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giovedì 25 giugno 2015

La regola del gioco, lo scoop della verità

La regola del gioco - il giornalista Gary Webb (Jeremy Renner)
Il giornalista Gary Webb indaga sui narco-finanziamenti statunitensi ai Contras nel nome della verità. La regola del gioco (2014, di Michael Cuesta).

by Luca Ferrari

Droga, CIA e Contras nicaraguensi. Una scia di sangue, taciti giochi politici e morte su cui è piombato (non per caso) il deciso giornalista del San José Mercury News, Gary Webb (Jeremy Renner), pronto a rivelare una verità bomba a dispetto delle pressioni d’alto livello. Una missione la sua, votata ai più alti ideali costituzionali e dare così modo al pubblico americano di conoscere la verità. Michael Cuesta dirige La regola del gioco (2015, Kill the Messenger).

Ora che sa la verità, dovrà fare la scelta più difficile della sua vita. Condividerla o no” dice il narcotrafficante Norwin Menes (Andy Garcia) a Gary Webb, mentre tira di golf dal campo privato della sua prigione in Nicaragua. La notizia è di quelle che scottano. La notizia è di quelle troppo vere per essere raccontate, come lo ammonirà in seguito l'ex-funzionario federale Fred Weil (Michael Sheen).

Già affermato giornalista e vincitore del Pulitzer per una serie di servizi sul terremoto di Loma Prieta (California), in seguito a un suo pezzo sulle case confiscate dal Governo a sospetti trafficanti di droga, quindi non ancora colpevoli, Webb viene contattato dall’avvenente Coral Baca (Paz Vega), il cui compagno Rafael Cornejo è in carcere per questioni legate alla cocaina.

Una storia come l’altra? In apparenza. Quando la scaltra Coral gli rivela d'essere entrata in possesso (per sbaglio) di un dossier dove emerge in modo inequivocabile che il narcotrafficante Danilo Blandon (Yul Vazquez), pagato dalla CIA, aveva introdotto illegalmente negli Stati Uniti tonnellate di cocaina, e oggi quello stesso ambiguo personaggio siede sul banco dei testimoni ad accusare il suo compagno, lo stesso Webb inizia a drizzare le antenne. Ha inizio così un viaggio giornalistico lungo un anno che lo porterà a realizzare il celebre reportage The Dark Alliance (L’alleanza oscura).

Arriva il gran giorno. La pubblicazione sbarca su carta e online. Le parole non sono interpretabili. Le prove e testimonianze raccolte dimostrano chiaramente come gli Stati Uniti e Los Angeles in particolare siano stati invasi dalla droga per raccogliere fondi da destinare via CIA ai Contras, e sostenere così la ribellione anti-Sandinista. E tutto ciò mentre ogni neo-presidente degli anni Settanta-Ottanta sbandierava la droga come primo problema interno.

È un’autentica “bomba-carta” quella che esplode. I fuochi della ribalta però durano poco per Gary. I piani alti dei Servizi Segreti a stelle e strisce cominciano a fare pressioni sui direttori dei grandi quotidiani perché smontino pezzo per pezzo la storia pubblicata e questi, da bravi cagnolini, rispondono affermativo dando così il via al massacro del singolo che ha osato scoperchiare i panni sporchi (e sanguinari) di Washington.

Inizia la discesa e di mezzo ci finisce anche la famiglia di Webb, la moglie Sue (Rebecca DeWitt) e i tre figli Ian, Eric e Christine. Scoperto che lo stavano spiando nella sua casa, scattata la denuncia ma oltre alla polizia arrivano anche degli agenti che con la scusa del trambusto entrano nel suo studio per leggere appunti privati. Gary viene allontanato dal suo lavoro e spedito altrove. Viene comunque eletto il giornalista dell’anno ma sarà l’ultimo bagliore di una carriera che non si rimetterà più in carreggiata. Da quel suo primo fiero servizio sui cani all’Oscura alleanza, nel mondo pilotato del giornalismo per uno come Gary Webb non ci sarebbe stato più posto. Ma proprio mai più.

“Gary era un doberman. Grintoso e insistente, affrontava i fatti con la convinzione incrollabile che il pubblico avesse diritto a sapere la verità” ha sottolineato il regista, “Era il cronista della gente comune, del popolo. Aveva un’idea molto chiara del significato di cose come verità e giustizia. Era una persona autentica, che amava i gruppi punk e l’hockey. Non aveva paura di mettersi contro i pezzi grossi. Abbiamo bisogno di persone come lui, soprattutto oggi che rischiamo di perderci nel labirinto mediatico di politicanti e opinionisti”. 

Erede dei grandi classici della settima arte sul lavoro d’inchiesta giornalistica, dal celeberrimo Tutti gli uomini del Presidente (1976, di Alan J. Pakula) incentrato sullo scandalo Watergate al comunque ispirato a fatti veri The Hunting Party (2007, ambientato nel post Guerra dei Balcani), La regola del gioco lascia emergere quel tragico destino che accomuna tutti i grandi giornalisti caparbi: l'isolamento. Prima collocato sul carro del trionfo, poi alle prime difficoltà scaricato da tutti a cominciare ovviamente dal vicedirettore e direttrice del giornale, Jerry Ceppos (Oliver Platt) e Anna Simons (Mary Elizabeth Winstead).

In prima linea a decretarne l’oblio dunque, quelli che dovrebbero essere i suoi stessi alleati. Quelli che dovrebbero avere a cuore il suo lavoro: i media. Ed è "curioso" o quanto meno casuale come su entrambi le riviste del settore più lette in Italia, Ciak e Best Movie, nel mese di uscita della pellicola (giugno), La regola del gioco abbia avuto un misero trafiletto (vedi ultima foto) a dispetto di parecchie pellicole ben più mediocri e insignificanti, con Best Movie capace pure di sbagliare il titolo e scrivendo: Le regole del gioco.

In un un'epoca cinematografica sempre più ingolfata di supereroi che tanto non salveranno nessuno, dinosauri clonati, patetici remake spacciati per i migliori film della stagione e altro materiale narcotizzante, sarebbe ora che il pubblico cominciasse un po' a svegliarsi, scegliendo la qualità e non solo Disneyland e marshmallow. Ragionando su pellicole che ambiscono a essere qualcosa di più di mero entertainment come appunto La regola del gioco, film che al contrario mostra un vero eroe in carne e ossa: un giornalista che si batte per la verità.

Un giornalista le cui rivelazioni interessano meno di una storia di sesso dalle tinte bianche (Casa). Perché è questo che succederà. Pochi anni dopo la CIA ammetterà il proprio coinvolgimento nei finanziamenti “drogati” per i Contras ma alla gente questo non interesserà più. In quegli stessi giorni l’allora inquilino della Casa Bianca Bill Clinton doveva giustificare certe attenzioni rivolte a Monica Lewinsky, ma del fatto che Webb fosse stato abbandonato semplicemente dicendo la verità, a nessuno importava nulla.

La regola del gioco prende il via con immagini d’epoca e prosegue con la narrazione. Ottima la prova di Jeremy Renner (due nomination agli Oscar come Miglior attore protagonista per The Hurt Locker e The Town) che ancora una volta ha dimostrato la sua grande versatilità. Poco azzeccata al contrario, la scelta del titolo in italiano: comunica poco, rischia di far cadere in inganno richiamando alla memoria l’omonimo film francese del 1939 di Jean Renoir e in ultima travia del tutto dall’originale Kill the Messenger che letteralmente significa “Uccidi il messaggero” (il giornalista), molto più in linea con la pellicola.

La regola del gioco è un film che ogni giornalista dovrebbe vedere e poi suggerire ad almeno 10 persone che (non) conosce. La regola del gioco è un film che non riguarda solo il mondo del giornalismo ma l’atteggiamento stesso delle persone nei confronti del mondo che li circonda, perché “dire la verità solo quando è conveniente farlo” non fa dei furbi, rende solo schiavi. E loro, quelli con la pensione dorata e i conti offshore vogliono esattamente questo da voi.

Saluti a tutti, e auguri alla vostra co(no)scienza. Buona fortuna!
Guarda il trailer de La regola del gioco

La regola del gioco - Gary Webb (Jeremy Rener) a colloquio con Coral Baca (Paz Vega)
La regola del gioco - il narcotrafficante Norwin Menes (Andy Garcia)
La regola del gioco - Jerry Ceppos (Oliver Platt),
Anna Simons (Mary Elizabeth Winstead) e Gary Webb (Jeremy Rener)
L'esiguo spazio riservato a La regola del gioco da Best Movie (sx) e Ciak

lunedì 22 giugno 2015

Le anteprime di giovedì 25 giugno

le locandine dei film in uscita © cineluk
Ted è tornato, la coppia Diane  Keaton/Morgan Freeman commuove e poi, fuoco su Scientology. Scopri le anteprime dei film in uscita giovedì 25 giugno.

by Luca Ferrari

In un'epoca sempre più dominata da blockbuster e fantasy, lui non poteva certo mancare: il sequel dell'orsacchiotto Ted (2012), sempre diretto da Seth MacFarlane. Persa Mila Kunis, la new entry è Amanda Seyfried (Cappuccetto rosso sangue, Mamma mia, Les Miserables) già al fianco del regista (in carne e ossa) nel recente Un milione di modi per morire nel West (2014), sempre diretto da se medesimo. Spalla del teddy bear, ovviamente il suo amichetto del cuore John (Mark Wahlberg).

Al centro della vicenda questa volta, il desiderio di Ted (la cui voce originale è proprio quella di Macfarlane) e della sua compagna Tami-Lynn (Jessica Barth) di avere un figlio. Ma come riuscirà nell’impresa una creatura di peluche? Meno male che il film non è stato girato in Italia se no chissà le proteste retrograde delle orde del Family Day. Ma forse anche no. Dopo tutto si tratta sempre di un essere maschile e di uno femminile.

Restando nel tema del surreale ma penetrando nella dimensione zombie-splatter, giovedì 25 giugno è anche il giorno del debutto di Contagious – Epidemia mortale (Maggie – 2015, di Henry Hobson). Abbandonate (da un pezzo) le vesti politiche di governatore della California, il vecchio Arnold Schwarznegger si è totalmente ributtato nel cinema. Dopo la suddetta pellicola, l'ex-Conan il Barbaro sarà nuovamente al cinema negli immortali panni cibernetici di Terminator Genisys (2015, di Alan Taylor) a partire dal 9 luglio.

È una storia di contemporanea dolcezza invece quella narrata da Richard Loncraine in Ruth & Alex – l'amore cerca casa (5 Flights Up – 2014), con protagonisti due cavalli di razza: Diane Keaton e Morgan Freeman, interpreti di una coppia sul viale del tramonto e decisi a vendere il loro quarantennale appartamento di Brooklyn ormai troppo cambiato per loro. Un viaggio nei ricordi e nella vita di coppia dove sarà inevitabile versare qualche lacrima tanto per chi ha già molto vissuto alle spalle sia per chi è in fase di accumulo.

Tra le altre pellicola in uscita Big Game – Caccia al presidente (2014, di Jalmari Helander) con Samuel L. Jackson nelle vesti del Presidente degli Stati Uniti, il particolare Noi siamo Francesco (2014, di Guendalina Zampagni) incentrato sulla figura di un ragazzo nato senza braccia e l'interessante documentario Napolislam (2014, di Ernesto Pagano), alla scoperta dei cittadini partenopei convertitisi all'Islam.

Last but not least, il mondo (fasullo) della moda religiosa di Scientology, con il documentario Going Clear: Scientology e la prigione della fede (2015, di Alex Gibney), tratto dall'omonimo romanzo scritto da Lawrence Wright, vincitore del premio Pulitzer. Una pellicola capace di mettere in discussione tutto il mondo immaginifico spacciato dal suo fondatore L. Ron Hubbard, su cui aveva già preso ispirazione Paul Thomas Anderson per il suo The Master, film presentato al 69° Festival di Venezia.

Un'autentica gabbia quella creata da Scientology capace di lavare pericolosamente il cervello (prassi per altro tipica alla stragrande maggioranza delle religioni), e impedendone l'abbandono (prassi tipica delle più violente sette segrete) con ogni mezzo, aggiornandosi ai tempi moderni. Nel caso specifico, chiedere informazioni al fuoriuscito regista Paul Haggis (premio Oscar per Crash). Per i suoi sostenitori invece, su tutti il fanatico Tom Cruise, Scientology ha quella verità assoluta che, ovviamente, nessun altro è in grado di vedere, propagandare... e far profumatamente pagare.

Andate al cinema, e buona visione!

Ted 2 (2015, di Seth MacFarlane)
Ruth & Alex – l'amore cerca casa (2014, di Richard Loncraine)
Contagious – Epidemia mortale (2015, di Henry Hobson).

venerdì 19 giugno 2015

A due giorni e una notte dalla fine

Due giorni, una notte - l'esausta Sandrà (Marion Cotillard)
Il ricatto del padrone-sfruttatore alla classe lavoratrice intimorita. Lì nel mezzo, il destino di una donna. Due giorni, una notte (2014, di Jean-Pierre e Luc Dardenne).

di Luca Ferrari

Un momento hai la tua vita tra le mani. Ti sei offerta di preparare un paio di torte per la gita scolastica di tuo figlio. Non vivi nel lusso ma le bollette le paghi sempre. Pensi già alle prossime vacanze. Un attimo dopo anche una lampadina rimasta accesa un minuto in più diventa un problema. Che cosa è cambiato? Hai perso il tuo lavoro. Senza preavviso. Senza solidarietà. Scaraventato sulla strada nel moderno terzo millennio pieno di progresso senza che nessuno voglia/possa fare nulla per te. I registi belgi Jean-Pierre e Luc Dardenne (fratelli) raccontano il dramma del moderno precariato: Due giorni, una notte (2014, Deux jours, une nuit).

Il mondo del lavoro è cambiato. È peggiorato. I diritti scritti sulla carta non valgono più nulla. Le nuovi leggi sono create appositamente per essere aggirate a favore dei nuovi latifondisti del tempo determinato. Ai nuovi padroni non interessa nemmeno più guadagnare davvero (la non-crescita economica lo dimostra, ndr). Le redini dell’impiego sono in mano a ignoranti aguzzini incaricati di sfruttare ed esercitare il loro potere di piccoli burocrati. Le associazioni sindacali hanno ormai abdicato alla ribellione, mutando in scrostati monoliti dediti ai falsi miti. E a rimetterci ci sono sempre loro. Ci siamo noi. Uomini e donne ormai prostrati ai capricci di chi ha lo scettro.

Sandrà (Marion Cotillard) lavorava in una piccola azienda di pannelli solari. Negli ultimi tempi è rimasta a casa dal lavoro a causa di una forte depressione. Al suo rientro però la situazione è cambiata. Il titolare ha proposto a ciascuno degli altri dipendenti un bonus di 1000 euro in cambio del licenziamento della donna, mentendo sul fatto che sarebbe toccato a uno di loro in caso di rifiuto. C’è stata una votazione e ovviamente ognuno ha scelto i soldi.

Intercettato il proprio caporeparto, quasi al limite dell’accattonaggio Sandrà ottiene la possibilità di far rivotare il lunedì successivo. La donna dunque, moglie e madre di due bambini, ha a disposizione il sabato e la domenica per provare a convincere i suoi colleghi a ripensarci e riflettere un momento sul futuro della sua famiglia. Di fare una scelta rivoluzionaria: mettere un essere umano dinnanzi al proprio tornaconto.

Accompagnata dal fedele marito Manù (Fabrizio Rongione) e sempre sostenuta dall’amica Juliette (Catherine Salée), Sandrà passa in rassegna le abitazioni di tutti i colleghi. L’incipit è sempre lo stesso, le reazioni (ovviamente) differenti. C’è chi accetta, sostenendola senza se e senza ma. C’è chi “vorrei ma non posso proprio”. C’è chi la aggredisce a mal parole. C’è chi ha paura delle conseguenze di un gesto inviso alla direzione. Ed è qui il problema. Grazie a meschinità, Sandrà deve essere licenziata. Il suo disperato tentativo di salvare il posto altro non è che un “rompere le palle”, come l’apostrofa il perfido Jean-Marc (Olivier Gourmet).

Sandrà piange, non vuole più lottare. Non vuole più investire energie in una guerra che sa fin da principio è certa avrà un unico tragico finale: il suo licenziamento. Con alti e bassi, ricadute che le costano una lavanda gastrica d’urgenza, Sandrà arriva comunque fino in fondo. In attesa del risultato della votazione qualcosa comunque è cambiato dentro di lei. Un tempo aveva paura di affrontare le avversità. In quest’ultimo sfiancante fine settimana ha scoperto di saper lottare e di voler lottare. Il prof. Malley (Robert Redford) di Leoni per agnelli sarebbe fiero di lei. E adesso si, ho capito anch’io perché è importante mettersi in gioco anche se non otterrai quello per cui hai lottato. Forse nel conto in banca no, ma dentro di te di sicuro. E la nuova linea del destino prenderà un’altra strada.

Candidata agli Oscar 2015 come Miglior attrice protagonista, Marion Cottilard (già Academyzzata in Le Vie en Rose) è a dir poco superlativa in un ruolo così drammatico. Chiunque abbia perso il lavoro e si sia ritrovato nella situazione di dover ripartire da zero senza prospettive, non avrà difficoltà a ritrovarsi nello sguardo spento di Sandrà. Nel suo fisico più emaciato del solito, l’attrice francese trasmette fragilità. Si percepisce il suo respiro appesantito. E quando esausta si rifugia nel letto per dormire e non pensarci più, sa bene che non sarà così. È tutto vero. L’incubo della miseria per sé e la propria famiglia non è più un’ipotesi ma una tetra realtà.

Due giorni, una notte dei fratelli Dardenne è un film che fa star male. Realistico. Di notizia comune e quotidiana, eppure si va comunque avanti. Due giorni, una notte è una pellicola di cui si è parlato troppo poco a dispetto di pacchianate hollywoodiane da due soldi. La linea d’altronde è sempre quella. Impedire a chiunque di opporsi alla corrente cosicché gli sfruttati continuino a essere sfruttati e semmai se la prendano con i nuovi sfruttati mentre la classe dirigente continuerà a intascare. Sempre che alla prossima votazione i lavoratori non siano tutti, e ribadisco TUTTI, davvero uniti.

Guarda il trailer di Due giorni, una notte

Due giorni, una notte - Sandrà (Marion Cotillard) prova a convincere un collega
Due giorni, una notte - Sandrà (Marion Cotillard) prova a convincere un collega
Due giorni, una notte - Sandrà (Marion Cotillar) tra i colleghi che la sostengono
Due giorni, una notte - Sandrà (Marion Cotillard) ribatte a Jean-Marc (Olivier Gourmet)

mercoledì 17 giugno 2015

Le anteprime di giovedì 18 giugno

La regola del gioco (2015, di Michael Cuesta)
Scopri i nuovi film in uscita giovedì 18 giugno. Viaggio tra giornalismo d’inchiesta, incubi online, avventure animate, commedie italo-americane e la magia della vita.

by Luca Ferrari

Thriller, commedia, inchieste giornalistiche, animazione e l’incredibile evolversi dell’amore. Da giovedì 18 giugno sul grande schermo è tempo di nuovi interessanti sbarchi, come sempre, nel segno della diversificata varietà. Dopo le fatiche solitarie di Wild, la premio Oscar Reese Whiterspoon torna nel più soft Fuga in tacchi a spillo (Hot Pursuit, 2015 – Warner Bros.) di Anne Fletcher nei panni di una inflessibile poliziotta alle prese con un difficile caso di protezione di una boss della droga (Sofia Vergara), cosa non molto ben vista da colleghi corrotti e altri “poco simpatici” personaggi.

Di tutt’altro stato d’animo l’horror Unfriended (2014 – Universal) di Levan Gabriadze. Uno scherzo sul web con tanto di video ha portato la fragile Laura a farla finita, suicidandosi. A distanza di un anno quei ragazzi autori involontari di un simile gesto non hanno idea di cosa li aspetta. Questa volta non sarà lontanamente uno scherzo. Questa volta il boomerang tornerà indietro e farà davvero molto male

A dispetto delle esagerate denigrazioni da cui troppo spesso viene bersagliato sui social network, il giornalismo è ancora capace di scrivere grandi storie, rivelare segreti e cambiare qualche corso. A ricordarci l’importanza di questo mestiere e il coraggio dei suoi alfieri, il regista Michael Cuesta che porta sul grande schermo la vera storia del giornalista premio Pulitzer Gary Web (Jeremy Renner) con La regola del gioco (Kill the Messenger, 2015, BIM Distribution). Il suo acume lo porterà a scoprire un impensabile traffico di stupefacenti le cui fila vengono tirate dal cuore della politica statunitense. Un impegno quello del reporter che rischierà di costargli molto caro. Insieme all’Avenegersiano Occhio di Falco, ci sono anche Paz Vega, Andy Garcia e Ray Liotta.

Il filone natalizio i fratelli Enrico e Carlo Vanzina l’hanno ormai abbandonato da tempo, così pure le facilonerie volgarotte di quell’Italia trita e ritrita. In questa loro nuova avventura, Torno indietro e cambio vita,  i due registi si affidano ai volti puliti di Raoul Bova e Ricky Memphis, in un viaggio indietro nel tempo agli inizi degli anni Novanta per scoprire se e cosa sarebbe potuto cambiare se non vi fosse stato quel tal incontro sentimentale, anche se, come spesso ci ha insegnato la cinematografia (e la vita), le sorprese non mancano. Ritrovandosi, magari con un altro percorso, allo stesso punto di prima. Per scoprire come andrà ai due protagonisti, non resta che accomodarsi in sala.

Prendano note le mamme e i papà di bambini piccoli. In attesa che arrivi l’applauditissimo (a Cannes) Inside Out, il nuovo (capo)lavoro della Pixar, ci si potrà divertire con il danese Albert e il diamante magico (2015 - Notorious Pictures) diretto da Karsten Kiilerich. Una storia questa molto educativa che vede protagonista il piccolo Albert, capace di riflettere sui propri errori e per questo diventare un eroe.

Per chi ama infine quelle storie talmente dolci da sembrare vere (e infatti lo sono), segnatevi questo titolo: Teneramente folle (Infinitely Polar Bear, 2015 - Good Films) di Maya Forbes. Maggie (Zoe Saldana) e Cameron (Mark Ruffalo) sono una coppia sposata con due figlie. Lui ha avuto un grosso esaurimento e ha perso il lavoro. Per rilanciarsi a livello economico, Maggie si trasferisce a NY per una borsa di studio che le potrebbe aprire le porte di futuri lavori ben retribuiti. Toccherà quindi all’instabile padre prendersi cura da solo delle due bambine.

Andate al cinema, e buona visione!

Fuga in tacchi a spillo (2015, di Anne Fletcher)
Torno indietro e cambio vita (2015, di Enrico e Carlo Vanzina)
 Albert e il diamante magico (2015 di Karsten Kiilerich)
Teneramente folle (2015, di Maya Forbes)
le locandine dei film in uscita © cineluk

venerdì 12 giugno 2015

Pitza e datteri, Islam e libertà

Pitza e datteri (2015, di Fariborz Kamkari)
Un giovane imam viene mandato a Venezia per aiutare l’imbranata e sfrattata comunità musulmana. Tra fede e modernità, Pitza e datteri (di Fariborz Kamkari).

di Luca Ferrari

Islam
, integrazione e progressismo, il tutto immerso nei problemi della vita quotidiana di una Venezia popolare dove la comunità musulmana locale non ha più una sede dove riunirsi e pregare. Per di più la neo-proprietaria dell’edificio, Zara (la franco-africana Maud Buquet) è una decisa donna d’affari che ha trasformato il loro luogo di fede in un salone di bellezza unisex per pagare i debiti del marito (arrestato). In loro soccorso arriva direttamente dall’Afghanistan, il giovane imam Saladino (l’attore calabrese-magrebino-parigino cresciuto a Treviso, Mehdi Meskar). A ben guardare però, un po' troppo giovane e soprattutto inesperto.

Dopo la pregevole opera I fiori di Kirkuk (2010), il regista curdo Fariborz Kamkar dirige Pitza e datteri (2015), distribuito da Bolero Film.

Perni della comunità islamica, il presidente Karim (Hassani Shapi), un egiziano italianizzato, Bepi (Giuseppe Battiston), veneziano convertito all'Islam, l'immigrato curdo Ala (il siciliano Giovanni Martorana), la musulmana progressista Fatima (l’italo-africana Esther Elisha) e il pizzaiolo Aziz (Gaston Biwolé), sposato con una ruspante veneziana più interessata al sesso che non alla preghiera. Ma chi sono questi uomini e donne? Persone semplici alla ricerca il del proprio posto nella vita, con i propri limiti e paure. C'è chi è già pronto a cambiare, e chi più legato al passato. E si battono per questo. Come chiunque altro al mondo.

Scherzando con certi estremismi ma senza mai venire meno al rispetto per il credo, la pellicola scorre piacevole senza lesinare gag divertenti, con l’imponente Battiston in prima linea e in strabordante stato di Oliver Hardy (il giorno che troverà uno Stan Laurel moderno formerà una coppia che potrebbe ridisegnare la comicità italiana, ndr). In fuga dall’inflessibile funzionario Lo Turco (Leonardo Castellani) con lo sfratto esecutivo in mano, la sua goffa corsa è supportata da poco eleganti improperi in dialetto (su tutti basime il cueo - trad. "baciami il c***").

A sorridere però si comincia fin dall’inizio della pellicola, con l’ancor più maldestro tentativo dei fedeli di impedire alle forze dell’ordine di arrestare un loro compagno (il marito di Zara), proprio nel momento della preghiera in collegamento skype con un imam dall'Egitto. Nel più classico (e inevitabile) degli scontri familiari poi, Karim prova a chiudere la figlia in camera per non farla vedere a Saladino con gli empi vestiti occidentali, e addirittura mettendo un burqua alla moglie che non essendo troppo pratica, va a sbattere contro la porta poiché sprovvista di buchi per gli occhi. 

Emblematica la figura dell'imam, passato dai deserti afgani alle acque della laguna senza alcuna esperienza per salvare una situazione che, “forse”, è più semplice di quanto si possa immaginare. La sola ragione per cui è stato mandato è che conosce l’italiano imparato in un ospedale di Kabul. E così, dall’alto della sua ingenuità, passa dal proporre candidamente la lapidazione di Zara a sposare in pieno le richieste delle mogli musulmane, desiderose anch’esse di avere un ruolo attivo nella loro comunità.

Bepi invece è un uomo profondamente insicuro che ha bisogno di sposare i precetti più rigidi della religione per dare un senso alla propria vita. Segnato dal precoce abbandono paterno e ultimo erede di un nobile casato veneziano ormai decaduto, nelle sue parole più riottose traspare un ingenuo tentativo di crociata contro il sistema degno della politica più pacioccona del PepponeGuareschiano. Ce l’ha con le banche, con i costumi occidentali. Cerca un mondo che lo accolga, e alla fine lo troverà. Di nuovo.

Girato interamente a Venezia in particolare nel sestiere di Cannaregio, Pitza e datteri è un viaggio nella città poco turistica con incursioni lungo la Fondamenta degli Ormesini, il campiello di Santi Apostoli e altre zone poco distanti e meno in vista, il tutto scandito dalle note multietniche dell’Orchestra di Piazza Vittorio. Curiosità, il salone di Zara, situato fronte il Rio della Misericordia, è a due passi dal primo ristorante afgano-pachistano di Venezia, inaugurato qualche anno fa.

Tra ironia e riflessioni (malinconica la frase di Karim durante la ricerca di una stanza, Appena dico che è per pregare l’Islam mi dicono di no), Pitza e datteri lascia emergere la voglia/realtà di confrontarsi e proseguire il cammino insieme anche se non si è sempre d’accordo. Ognuno con la propria fede, ma comunque insieme. Sotto lo stesso cielo. Nella stessa città cosmopolita.

Guarda il trailer di Pitza e datteri

Pitza e datteri - Saladino (Mehdi Meshkar),
il presidente della comunità Karim (Hassani Shapi) e Ala (Giovanni Martorana)
Pitza e datteri - Saladino (Mehdi Meshkar) e Bepi (Giuseppe Battiston)
Pitza e datteri - Saladino (Mehdi Meshkar) fra le donne musulmane
Pitza e datteri - la parrucchiera Zara (Maud Buquet)
Pitza e datteri - Bepi (Giuseppe Battiston)

mercoledì 10 giugno 2015

Anteprime 11 giugno, un'eruzione di cinema

Vulcano – Ixcanul (2015, di Jayro Bustamante)
Vulcano, The Salvation, le nuove commedie italiane e le ripetizioni giurassico-hollywoodiane. Le anteprime dei film in uscita giovedì 11 giugno.

by Luca Ferrari

L’estate ribolle e così pure il grande schermo. Da giovedì 11 giugno irrompono pellicole che più diverse non potrebbero essere. Nel solco del “Rifaccio perché non ho idee”, ecco il 4° capitolo della saga dei dinosauri, Jurassic World (2015, di Colin Trevorrow) con Chris Pratt e Bryce Dallas Howard, sempre tratto dai romanzi di Michael Crichton. A parte i costosissimi e mirabolanti effetti speciali che lasceranno esterrefatti gli spettatori, c'è da chiedersi dove sia la novità rispetto al Jurassic Park (1993) di Steven Spielberg. La storia è sempre quella. Un parco a tema. Le creature preistoriche scappano al controllo umano. Due bambini terrorizzati (oltre al resto dei visitatori). L’eroe.

Il west selvaggio è invece il protagonista di The Salvation (di Kristian Levring). Un mondo spietato dove, manco a dirlo, è la legge del più forte a spadroneggiare (e svillaneggiare). Adesso però c'è un problema ulteriore. Il fratello del brutale colonnello Delarue (Jeffrey Dean Morgan) è stato ucciso e finché non troverà il colpevole, per la gente di Black Creek, inclusa la vedova Madeleine (Eva Green), sono in arrivo terribili rappresaglie. Toccherà a uno straniero, l'ex-reduce di guerra danese Jon, riequilibrare le sorti. A infondere carisma e dramma al protagonista, l'ottimo Mads Mikkelsen (Casino Royale, Royal Affair, Il sospetto). Nel cast anche l'ex-calciatore Eric Cantona, all'ennesima prova cinematografica.

Sul fronte tricolore, ecco un film che siamo certi offrirà molti spunti di riflessione, Le badanti (di Marco Pollini). Ambientato nell'ormai ex-locomotiva d'Italia, il nordest italiano, la storia racconta di Carmen (Nadiah M.Din), Irina (Anna Jimskaya) e Lola (Samantha Castillo). Dopo una serie di spiacevoli incontri e vicissitudini, le tre donne decidono di trasferirsi in provincia di Verona ove iniziano a lavorare alla Casa di Cura “Villa Bella”. Saranno proprio loro, le ultime arrivate, a diventare il baluardo della legalità contro certi giochi sporchi della classe dirigente.

Nel solco della riscoperta delle proprie radici dove il paese ha molto di più da offrire rispetto alla metropoli, ecco entrare in scena un’altra pellicola nostrana; Io, Arlecchino.  Divertente commedia con inevitabili incursioni nel dolore, diretta da Matteo Bini e Giorgio Pasotti, quest’ultimo poi protagonista del film nei panni del conduttore di un talk show, Paolo, costretto ad abbandonare la città capitolina per far ritorno nel Bergamasco e stare vicino all’anziano padre malato, attore teatrale che vuol passare gli ultimi mesi di vita nel nome della recitazione della Commedia dell’Arte. Toccherà proprio a Paolo indossare maschera e colori, incominciando così un viaggio dentro e fuori di sé.

Prosegue il viaggio delle anteprime con le risate a stelle e strisce di Affare fatto (2015, di Ken Scott), il cui titolo in lingua originale, Unfinished Business, curiosamente significa l’esatto contrario (Business incompiuto). Protagonisti della vicenda, un piccolo uomo d’affari (Vince Vaughn) e i suoi dipendenti (Tom Wilkinson e Dave Franco) in trasferta per il colpo finanziario della loro vita. A complicare i piani, la loro ex-capa (Sienna Miller).

Standing ovation infine per il vincitore del Premio Alfred Bauer all’ultimofestival di Berlino, il franco-guatemalteco Vulcano – Ixcanul (2015, di Jayro Bustamante), ambientato in una comunità Maya scandito dall’impossibilità di cambiare il proprio destino. Al centro della scena, la giovane Maria (María Mercedes Coroy), decisa a ribellarsi alla strada già scritta (da altri) di un matrimonio combinato. Lei vuole altro. Lei ha deciso che non si accontenterà di non decidere. E come quel vulcano alle cui pendici lei e la sua famiglia piantano il caffè, a dispetto delle difficoltà la ragazza farà esplodere la sua vita verso la sua vera destinazione.

Andate al cinema, e buona visione!

Jurassic World (2015, di Colin Trevorrow)
The Salvation (2014, di Kristian Levring)
 Le badanti (2015, di Marco Pollini)
le locandine dei film in uscita, by cineluk

lunedì 8 giugno 2015

La guerra di Fury

Fury (2014, di David Ayer)
Per portare a termine il lavoro più bello del mondo (la guerra), come ripetono i protagonisti, ci vuole Wardaddy e il suo carro armato Fury.

by Luca Ferrari

L'onda sta arrivando e noi siamo lo scoglio che la spezzerà, sentenzia il tenente Don Collier detto Wardaddy (Brad Pitt) dinnanzi alla nuova minaccia nazista che di lì a poco dovranno affrontare e piegare. Lui comanda un carro armato con a bordo i fidati Gordo (Michael Peña), il religioso Bibbia (Shia LaBoeuf) e il grezzo ma non meno leale Coon-Ass (Jon Bernthal). A questi si è unito l’acerbo ex-dattilografo Norman (Logan Lerman) presto ribattezzato Machine. Incapace in principio di uccidere chiunque.

Dalla guerriglia urbana "stradaiola" di End of Watch - Tolleranza zero (2012) alle macerie belliche, David Ayer dirige Fury (2014).

È la sporca II Guerra Mondiale. Wardaddy ha combattuto ovunque. Ormai resta solo l’ultima meta da conquistare: la Germania, ma di ritirarsi i nazisti non ci pensano proprio. Chi avesse queste vergognose inclinazioni o non volesse mandare il proprio figlio a fare il suo dovere, viene impiccato dalle SS senza troppi problemi. Hitler ha dichiarato la guerra totale. Militari o meno, uomini, donne o bambini, sono tutti precettati a imbracciare un fucile e respingere gli invasori.

Wardaddy è uno che sa il fatto suo. È suo dovere svezzare il giovane Norman fino a obbligarlo a sparare a morte. Allo stesso tempo però, è prodigo anche di gentilezze. Entrato in una casa di una città appena occupata, si dimostra cordiale verso due donne senza la minima intenzione di violenza. E anzi, quando arriva il resto dei commilitoni, ne prende le difese alzando con i suoi la voce. È lì che Norman incontra Emma (Alicia von Rittberg) con la quale già sogna una vita insieme d’amore.

La battaglia però non ha tempo per l’amore, perché come dice Don: gli ideali sono pacifici, la guerra è violenta. Eccoli allora di nuovo in marcia. Sulla canna del loro carro armato c’è la scritta Fury. È tempo di una nuova difficile missione. Raggiungere un incrocio e far fuori corazzati anticarro. Tutto sembra procedere per il meglio fino a quando una mina sul loro cammino spacca uno dei cingolati. A peggiorare le cose, l’arrivo di una colonna nemica. Che fare? Wardaddy non è uno che si ritira e non ha certo intenzione di cominciare ora...

Presentato in pompa magna dalla stampa estera come uno dei miglior film di guerra degli ultimi tempi (non che ce ne siano stati assai e di particolare valore), Fury poggia un po’ troppo sul carisma cameratesco di Brad Pitt, per altro perfettamente in grado di dare credibilità al ruolo accentuando forse un po’ troppo l’odio antinazista che inevitabilmente rimanda al “bastardo senza gloria” Aldo Raine, tenente anch’esso.

Ben amalgamato il resto della truppa, sebbene un po’ scontata la figura di Bibbia. Soldato credente sempre pronto a far la morale a tutti, con lati anche umoristici. Se dopo l’ennesima presa, lui se ne sta seduto a leggere il Sacro Verbo, i due compari se la spassano a turno con una ragazza del posto. Un finale poi che puzza tremendamente di 300 Snyderiano, con quella ripresa che via via dal basso si solleva verso l’alto lasciando sotto di sé i tanti caduti che si sono sacrificati per sconfiggere il Serse di turno (Adolf Hitler).

Guarda il trailer di Fury

Fury – Don Collier detto Wardaddy (Brad Pitt)
Fury – Trini Garcia detto Gordo (Michael Peña)
Fury - Boyd Swan detto Bibbia (Shia LaBeouf)
Fury – Emma (Alicia von Rittberg) e Norman Ellison detto Machine (Logan Lerman)
Fury – (in alto da sx) Coon-Ass, Wardaddy, Bibbia, Machine e Gordo

venerdì 5 giugno 2015

In viaggio con I Goonies

I Goonies tra Cannon Beach e Ruby Beach
A trent’anni dallo sbarco sul grande schermo, viaggio sul set naturale del film cult anni ’80 I Goonies tra spiagge oceaniche e la cittadina di Astoria.

di Luca Ferrari

Una storia generazionale. La banda dei Goonies. Quattro ragazzini di un normalissimo quartiere di una cittadina americana partono per un’incredibile avventura alla ricerca di un tesoro pirata che li porterà a confrontarsi con pericolosi criminali. Certo, un conto è vedere (e rivedere) il film I Goonies (1985, di Richard Donner con sceneggiatura tratta da un soggetto di Steven Spielberg), un conto è ritrovarsi dentro il film. Lì dove la pellicola è stata ambientata.

La sveglia suona presto la mattina. L’Italia l’ho abbandonata da qualche giorno ormai. Ho attraversato l'intero Atlantico fino a sbarcare all’estremo nordovest statunitense, a Seattle. Qualche giorno fa ero a North Bend, teatro naturale de I segreti di Twin Peaks. Oggi è il giorno di un altro indimenticabile viaggio. Presto abbandonerò lo stato di Washington sconfinando nel vicino Oregon per puntare deciso verso il mondo de I Goonies.

Dopo essermi saziato di un verde sconfinato, superato anche l'Astoria-Megler Bridge, faccio il mio trionfale ingresso ad Astoria e la mia prima tappa non può che essere lui, l’Oregon Film Museum. Ehi ma, un momento. Ci ho visto bene? Che c’è scritto? County Jail? Ma allora, è un museo del cinema o una casa di reclusione? Ma certo, è la prigione dov’era rinchiuso il pericoloso Francis Fratelli. Lì dove ha inizio il film I Goonies...

...Mikey (Sean Astin), Chunk (Jeff Cohen), Data (Jonathan Ke) e Mouth (Corey Feldman) sono quattro inseparabili amici che a breve dovranno dirsi addio. Mikey e la sua famiglia infatti sono stati sfrattati e devono abbandonare la città di Goon Docks (Astoria), così per la banda dei Goonies sta per calare il sipario. Ed è lì, in un ingenuo rovistare in soffitta che si ritrovano tra le mani la mappa del tesoro dele famoso pirata Willy l'Orbo.

La banda si mette subito in azione. Di tempo ce n'è davvero poco prima che arrivi l'ufficiale giudiziario dai Walsh. Fantasia o realtà, vale la pena tentare. E se esistesse davvero? Ai quattro ragazzini si uniscono presto anche il fratello maggiore di Mikey, Brandon (Josh Brolin), la ragazza di questi Andy (Kerri Green) insieme alla sua amica Stef (Martha Plimpton).

Sulle orme di questo fantomatico tesoro però si metterà anche la banda dei Fratelli al gran completo capitanata dalla spietata mamma (Anne Ramsey) e i due figli Jake (Robert Davi) e Francis (Joe Pantoliano). Ho detto due? In effetti ce ne sarebbe anche un terzo. Abbandonato e incatenato in una cantina: Sloth (John Matuszak). Un mostro in apparenza. Una persona coraggiosa e di cuore in realtà che solo l'innocenza e il grande cuore dei Goonies saprà liberare (in tutti i sensi).

"Questo film ha segnato la mia adolescenza" racconta emozionata Emy Santoro, "ma più che la trama in sè o la storia, i luoghi, quel mare, quel verde, quell'atmosfera così reale, avvolgente. Non so nemmeno come descriverla. Ancora adesso ogni tanto mi ritrovo nella cameretta di Micky a sognare. Ancora adesso, di tanto in tanto, mi metto a cercare il mio tesoro".

La domanda sorge spontanea. Ci sarà lo stesso affetto per i Goonies da parte dei nuovi teen cresciuti tra social network, eroi Marvel e sentimenti Edward-Belliani? “Non li conoscono assolutamente” risponde Luca Maragno, Direttore Editoriale del mensile Best Movie e Movieforkids, “I Goonies mettevano in scena un’avventura di ragazzi di varia età, dai 10 ai 18 anni. C’era quasi un effetto Gardaland, narrato a tratti anche con un po’ d’ingenuità. I Goonies erano un’avventura fantastica ma realistica. Un’avventura dietro la porta di casa”.

Ma con tutte queste rivisitazioni-remake degli anni '80 (Robocop, Mad Max, Total Recall, etc.), non sarà mica che ci riproveranno anche con I Goonies? “Per ora non c’è alcuna notizia al riguardo” spiega ancora Luca Maragno, “ma al giorno d’oggi un prodotto simile funzionerebbe meglio nel format televisivo o di cartone animato. Nel cinema d’oggi i ragazzini sono troppo abituati agli effetti speciali”.

I Goonies sono un mondo perduto ed estinto dove nessuno aveva voglia di dimostrare quello che non era perché sapevamo esserci un età per tutto. E anche se nel mio caso una mappa ha dovuto aspettare quasi 16 anni per essere completata, la meraviglia del ritrovarsi insieme in quello stesso punto del mondo ha trasformato un sogno in un'immortale e indimenticabile realtà.

Così, dopo un lungo flash back cinematografico, è tempo di vivere anch’io la mia avventura. E si comincia con la ricerca della casa della famiglia Walsh, autentico punto di ritrovo per fan di tutto il mondo. In questi giorni poi, The Goondoscks ha organizzato grandi eventi per l’appuntamento dei 30 anni (che cade il 7 giugno). Qualcuno inevitabilmente sfoggia qualche pezzo storico d'epoca. Inutile dire che nell’mp3 pompa incessante Cindy Lauper e la sua Good Enought, colonna sonora del film passata anche sul televisone mentre Brandon si fa i muscoli, insieme a Girls just want to have fun (anch'essa presente nel film).

Una piccola salitina e poi eccomi lì. Dopo qualche sbaglio, un rimedio non digitale. Un cartello con su scritto: “Private Drive, GOONIES, on foot welcomed. NO CARS PLEASEGuida privata, si prega di venire a piedi. Niente macchine, per favore”. Uao! Sono lì dove ogni adolescente dell’epoca si identificò. Oggi appartiene a una famiglia ebrea. Lì fuori sventolano affiancate una bandiera degli Stati Uniti e una dello stato d’Israele. Visto il costante viavai di persone e flash, c'è una piccola cassetta per un’offerta.

Ma questa non è che una tappa. Restando in tema d’inizio film, mi rimetto in moto per Cannon Beach. È lì che la banda Fratelli sfugge alla polizia, ed è sempre lì che Mickey capisce che non è una leggenda né un gioco la mappa del tesoro, ma un'incredibile realtà nella quale tuffarsi.

La secca è immensa. Il vento soffia. Nonostante sia quasi estate il clima è ancora fresco ma non posso esimermi dall’immettere i piedi nell’acqua se no che avventura sarebbe? E così faccio. L’oceano Pacifico è davanti a me. Passato e futuro si guardano fondendosi in un presente che non potrebbe essere più amichevolmente fraterno. I tre picchi rocciosi, misteriosi come dal piccolo schermo, mi guardano minacciosi e pazienza se non ho un medaglione, provo a usare le mie dita lasciandoli prendere forma e significato.

Ci sono. Sento che sono sempre più vicino. Mi rimetto al volante e questa volta tocca a Ruby Beach. Lì, nella piana risolutiva dove tutto sembrava perduto per la famiglia Walsh. Lì rompo gli ormeggi e inizio una liberatoria corsa sempre più verso l’orizzonte incurante dell’acqua che mi entra nelle scarpe. Corro verso la mia vita e una nuova vita. Corro, tra il mare e il vento. Corro insieme a trent'anni di Goonies dentro e a fianco a me.

Guarda l'inizio del film I Goonies

Astoria (Oregon, USA) - il Film Museum (prigione nel film) © Luca Ferrari
Astoria (Oregon, USA), verso la casa de I Goonies © Luca Ferrari
Astoria (Oregon, USA), la casa de I Goonies © Luca Ferrari
Astoria (Oregon, USA), © Luca Ferrari
I Goonies - Chunk (Jeff Cohen), Mikey (Sean Astin), Mouth (Corey Feldman) e Data (Jonathan Ke)
I Goonies - Mikey (Sean Astin)
I Goonies - (da sx) Andy (Kerri Green), Brandon (Josh Brolin), Mouth (Corey Feldman), Mikey (Sean Astin), Data (Jonathan Ke), Chunk (Jeff Cohen) e Stef (Martha Plimpton)
I Goonies - Chunk nelle grinfie della banda Fratelli:
Francis (Joe Pantoliano), Jake (Robert Davi) e mamma (Anne Ramsey)
I Goonies - Sloth (John Matuszak)
Cannon Beach (Oregon, USA) © Antonietta Salvatore



Cannon Beach (Oregon, USA) © Antonietta Salvatore
Ruby Beach (Oregon, USA) © Antonietta Salvatore