uomo ambizioso e determinato. Pronto a sacrificare ogni attimo di vita privata per realizzare qualcosa che possa rimanere scolpito nell’universo. Ma Jobs era davvero l’inizio e la fine del proprio mondo come sentenziava preoccupato l’amico e co-fondatore della Apple, Steve Wozniak (Josh Gad)?

Realizziamo qualcosa di fantastico. Di assurdamente fantastico. Bisogna far credere alla gente che non c’è limite dice Jobs. Al contrario la pellicola diretta da Joshua Michael Stern decolla raramente. Nessuna traccia d’impetuosi picchi creativi che il vero Steven avrebbe preteso.

Jobs (2013): ascesa, caduta e ascesa. Dai primi successi della Apple e il trionfale sbarco a Wall Street fino all’emarginazione dello stesso fondatore dalla propria creatura per mano del Consiglio di Amministrazione e il trionfale ritorno in azienda. Ripagando con la medesima moneta anche l’ambiguo e ventennale collaboratore Mike Markkula (Dermot Mulroney).

Non poteva mancare in Jobs la polemica con il fondatore della Microsoft. Il tutto però si riduce a pochissimi minuti condensati nella presa in visione di Windows  direttamente dal quartier generale della Silicon Valley e successiva sfuriata telefonica di Steve Jobs a Bill Gates, senza nemmeno un’inquadratura o una parola di quest’ultimo.

Per i veterani degli anni ’80 svezzati con i giochi Atari e Commodor 64, Jobs è un tuffo nel passato che fu, rimpiangendo, se mai ce ne fosse ancora bisogno, non solo il tempo che è volato via inesorabile ma soprattutto quella sensazione/certezza che ci fosse ancora molto spazio di manovra per cambiare qualcosa. Vedere poi il giovane Steve Jobs (Aston Kutcher) che realizza il videogioco Breakout fa venire voglia di mettersi subito a guardare E.T. (1982) o i Goonies.

Contradditorio e caparbio. C’è chi definisce Steve Jobs un genio innovatore e chi un opportunista che ha messo sotto chiave (e marchio) qualcosa che esisteva già come open source. Quale che sia verità, l’aspetto indelebile di Steve Jobs forse non è tanto quello che ha fatto, ma come l’ha realizzato. Jobs (2013, di Joshua Michael Stern) è solo il principio della sua eternità sul grande schermo.

Il trailer di Jobs

Jobs - Wozniak (Josh Gad) e Steve Jobs (Aston Kutcher)
Jobs - Steve Jobs (Aston Kutcher)

giovedì 7 novembre 2013

Checco Zalone a catinelle

Sole a catinelle - Checco Zalone e Nicolò (Robert Dancs)
Stralunato. Controcorrente. Ottimista. "Divertentissimi". Nel film Sole a catinelle (2013, di Gennaro Nunziante), il pugliese Checco Zalone è più travolgente che mai.

di Luca Ferrari

I film comici sono una razza morente. Se si escludono i minestroni americani di mix di parodie alla Scary Movie, il panorama internazionale langue come non mai. Di nuovi Mel Brooks all’orizzonte non se ne vedono e nel Belpaese, a parte la collaudata (e obsoleta) formula della commedia agrodolce, non si vede altro. C’è chi poi viene al cinema (Aldo, Giovanni e Giacomo) ma sarebbe meglio restasse in teatro.

Lui no. Luca Pasquale Medici, barese classe ’77, in arte Checco Zalone è una piacevole sorpresa. Diretto per la terza volta da Gennaro Nunziante su altrettante pellicole interpretate, dopo Cado dalle nubi (2009) e Che bella giornata (2011), il 31 ottobre 2013 è uscita l’ultima fatica cinematografica del comico pugliese, Sole a catinelle.

Checco pensa in grande. Non si accontenta di fare le pulizie in hotel a Venezia. In tempo di crisi trova il coraggio di licenziarsi, con la moglie Daniela (Miriam Dalmazio) invece messa in cassa integrazione e sul conseguente piede di guerra a suon di proteste e movimenti sindacali. Così il vulcanico Checco trova lavoro come rappresentante di aspirapolvere, diventando nel giro di poco tempo il venditore dell’anno cui segue un (epico) discorso  di ringraziamento, con tanto di bocca storta alla Rocky Balboa pro Adriana.

La ruota della (s)fortuna però gira, e una volta esauriti i parenti a cui vendere il prezioso elettrodomestico, il buon Checco si ritrova a perdere tutto il lusso conquistato con inevitabile cacciata di casa dalla moglie. La coppia ha un figlio, Nicolò (Robert Dancs). Bravissimo a scuola. Sebbene in difficoltà, il “super-papà” fa una promessa. Se finirà l’anno con tutti 10, lo porta in vacanza. Così va e a dispetto del tentativo di fargliene togliere almeno uno dalla pagella, ogni promessa è debito.

Destinazione? Un posto di sei lettere. Parigi, Madrid, Londra, domanda entusiasta Nicolò in macchina. No, Molise. A casa della tirchia zia Ritella (Matilde Caterina). Si arriva allo scontro, con il premuroso Checco  che preso a parole dal figlioletto che gli dice chiaramente di “essersi rotto il cazzo”, lo abbraccia soddisfatto della sua prima parolaccia. Già pensavo di portarti dal logopedista, gli confessa (tra le risate generali del pubblico).

E quando di lì a poco Nicolò è pronto a imbarcarsi con degli amici della madre per una vera vacanza, questo “ladridibiclettanamente” ritorna dall’amato papà cominciando una nuova storia che li porterà a conoscere la bella Zoe (Aurore Erguy) e suo figlio Lorenzo (Ruben Aprea), quest’ultimo affetto da mutismo. Al primo incontro con Checco è subito svolta, riprendendo a parlare con la psicologa sbigottita.

Risate su risate. Un Checco Zalone in forma smagliante. Va bene anche se sei omosessuale, ma non comunista dice teneramente a Nicolò il presunto imprenditore Checco. Battute su battute, con quell’aria da eterno fuori posto tanto tra i ricchi (e ladri) imprenditori Piergiorgio Bollini (Augusto Zucchi) e Vittorio (Marco Paolini), quanto tra i suoi stessi conterranei. Checco entra perfino nella Massoneria, scambiata per Masseria, e a dispetto dei cappucci neri in testa, ringrazia per nome e cognome i suddetti neo-amici truffatori.

90 minuti di viaggio in un cinema diverso, dove non mancano i richiami all’Italia più contemporanea e lacerata (crisi del lavoro, classe media a mangiare dalla Caritas, mal costumi dei potenti), ma con una verve frizzante totalmente anomala per le commedie nostrane. E anche quando pensi al più scontato dei finali, la premiata ditta Zalone & Nunziante va oltre.

Un film da vedere. Un film da condividere. Un film per ridere anche quando non resta che la propria testa per andare avanti. Ecco, appunto.

Sole a catinelle - (da sx):
Zoe (Aurore Erguy), Lorenzo (Ruben Aprea), Nicolò (Robert Dancs) e Checco (Checco Zalone)

martedì 5 novembre 2013

WikiLeaks, i segreti sono online

Il quinto potere - Daniel e (Daniel Brühl) e Julian Assange (Benedict Cumberbatch)
Il quinto potere (2013, di Bill Condon) apre il dibattito sull’organizzazione internazionale senza scopo di lucro WikiLeaks e il suo fondatore Julian Assange.

di Luca Ferrari

Inarrestabili cicale dei dati contro ignare formiche della spensierata condivisione. WikiLeaks per un mondo libero e trasparente. WikiLeaks inflessibile rivelatore dei segreti dei potenti della Terra. Da una parte un esercito di cyberpunk e sostenitori dei sacri diritti dell’individuo, dall’alta una democratica dittatura privato-globalizzata che monitora ogni passo digitale-telematico dei cittadini, conservando il tutto in appositi scaffali (il)legali.

Diretto dal newyorkese Bill Condon, Il quinto potere (The Fifth Estate) accende la telecamera sul giornalista australiano Julian Assange (uno straordinario Benedict Cumberbatch), ideatore e fondatore di WikiLeaks, organizzazione internazionale senza scopo di lucro che sostiene la privacy dei cittadini e la trasparenza per Governi e Corporations, pubblicando in modo integrale documenti riservati senza mai citare le fonti.

La domanda cruciale è: perché sono segreti? È giusto che la gente sia tenuta all’oscuro? E chi si arroga il diritto di decidere? Passino anche le opinioni confidenziali tra uomini di Stato (credete davvero poi che tra di sé non sappiano come si considerano?) ma quando vengono taciuti massacri, attentati o peggio? Se WikiLeaks sapesse come sono andate le cose nei cieli di Ustica o a Piazza Fontana con nomi e cognomi, chi tra gl’italiani non vorrebbe saperlo.

Il quinto potere scorre sulle montagne russe della personalità di Assange, tendente nel corso dei 129 minuti a scemare sempre più in favore del suo più morigerato braccio destro, Daniel Domscheit-Berg, qui interpretato dall’altrettanto eccellente Daniel Brühl, passato dal mito di Niki Lauda in Rush (2013, di Ron Howard) ad alfiere della rivoluzione dell'informazione online.

Anche il giornalista del Guardian, Nick Davies (David Thewlis), che in principio sposa la causa wikileaksiana di Assange, presentando addirittura Julian e Daniel come i nuovi Woodward e Bernstein (i cronisti del Washington Post la cui inchiesta sullo scandalo Watergate portò alle dimissioni l’allora presidente degli Stati Uniti, Richard Nixon), inquadra Assange sempre più come un egocentrico del tutto incurante delle conseguenze delle sue pubblicazioni.

“State iniziando una guerra mediatica contro gli Stati Uniti. Ora, se non siete pazzi, non gli passerete le munizioni” sentenzia preoccupato Davies. Se infatti i quotidiani Guardian, Der Spiegel e New York Times pubblicarono parte dei cable americani forniti da WikiLeaks, senza però citare nomi e cognomi delle persone direttamente coinvolte, questi ha proseguito sulla propria strada con il riserbo solo ed esclusivamente per le proprie “gole profonde”.

La condivisione sul web di centinaia di migliaia di questi documenti diplomatici confidenziali/segreti ha di fatto scoperchiato molti lati oscuri del modus operandi di Washington. E il film in qualche modo (più di uno) tende quasi ad assolvere certi comportamenti.

Palesemente di parte e mirante alla commozione, le lacrime del funzionario governativo Sarah Shaw (Laura Linney) quando un suo storico collaboratore nel governo libico riesce a fuggire da Tripoli prima che certe notizie pubblicate da WikiLeaks arrivino alle aguzzine orecchie della famiglia Gheddafi. 

Nel giro di pochi anni il sito di WikiLeaks è passato da mero canale di controinformazione più o meno conosciuto ad autentica minaccia per la sicurezza mondiale, Stati Uniti in testa. E il suo deus ex-machina Julian Assange uno degli uomini più ricercati d’America.

A oggi il giornalista australiano vive a Londra rintanato nell’ambasciata dell’Ecuador, nazione che gli ha garantito asilo politico. Di fatto però non può abbandonare la sede diplomatica. Sulla sua testa c’è un’accusa di violenza carnale ai danni di una donna svedese per la quale il governo di Stoccolma lo vorrebbe processare, ma il timore è che verrebbe subito estradato negli alleati States.

Seppur non puntandogli dito contro, il film di Condon dà un'immagine poco lusinghiera di Assange (e infatti il diretto interessato ha poco gradito l’opera). Il lungometraggio è basato sui libri Inside WikiLeaks. La mia esperienza al fianco di Julian Assange nel sito più pericoloso del mondo (Marsilio, 2011) di Daniel Domscheit-Berg e Wikileaks. La battaglia di Julian Assange contro il segreto di stato (Nutrimenti, 2011) dei giornalisti britannici del Guardian Luke Harding e David Leigh.

Dalla realtà rivisitata sul grande schermo al presente più attuale. Nell’ottobre 2013 è esploso il Datagate con gli USA in prima linea nello spiare telefonate di Germania, Francia, Italia e perfino (pare) di Papa Francesco. Critiche mosse da ogni latitudine. Ma aldilà dell’evidente violazione (prassi comunque tra le nazioni più “evolute”), il dato impressionante è che nessuno si scandalizza nel regalare ogni singolo dettaglio della propria vita ai social network, dicendo così addio per sempre a qualsiasi brandello di privacy.

Assange o non Assange, la triste verità è che siamo sotto stretta osservazione dalla mattina alla sera. I governi sono stati così bravi a renderci dipendenti da telefonia mobile e internet. Così agendo, lasciamo tracce e anche in questo momento, voi che state leggendo, sanno che avete aperto questo articolo e a meno che non mi critichiate aspramente, il vostro silenzio potrebbe avere il sapore di condivisione delle mie idee o di quelle di Julian Assange.

Come tutte le rivolte, per certi versi anche questa sembra ormai appartenere al passato. Le contromisure sono già in atto. C’è stato un momento in cui si poteva cambiare il mondo, dice uno sconsolato Daniel verso la fine del film Il quinto potere (2013, di Bill Condon). Quale sarà il prossimo passo della rivoluzione dell’informazione online? Il quinto potere è ciascuno di noi, si dice. Ma saremo in grado di usarlo? Avremo la pazienza d’impararlo?

Il coraggio è contagioso, ripete Julian Assange. Per opportunismo le persone cambiano opinione, sottolinea l’attore inglese Benedict Cumberbatch nei panni del fondatore di WikiLeaks, Julian Assange. La libertà mondiale è sempre più in pericolo. Tanto nelle dittature proclamate come Cina e Russia, tanto nel libero Occidente Fallaciano.

Cosa vogliamo fare della libertà? Vogliamo provare a riprendercela o ci limiteremo a condividere il nostro disappunto su Facebook e Twitter?

Il trailer de Il quinto potere

Il quinto potere (2013, di Bill Condon)
Il quinto potere (2013, di Bill Condon)