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venerdì 15 aprile 2016

Noi correremo Veloce come il vento

Veloce come il vento - Giulia (Matilda De Angelis) e Loris (Stefano Accorsi)
La famiglia De Martino è a pezzi ma continua a lottare affrontando ogni insidiosa curva della vita. Solo così potrà ricominciare a correre Veloce come il vento (2016, di Matteo Rovere).

di Luca Ferrari

Non fare una curva come fosse l’ultima, sbotta il navigato ex-campione Loris De Martino detto “il ballerino” alla giovane sorella Giulia. Scritta in questo modo potrebbe sembrare una normalissima conversazione familiare scuderia-pilota. Non è così. Dietro un casco e due cuffie c’è un intero mondo privato-provato. La pista come la vita ha le proprie insidie, e non tutti siamo/saremo in grado di gestire sbandate o trionfi. Per farcela bisogna saper osare. Fermarsi e ripartire, andando se necessario Veloce come il vento (2016, di Matteo Rovere).

Giulia De Martino (l'esordiente Matilda De Angelis) è una giovane promessa delle quattro ruote GT (Gran Turismo). L’esperto padre Mario (Giuseppe Gaiani) insieme al fido e vecchio meccanico Tonino (Paolo Graziosi) la allena. In palio non c’è solo un titolo da conquistare, ma addirittura il proprio futuro. Le cose però si complicano dopo una delle prime gare. Ecco allora risbucare dal nulla il fratello di lei Loris (Stefano Accorsi), ex-campione rally ormai diventato un magro tossicomane che vivacchia in un camper hippy insieme alla fidanzata Annarella (Roberta Mattei), anch’essa dedita all’uso di pesanti stupefacenti.

Loris si ripresenta alla porta della sua vecchia casa e l’accoglienza è al limite (inevitabile) dello scontro fisico con l’agguerrita Giulia, che a dispetto dei suoi acerbi 17 anni, è matura e più combattiva che mai. Insieme a lei c’è anche il serio fratellino Nico (Giulio Pugnaghi). Non sorride mai. Giulia è una tosta ma non può fare tutto da sola e per vincere sull’asfalto c’è bisogno di qualcuno che la guidi. Qualcuno si, e non certo un barcollante pazzoide incapace di gestire la propria esistenza senza ricorrere a qualcosa nella pipa o dentro una siringa.

Qualcosa nel DNA di Loris però è rimasto vivo. Non importa quanta schifezza si possa essere iniettato o abbia sniffato. Come l’Achille omerico rivelatosi sotto femminili spoglie dinnanzi al finto mercante Ulisse che aveva abilmente nascosto tra profumi e gioielli della virili armi, così Loris nel rivedere la sua vecchia macchina, una Peugeot 205 Turbo 16, prova qualcosa. Una scintilla. Prima il silenzio, poi ecco scalare le marce della sua anima zoppicante fino all’esplosione. Schiuma di memoria arrabbiata e dissimulato ardore di rivincita. I ricordi però non bastano. C’è bisogno di (ri)premere l’acceleratore della vita.

Volaaaaaaaaaaaaaaaaaaa, grida Loris a Giulia. Lo ammetto, alla prima visione del trailer di Veloce come il vento, quell’urlo mi aveva ingannato, risvegliandomi parallelismi “Ultimo-bacieschi”. Niente di più sbagliato. Il Loris De Martino di Stefano Accorsi è un personaggio a tratti Chaplinesco e commovente. È un tossicodipendente ma con un cuore sgangherato e due occhi sinceri che paiono spesso sul punto di fermarsi in un liberatorio box di lacrime. Un po’ anarchico Jack Sparrow. Un po’ emaciato Kurt Cobain senza rock (ma sfrecciare sulle strade non è poi così diverso dal graffiare una chitarra), e quel tuffo in piscina con inquadratura acquea pare quasi un tributo alle session fotografiche dell’album Nevermind (1991) dei Nirvana di cui Kurt era il leader.

All’ennesimo scontro con Giulia, la sua figura raggiunge l’apoteosi. Loris è lì. Solo. Ripiegato sulle gambe. I capelli sporchi come pesanti liane confuse e oleose. È lì, abbattuto. Miserabile e senza nessuno al proprio fianco. Sconfitto nella vita e nei sentimenti. Non è solo la sceneggiatura originale di Rovere a esaltare Stefano Accorsi (Jack Frusciante è uscito dal gruppo, Santa Maradona, Saturno contro), è anche l’attore bolognese a portare su un altro piano la pellicola con un’interpretazione di cui si parlerà per molto tempo e su cui ogni futuro loser del cinema italiano, motorizzato o meno che sia, si dovrà confrontare.

Loris è il protagonista e allo stesso tempo non lo è. C’è la presenza fondamentale di Nico, quasi un grillo parlante di poche parole che dialoga con il proprio sguardo “occhialuto”. La sua seria innocenza non moralizza né giudica, però ti (lo) osserva e la giovanissima età saprà lasciare il segno sulle difficoltà della vita. Giulia è più standard nel suo essere adolescente matura. È una formica nel mondo degli adulti ma senza gli estremismi/isterismi esasperati di quell’età. Dice di no a Ettore Minotti (Lorenzo Gioielli), patron della scuderia rivale. Per scelta/necessità, sa che sta bruciando molte tappe.

Liberamente ispirato alla vita del pilota di rally Carlo Capone, Veloce come il vento è un film inedito nel panorama italiano. Le tentazioni di andare a sbattere sul guardrail del melodramma c’erano tutte. Matteo Rovere però è di un’altra generazione, e si vede. La sua storia s’inserisce a pieno titolo in quel filone di perdenti & riscatto, in stile Le riserve (2000, di Howard Deutch) o Hardball (2001, di Brian Robbins) ma con il giusto approccio nostrano (romagnolo).

I paragoni con i vari Rush (2013, di Ron Howard) e la saga di Fast & Furious si sono sprecati, ma aldilà del fattore quattro ruote, è più The Fighter (2010, di David O. Russell) ad avvicinarsi a Veloce come il vento. Anche lì un fratello maggiore tossico (Christian Bale smagrito, premio Oscar con questo ruolo) e uno minore (Mark Wahlberg) che lotta per riuscire dove l’altro non è mai arrivato. I protagonisti del film di Rovere sono una realtà a parte in cui le passerelle familiari sfidano le tante botole del loro cammino, speranzosi/decisi-incerti a iniziare un nuovo percorso. Trovando un modo nuovo di correre ed essere si, vacca boia!, veloci come il vento. Puntando diritti verso la linea del traguardo.

Veloce come il vento, Loris (Stefano Accorsi) prende le cuffie

Veloce come il vento - Loris (Stefano Accorsi) e Giulia (Matilda De Angelis)
Veloce come il vento - Tonino (Paolo Graziosi), Loris (Stefano Accorsi) e Nico (Giulio Pugnaghi)

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