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venerdì 29 settembre 2017

Il giardino dell'inganno sonnolento

L'inganno – il caporale McBurney (Colin Farrell) e la giovane Alicia (Elle Fanning)
L'inganno si cela ovunque. Nella guerra. Nell'anima. Nella seduzione e al cinema. L'inganno (2017, di Sofia Coppola).

di Luca Ferrari

La Guerra Civile imperversa. Nell'isolato collegio femminile in Virginia una giovanissima studentessa trova un ufficiale nordista ferito. Lo spirito cristiano la spinge ad aiutarlo e portarlo in casa per ricevere le cure. In mezzo a tante donne inesperte della vita, un uomo rischia di far saltare gli equilibri meticolosamente e rigidamente creati dalla direttrice. Adattamento cinematografico del romanzo A Painted Devil (1966, di Thomas P. Cullinan), è sbarcato sul grande schermo L'inganno (2017, di Sofia Coppola).

I cannoni tuonano. Lì, nella scuola gestita da Martha Farnsworth (Nicole Kidman) il tempo pare sospeso. Ogni tanto si fermano i Confederati senza particolari problemi. La guerra però sta volgendo a favore degli yankee e qualche giubba blu è in zona, dispersa. È così che Amy (Oona Laurence), mentre è alla ricerca di funghi nell'immenso giardino dell'edificio, incontra accasciato il caporale John McBurney (Colin Farrrell).

John è gentile. Nell'istituto ci sono ragazze di quasi ogni età. Bambine poco più che cresciute, adolescenti, donne di mondo e più esperte. Inevitabile che una presenza maschile susciti curiosità anche se trattasi del nemico. Attirare l'attenzione del caporale in principio è quasi un gioco, e così rimane per alcune di loro. Inizia al contrario una sfida di seduzione velata tra la malinconica insegnante Edwina Morrow (Kirsten Dunst) e la più spregiudicata e subdola Alicia (Elle Fanning).

Le tinte si fanno più cupe. Il bianco candore delle vesti femminili cercano sempre di più il riconoscimento. Spalle leggiadre si svelano. Il gioco della seduzione e del desiderio entra nel vivo nella (in)consapevolezza fino alle più impensabili conseguenze. I ruoli si ribaltano. Innocenza e crudeltà. Paura e ribellione. L'inganno (2017, di Sofia Coppola).

La solita Sofia. Il solito clan al femminile. Sofia Coppola non si stacca dal proprio immaginario. Sposta l'obiettivo, tratteggia un altro sfondo ma al centro della sua opera il primo piano non muta lasciando lo spettatore con un finale semplicistico. L'inganno è una storia fine a se stessa, il cui solo merito è riunire sotto la stessa telecamera tre generazioni di grandi attrici e lasciando al “maschio” un ruolo al sotto delle elevate doti di Colin Farrell.

Nicole, Kirsten ed Elle. Tre generazioni di attrici classe '67, '82 e '98. Dopo un lungo periodo di appannamento, l'ex-Satine Luhrmanniana Nicole Kidman (Eyes Wide Shut, The Others, Grace di Monaco) è tornata alla grande, conquistando anche un Emmy come Miglior attrice protagonista per la grandiosa serie telvisiva Big Little Lies. La sua Miss Farnsworth è una donna energica che deve mantenere ordine e disciplina. Un tempo figlia di un uomo facoltoso, oggi porta avanti non senza fatica una scuola per preparare giovani donne ai duri tempi della vita.

Rivista di recente nell'intenso Il diritto di contare, la mitica hostess logorroica di Elizabethtown-Kirsten Dunst oggi è una donna tremula, dal passato (probabilmente) doloroso e alla ricerca di un rifugio. L'arrivo di McBurney le fa intravedere la possibilità di fuggire da questa statica vita e sentirsi nuovamente amata. In principio rigida e guardinga, Edwina si apre sempre di più fino a mostrare la dolcezza del suo cuore.

Da tempo indicata dal sottoscritto come una futura vincitrice all'Oscar, Elle Fanning (Super 8, La mia vita è uno zoo, Maleficent) è il personaggio meno lineare de L'inganno. Ingenua, spietata e debole a seconda della circostanza. Ascolta annoiata le lezioni di francese di Miss Edwina ma la sua anima vola altrove. Fin da subito la sua Alicia cerca l'incontro con l'ospite e se c'è da tirare fuori le unghie, è pronta a graffiare. Ancora alla ricerca del ruolo che la consacrerà, a breve la si rivedrà insieme a Nicole Kidman in How to Talk to Girls at Parties (2017, di John Cameron Mitchell).

Meno incisivo del solito Colin Farrell (Daredevil, Come ammazzare il capo... e vivere felici, Saving Mr. Banks), attore versatile e capace di cimentarsi con i ruoli più disparati. I corpetti femminili sembrano quasi una parte del suo personaggio. A tratti un gentleman d'altri tempi, col passare dei minuti e della vicenda animale ferito in cerca di salvezza. Una

Sbarcato al cinema Giorgione di Venezia in un placido lunedì sera, l'atmosfera era di quelle ideali. Rispetto al Rossini, il suddetto ha un sapore d'altri tempi. Sala d'essai con il giusto numero di pubblico, una fanciulla dalla lunga chioma bionda si è seduta nella fila davanti a me. Una ragazza che sarebbe potuta uscire (davvero) dal film in visione. Una ragazza il cui giudizio sarebbe stato davvero interessante conoscere.

Sono passati quasi vent'anni dal suo primo lungometraggio, Il giardino delle vergini suicide (1999), e ancora una volta Sofia Coppola (Lost in Translation, Marie Antoniette, Bling Ring) scandisce un mondo troppo simile al passato. Più che una cineasta, la Coppola sembra una pittrice. Tela immacolata, soffici colori talvolta gravosi. Usa la tecnica e l'improvvisazione. Alla fine ne esce un ottimo quadro. Lo appendi, lo ammiri. Ti fai cullare e poi te ne vai.

Il trailer de L'inganno
L'inganno - Edwina Morrow (Kirsten Dunst)
L'inganno – Alicia (Elle Fanning), Amy (Oona Laurence), Martha (Nicole Kidman)
e Marie (Addison Riecke) preoccupate per l'evolversi della situazione
Cinema Giorgione di Venezia, in sala a leggere de L'inganno prima della proiezione © Luca Ferrari

lunedì 25 settembre 2017

Kingsman - Il cerchio d'oro

Kingsman, Il cerchio d'oro - gli agenti speciali Galahand (T. Egerton), Harry (C. Firth) e Whiskey (P. Pascal
Se i Kingsman di Sua Maestà non bastano più per salvare il mondo e piegare il cartello criminale de Il cerchio d'oro, è arrivato il momento di unirsi ai cugini di oltreoceano, gli Statesman.

di Luca Ferrari

Il mondo dello spionaggio è tornato, più in forma ed elegante che mai. Ma più forte è l'ordine e più temibile sarà il nemico. Una nuova sfida dunque attende gli Statesman. Una sfida che metterà a dura prova la loro stessa esistenza. A tre anni dalla prima incursione dei “sarti” al servizio di Sua Maestà e il Bene, è sbarcato sul grande schermo Kingsman – Il cerchio d'oro (2014, di Matthew Vaughn).

I Kingsman sono sotto attacco. Lo scartato Charlie Hesketh (Edward Holcroft) è lì fuori ad attendere il rivale proletario Eggsy Unwin, nome in codice Galahad (Taron Egerton), oggi impeccabile, elegante e super-equipaggiato. Un tentativo di eliminarlo nasconde però un piano molto più ambizioso. Un piano guidato da un misterioso boss del crimine che porterà Eggsy e il sopravvissuto Merlino (Mark Strong) ad abbandonare la Madre Patria e chiedere aiuto ai cugini d'oltreoceano, gli Statesman.

Dopo un primo scontro/incontro con l'agente Tequila (Channing Tatum), Egsy e Merlino fanno la conoscenza di Ginger Ale (Halle Berry), Whiskey (Pedro Pascal) e il loro capo Champagne "Champion" (Jeff Bridges). Da qualche tempo però, nel loro quartier generale dove fabbricano whisky, c'è una vecchia conoscenza degli Statesman. Qualcuno che in teoria sarebbe dovuto essere morto. Proprio lui, Harry Hart (Colin Firth). Unite le forze, l'obiettivo è trovare e fermare la perfida Poppy Adams (Julianne Moore).

Chi è Poppy? Una spacciatrice su scala mondiale. Ha una propria mini-città nel cuore della giungla chissà dove. Pochi e fidatissimi collaboratori, in particolare due letali cani-robot da
guardia e se qualcuno non fa come vuole lei, è meglio non scoprirlo. Amante del bel tempo che fu, Poppyland dispone di un drive-in e perfino del vero Elton John sempre a disposizione. Il suo nuovo piano è qualcosa di terribile. In ballo, la vita milioni di persone in tutto il mondo. Qualcosa cui lo stesso Presidente degli Stati Uniti (Bruce Greenwoood) guarda con fin troppo interesse.

Poppy Adams va fermata ma non è certo un'impresa facile. Come farà Eggsy a gestire lo stress visto che anche la sua fidanzata, la principessa svedese Tilda (Hanna Alström), rischia di pagarne il prezzo? Kingsman e Statesman avanzano spediti ma non tutto ciò che brilla, è destinato a splendere. C'è chi agisce nel nome della giustizia e chi in quello della vendetta. Ma sono due strade differenti che potranno collaborare fino a un certo punto. E poi?

A più riprese il regista Matthew Vaughn (The Pusher, Kick-Ass, X-Men – L'inizio) aveva dichiarato che non si sarebbe mai immaginato di dirigere il sequel di Kingsman - Secret Service (2014) se non con una buona storia in mano. Il risultato è un film piacevole, con un numero adeguato di scene d'azione abilmente mescolato a eroismo, sentimenti e risate. Un vestito d'impeccabile sartoria cinematografica degna della miglior boutique della City.

Premio Oscar come Miglior attrice protagonista in Still Alice (2014), Julianne Moore (Il grande Lebowski, Don Jon, Freeheld – Amore, giustizia, uguaglianza) lascia il segno. La sua Poppy è capricciosa e spietata. Egocentrica e in costante bisogno di riconoscimento. Un ibrido perfetto tra i presidenti di Stati Uniti e Corea del Nord, Donald Trump e Kim Jong-Un. Di punto in bianco te la aspetti in divisa della scuola di ragazza pon pon ma di dolce e innocente non ha proprio nulla.

La coppia Firth/Strong duetta alla grande. Taron Egerton si conferma spia di punta dei Kingsman, mentre le new entry yankee Channing Tatum e Pedro Pascal si ben spartiscono lo scenario d'oltreoceano. Più defilato il loro capo, il grandissimo Jeff Bridges, premio Oscar come Migliore attore protagonista in Crazy Heart. Anch'essa low profile, l'Academizzata Halle Berry (Gothica, Monster's Ball, X-Men: Giorni di un futuro passato), sulla quale prevedo un sicuro aumento di presenza nel terzo capitolo.

Nota. A partire dalla recensione di oggi, verrà sempre dedicato un paragrafo all'esperienza diretta sul grande schermo in modo che anche voi lettori abbiate la certezza che il suddetto giornalista recensisca direttamente dal grande schermo. Perso colpevolmente al cinema il primo capitolo, l'agente speciale Colin Firth (Shakespeare in Love, Il discorso del Re, Magic in the Moonlight) mi ha conquistato e tutt'ora la sua cena a base di McDonald's con Valentine (Samuel L. Jackson) mi trasmette una voglia di hamburger devastante. E lo stesso Mark Strong (Sherlock Holmes, Rocknrolla, La talpa) ha avuto un ruolo fondamentale nell'apprezzamento collettivo.

Inevitabile dunque che all'uscita di Kingsman – Il cerchio d'oro (2014, di Matthew Vaughn) fossi in prima linea. E per essere precisi, mi sono presentato al cinema Rossini di Venezia nel primo giorno di programmazione. Clima ideale, non troppo pubblico e alquanto variegato. Coppie, solitari e famiglia al gran completo. Un'immagine che ben fotografa questo film, adatto a tutti i gusti. E se il grande Harry insiste a dire che “I modi definiscono l'uomo”, io potrei aggiungere che “le parole sanciscono il valore di una recensione”. 

Il trailer di Kingsman - Il cerchio d'oro

Cinema Rossini di Venezia, in sala prima della proiezione di Kingsman – Il cerchio d'oro © Luca Ferrari
Kingsman, Il cerchio d'oro - gli agenti speciali Galahand (Tarin Egerton) e Merlino (Mark Strong)
Kingsman, Il cerchio d'oro - la terribile Poppy Adams (Julianne Moore)

venerdì 22 settembre 2017

Twin Peaks, riposa in pace

Twin Peaks - Dale Cooper (KlyeMacLachlan), Diane (Laura Dern) e Gordon Cole (David Lynch
Sogni. Realtà. Dimensioni parallele. La terza stagione di Twin Peaks (di David Lynch) è un'esasperata odissea nell'ignoto senza fine... “né fine”. Un ingresso per l'aldi-dove di una scontata nuova serie.

di Luca Ferrari

Esasperatamente onirico. Tutto arte e zero (virgola qualcosa) cinema. Dimenticate per sempre la grandiosa serie I segreti di Twin Peaks d'inizio anni '90 dove la storia e la naturale scenografia sapevano incutere angoscia pura senza chissà quali arzigogoli mentali. La terza stagione di Twin Peaks diretta da David Lynch è un confuso miscuglio di surrealismo, vecchi personaggi ridotti a misere comparse (salvo qualche rara eccezione) e un tanto decantato finale capace solo di riportare alla memoria il già “sentito” rimandando a un'altra scontata stagione. Riposa in pace, Twin Peaks.

Sono passati i fatidici 25 anni da quando l'agente speciale Dale Cooper (Kyle MacLachlan) si spaccava la testa contro lo specchio posseduto dal demone BOB (Frank Silva). Da allora non ha fatto più ritorno in quella piccola e isolata cittadina del Nordovest, in compenso si è sdoppiato in due: un feroce killer a zonzo per gli States di nome Dale Cooper e Dougie Jones, assicuratore a Las Vegas nonché problematico padre di famiglia che parla a monosillabi.

18 gli episodi in tutto dove non/si può capire (interpretare) tutto. 25 anni dopo l'omicidio di Laura Palmer c'è ancora molto da chiarire e capire su questo efferato delitto (ma non era tutto finito? ndr). Il Cooper malvagio e demoniaco semina morte. Sulle sue tracce intanto si sono messi il suo ex-capo dell'FBI, Gordon Cole (David Lynch) e il fido esperto della scientifica, Albert Rosenfield (Miguel Ferrer), a cui si aggiungerà nel corso delle puntate quella famosa Diane (Laura Dern, protagonista anche della grandiosa serie Big Little Lies) cui Cooper si rivolgeva a distanza registrando ogni singolo appunto durante le indagini dell'omicidio di Laura.

Episodio dopo episodio, nuovi personaggi fanno il loro ingresso, il cui meglio viene incarnato dalla moglie di Dougie, Janey (Naoim Watts) e i fratelli Bradley (Jim Belushi) e Rodney Mitchum (Rodney Knepper), ma la creazione che ne emerge è un agglomerato fagocita-orizzonti, capace di concedere al passato qualche incursione nostalgica, vedi il mono-ballo già visto di Audrey Horne (Sherilyn Fenn) la cui morte sembrava appurata nell'ultima puntata della II stagione ma che incredibilmente viene annullata nonostante la fanciulla si trovasse legata a una cassaforte e alle prese con un'esplosione interna.

Dei tanti reduci dell'omicidio di Laura Palmer, ogni tanto ricompare James Hurley (James Marshall), del tutto superfluo. Presenza più fissa, Shelly Johnson (Mädchen Amick), divorziata da Bobby Briggs (Dana Ashbrook), oggi in servizio nella polizia locale di Twin Peaks al fianco dell'invecchiato Hawk (Michael Horse). Hanno una figlia, Becky (la new entry Amanda Seyfried), fidanzata con un ragazzo violento che la picchia senza mezzi termini. Qualcosa che rimanda all'ex-marito della madre, il crudele Leo Johnson.

Da personaggi stravaganti e sui generis, Andy Brennan (Harry Goaz) e Lucy (Kimmy Robertson) oggi sono al limite del patetico. Piccola incursione da parte di Ed Hurley (Everett McGill). Più significativa la presenza del grande amore (perduto) di quest'ultimo, Norma Jennings (Peggy Lipton), sempre titolare dell'RR Dinner, e la signora Ceppo (Catherine E. Coulson). Un tempo uomo di scienza e indagatore della psiche umana, oggi il Dott. Lawrence Jacoby (Russ Tamblyn) assomiglia più a un Beppe Grillo a stelle e strisce, per altro idolatrato da Nadine Hurley (Wendy Robie).

Sulle tante decantate guest star invece, da Eddie Vedder (voce dei Pearl Jam) ci si aspettava qualcosa di più che cantare una semplice canzone di fine puntata mentre Monica Bellucci è al limite dell'insignificante.

Puntata dopo puntata, tutto vira deciso alla cittadina di Twin Peaks e la domanda che resta inebetita a galla tra un Cooper che non smette di risuscitare, visioni alternate del Gigante (Carel Struycken) e l'uomo senza un braccio, è quando finirà questo tour nell'ignoto e verrà data una risposta. Lynch con abilità non concede tracce né troppe speranze, semmai qualche illusione. David Lynch è un artista e ci accompagna nel buio più assoluto fino al grido dell'orrore. Quello stesso grido che Sarah Palmer (Grace Zabriskie), anch'essa rediviva per poco in questa terza stagione, lanciava nella quiete domestica alla prima visione del demone BOB.

Bob esiste ancora. L'omicidio di Laura Palmer (Sheryl Lee) non è stato ancora chiarito del tutto. 18 episodi per ribadire tutto questo ingarbugliando all'inverosimile una storia che all'epoca non aveva avuto bisogno di chissà quali curve ancestrali. Questo però è il terzo millennio e la regola è andare oltre, scioccare. L'ignoto viene chiamato a gran voce. L'oscurità partorisce l'ennesima domanda dalle mille risposte. David Lynch getta le membra dilaniate de I segreti di Twin Peaks in pasto a una folla di creature adoranti che attendono la loro messianica prosecuzione.

Twin Peaks - Bobby (Dana Ashbrook), Becky (Amanda Seyfried) e Shelly (Madchen Amich
Twin Peaks - i fratelli Rodney (Robert Knepper) e Bradley Mitchum (Jim Belushi)
Andy Brennan (Harry Goaz) e Lucy (
Kimmy Robertson

sabato 16 settembre 2017

Mazinga Z Inifinity? No grazie!

Mazinga Z Inifinity (2017, di Junji Shimizu)
Prodotto confezionato per il pubblico nostalgico dei quarantenni ormai con prole al seguito, Mazinga Z Infinity è il classico film inutile. Un film fuori dal tempo contemporaneo.

di Luca Ferrari

I remake stanno dando una pessima immagine del cinema. Ancora peggio è lo sviluppo di quelli che una volta per noi bambini degli anni'80 erano solamente "cartono animati". Mazinga Z come tutti i robot dell'epoca, aveva una grafica quasi pacioccona. I nemici incutevano paura ma lui era il buono, imperfetto e coraggioso. E cosa potrà dire al mondo di oggi se non l'ennesimo mix di effetti speciali e consuete figure appuntite? Nulla. Mazinga Z Infinity è il classico prodotto confezionato per spingere i nerd & young adult con prole a sperperare soldi nel superfluo.

Sebbene capostipite (1972-74), la serie del manga arrivò in Italia dopo Goldrake (considerato infatti il primo nel Bel paese) e Il grande Mazinga. 92 episodi in tutto. Dal piccolo schermo al grande schermo, ed ecco ritornare Ryo Kabuto alla guida del robot contro le mire del Dott. Inferno. Prodotto dalla Toei Animation in occasione del 45º anniversario della serie, Mazinga Z Inifinity (2017, di Junji Shimizu) sarà proiettato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma 2017 (26 ottobre - 5 novembre) e arriverà nelle sale italiane pochi giorni dopo distribuito da Lucky Red.

Mazinga Z non c'entra niente col 2017. Lui appartiene agli anni Settanta e lì resterà per sempre.
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La sigla di Mazinga Z

Il solo e unico Mazinga Z

giovedì 14 settembre 2017

Point Break (1991), voglio il massimo

Point Break - Johnny Utah (Kean Reeves) e Bodhi (Patrick Swayzee)
Amicizia. Amore. Adrenalina. Cult anni Novanta, Point Break - Punto di rottura (1991, di Kathryn Bigelow).

di Luca Ferrari

C'è una nuova banda di rapinatori di banche a Los Angeles. Colpiscono veloci e letali. Entrano ed escono in 90 secondi. Mai un ferito. Mai un caveau. Ripuliscono le casse e via. Sono in quattro e indossano la maschere degli ex-Presidenti Reagan, Nixon, Johnson e Carter. Sulle loro tracce intanto è appena arrivato Johnny Utah (Keanu Reeves), affiancato dallo scafato ma non troppo considerato Angelo Pappas (Gary Busey). Il feeling scatta presto tra i due, e Angelo lo convince a imparare il surf: molti elementi infatti gli fanno credere che i membri della banda di ex-presidenti siano surfisti.

Comprata la tavola, il ligio agente si butta tra le onde dell'oceano ma i risultati sono disastrosi e affogherebbe anche se non fosse per l'intervento di Tyler Endicott (Lori Petty), l'aggancio ideale per entrare nel mondo del surf e conoscere tutti i suoi alfieri, a cominciare da Bodhi (Patrick Swayze). Un personaggio alla ricerca dell'onda perfetta. Un uomo tutto spirito e tavola da surf, sempre sull'acqua insieme agli amici Grommet (Bojesse Christopher), Nathanial (John Philbin) e Roach (James Le Gros).

Ha inizio una doppia vita per l'agente speciale Utah. Inflessibile uomo di legge durante il giorno, sempre più dinamico e sentimentale giovane surfista la sera. Bodhi gli è sempre più amico, condividendo con lui la passione e la cultura (spirituale) attorno all'oceano. Fra i due l'amicizia si fa sempre più una sorta di fratellanza ma quando il cerchio sui rapinatori si fa scoppiettante inseguimento prima su quattro ruote e poi di corsa, sotto la maschera di Reagan Johnny Utah scoprirà una realtà fino a qualche tempo prima inimmaginabile.

Non sono tanti i film capaci di segnare un'epoca e attraversare generazioni. Point Break (1991, di Kathryn Bigelow) è uno di essi, capace di unire action e sentimento senza mai cedere al machismo. Un cast perfetto e qualche comparsata eccellente tra cui il non accreditato Tom Sizemoore nei panni dell'agente infiltrato Deets con cui Pappas ha un divertente battibecco, il cantante dei Red Hot Chili Peppers, Anthony Kiedis e John C. McGinley, il dott. Cox della serie Scrubs, nelle vesti del direttore dell'FBI, Ben Harp.

Se il compianto Patrick Swayze (1952-2009) era ben noto al grande pubblico in particolare per I ragazzi della 56ª strada (1983), Fratelli nella notte (1983), il generazionale Dirty Dancing – Balli proibiti (1987) e Il duro del Road House (1989), Keanu Reeves al contrario era praticamente uno sconosciuto. Point Break (1991, di Kathryn Bigelow) andò contro ogni più ottimistica previsione e ancora oggi, a più di 25 anni dall'uscita è un film amatissimo e di cui è stato anche girato (purtroppo) un mediocre quanto inutile remake, Point Break (2015, di Ericson Core).

"Se vuoi il massimo, devi essere pronto a pagare il massimo. Deve essere bello morire facendo ciò che ami..." dice il "profeta" Bodhi. Oggi è di nuovo tempo di Point Break (1991, di Kathryn Bigelow).


Point Break - Il finale

Point Break - Punto di rottura (1991, di Kathryn Bigelow)

Point Break - Johnny Utah (Kean Reeves) e ...

lunedì 11 settembre 2017

World Trade Center (2006), di Oliver Stone

World Trade Center (2006, di Oliver Stone)
Oggi, nell'anniversario degli attacchi terroristici alle Torri Gemelle di New York, su Paramount Channel (h. 21,20) viene tramesso World Trade Center (2006, di Oliver Stone).

di Luca Ferrari

Storia vera di John McLoughlin (Nicolas Cage) e Will Jimeno (Michael Pena), poliziotti dell'Autorità Portuale di New York e New Jersey, rimasti sotto le macerie dopo il crollo delle due torri mentre aiutavano la popolazione a fuggire, e miracolosamente sopravvissuti. Un film dall'alto contenuto drammatico che non può non far riflettere sui troppo errori commessi da tutti. prima e dopo l'orrore dell'11 settembre.

"…tutti hanno imbracciato un’arma,
si sono divisi gli schieramenti
dimenticando ancora
una volta cosa nessuno avrebbe
disimparato…

terminati i perché di rito
e annesse dichiarazioni belliche
di auto-affermazione, il mondo
ha continuato a guardarsi in cagnesco
aspettando che un altro nemico
prendesse il posto
di questa minaccia terminabile

...lo schieramento delle catastrofi continue
non porterà in vita chi ha pagato
per arricchire
l’incubo abilmente fatto comune
a chiunque…ci sono troppe
dichiarazioni frantumate dalle macerie
di fatti…che muoia una persona
o un milione, l’orologio del boia
esprime
la sola forma di democrazia
comune a tutto il mondo…"
                                              l.f

World Trade Center (2006, di Oliver Stone)

giovedì 7 settembre 2017

Loving Penelope Cruz

74. Mostra del Cinema, Penelope Cruz e Javier Bardem © Federico Roiter
Charme latino, semplice e dolcemente incantevole, Penelope Cruz è sbarcata a Venezia74 per l'anteprima di Loving Pablo, insieme al marito-compagno di set, Javier Bardem.

di Luca Ferrari

Ha fatto il suo debutto sul grande schermo 25 anni fa esatti con Prosciutto prosciutto (1992, di Bigas Luna) dove ha incontrato il futuro marito. È stata la musa di Pedro Almodovar (Carne tremula, Tutto su mia madre, Volver). Sotto la regia di Sergio Castellitto ha regalato al pubblico due delle più sofferte interpretazioni: Non ti muovere (2004) e Venuto al mondo (2012), quest'ultimo ambientato durante la guerra dei Balcani. Il suo nome è Penelope Cruz.

Premio Oscar come Miglior attrice non protagonista in Vicky Cristina Barcelona (2008, di Woody Allen), l'attrice spagnola Penelope Cruz è sbarcata a Venezia per l'anteprima di Loving Pablo (di Fernando León de Aranoa), sez. Fuori concorso, incentrato sulla vita del narcotrafficante Pablo Escobar. Diva (quasi) di un'altra epoca per charme ed eleganza, Penelope Cruz si è ricongiunta in laguna con la sua dolce metà Javier Bardem, nel cast anch'esso e già protagonista con Jennifer Larrence del controverso Mother! (di Darren Aronofsky).

74. Mostra del Cinema, Penelope Cruz saluta, e dietro di lei Javier Bardem © Federico Roiter

mercoledì 6 settembre 2017

Jennifer Lawrence, Mother di Venezia74

74. Mostra del Cinema, Javier Bardem e Jennifer Lawrence © Federico Roiter
Protagonista del criptico Mother!, l'attrice ventisettenne Jennifer Lawrence ha infiammato pubblico e critica di Venezia74.

di Luca Ferrari

Era la star più attesa. Alla fine è arrivata. Jennifer Lawrence (Un gelido inverno, Hunger Games, Joy) è sbarcata al Lido di Venezia insieme al regista Darren Aronofsky e i colleghi Javier Bardem (Non è un paese per vecchi, To the Wonder, La vendetta di Salazar) e Michelle Pfeiffer. Tutti qui per l'anteprima di Mother! Un'opera (in concorso) che ha diviso come poche in questa 74° edizione della Mostra del Cinema. Un lungometraggio che i critici si stanno ancora sforzando di capire (a parte il mitico vignettista di Ciak, Stefano Disegni) e i cinefili passano da commenti osannanti alla stroncatura più feroce.

La storia di Jennifer Lawrence è cominciata a Venezia, una decade fa. Di lì in poi, una costante ascesa fino alla conquista della statuetta più ambita: l'Oscar per la Migliore attrice protagonista in Il lato positivo (2013, di David O. Russell). Un ruolo come quello vissuto in Mother! però ancora non le era capitato. Realtà o vita vera? Di sicuro accanto a lei c'è uno scrittore (un ambiguo Javier Bardem) la cui esasperata ospitalità verso chiunque mostri interesse per la sua attività letteraria è sospetta. O comunque darà via a qualcosa di diabolicamente inimmaginabile.

Sparito dalle scene da qualche anno per dedicarsi alla pittura, Jim Carrey (Man on the Moon, The Truman Show, Il Grinch) si è ritrovato sotto i riflettori della Mostra del Cinema per presenziare all'anteprima del documentario Jim & Andy: the Great Beyond – the story of Jim Carrey & Andy Kaufman (di Chris Smith). A dare ulteriore lustro al festival veneziano, Sir Michael Caine (Hannah e le sue sorelle, Il cavaliere oscuro, Youth - La giovinezza) giunto in laguna per presentare il documentario My Generation (di David Batty). Il celebre attore inglese ha poi ricevuto il Premio Fondazione Mimmo Rotella.

74. Mostra del Cinema, Michael Caine e Jim Carrey © Federico Roiter 
74. Mostra del Cinema, lo sbarco di Jennifer Lawrence al Lido © Federico Roiter
74. Mostra del Cinema, lo charme di Jennifer Lawrence © Federico Roiter
74. Mostra del Cinema, Jennifer Lawrence firma autografi sul red carpet © Federico Roiter

lunedì 4 settembre 2017

Cinema chiama, Venezia74 risponde

74. Mostra del Cinema, il cast di Suburbicon
(da sx) Matt Damon, Julianne Moore e George Clooney © Federico Roiter
Nuove storie da Venezia74. Il Virzì americano con i regali Helen Mirren e Donald Sutherland commuove. George Clooney & la sua "gang" seduce per intelligenza e satira.

di Luca Ferrari

Un Matt Damon grassoccio, carogna e invecchiato. Una Julianne Moore algida e razzista. Un Glen Flesher perfino più viscido e bastardo dei panni da avvocato al servizio di Bobby Axelrod in Billions. Una vecchia sceneggiatura dei fratelli Coen e alla regia c'è lui, George Clooney. Il risultato di Suburbicon è un pugno ben attestato ai pregiudizi, all'america razzista di Donald Trump. Cast perfettamente in sintonia e risultato a dir poco ottimale, balzando dalla critica sociale alle risate più assurde.

Hanno fatto il pieno di applausi. Tutti e tre. Il regista Paolo Virzì, gli attori Hellen Mirren
e Donal Sutherland. Dopo il successo per La pazza gioia (2016), il regista toscano è sbarcata in terra americana per questo road movie con protagonisti una coppia di anziani coniugi, decisi a staccarsi da medici e figli appiccicosi, godendosi un ultimo grande viaggio. The Leisure Seeker è un film per chi crede nell'amore. The Leisure Seeker è un film per chi ha voglia di trovare conforto in calde lacrime di commozione.

Sempre sul fronte delle storie da fazzoletto, Victoria e Abdul, storia vera (o quasi) dell'incredibile amicizia tra la Regina d'Inghilterra e un consigliere venuto dall'India. Regia di Stephen Frears, la monarca è Judi Dench. Tra le sorprese di questo festival in mezzo a cinema impegnato e sentimenti d'amore, ecco arrivare il violento Brawl in Cell Block 99 (di S. Craig Zahler) con un inedito Vince Vaughn, Jennifer Carpenter e l'ex-Miami Vice, Don Johnson.

74. Mostra del Cinema,
gli eleganti Donal Sutherland ed Hellen Mirren © Federico Roiter
74. Mostra del Cinema, l'incantevole Jennifer Carpenter © Federico Roiter

sabato 2 settembre 2017

Human Flow, l'umanità è morta

Human Flow (2017, di Ai Weiwei)
Il dramma di centinaia di migliaia di esseri umani etichettati nei modi più disparati, e lasciati a morire nell'indifferenza. A Venezia74 è sbarcato Human Flow, del regista cinese Ai Weiwei.

di Luca Ferrari

Rifugiati, richiedenti asilo... o se cominciassimo semplicemente a chiamarli esseri umani? No, ma scherziamo. Loro sono tutti terroristi. Un flusso costante che ormai ha preso casa ai confini dell'Impero d'Europa. Una fiumana di disperazione che non intenerisce nessuno, anzi, ha saputo suscitare l'opposto facendo riemergere quel sentimento di superiorità così ben incarnato dal Terzo Reich. Loro sono gli altri, noi dobbiamo restare noi. In concorso alla 74° Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia, è stato presentato Human Flow (2017, di Ai Weiwei).

Ai Weiwei ha girato mezzo mondo. La sua telecamera arriva sulle sponde dell'isola greca di Lesbo, passando poi per i campi profughi di Iraq, Turchia, Siria, Pakistan e Giordania, senza dimenticarsi della prigione palestinese a cielo aperto e il muro che divide Stati Uniti e Messico. Ma c'è anche il filo spinato ungherese e macedone. Un abominio che sancì la volontà di non far passare più nessuno. Gli accordi UE per tenerseli là, ovunque sia, in cambio di danaro.

Il regista non ha paura di mostrare ciò che sta succedendo. Lui è un uomo che ha saputo sfidare la feroce dittatura cinese. Ai Weiwei non cerca le facile lacrime dei bambini. Mostra i campi profughi. Intervista gli operatori che ci lavorano. Segue l'esodo di persone che chiedono solo di poter ricominciare a vivere e che adesso invece non sono nulla. Sono ospiti (non troppo graditi) in una terra che non gli riconosce alcuno status giuridico.

Distribuito da 01 Distribution, Human Flow non cerca la risposta definitiva anche perché non vi è alcun bisogno. C'è già. È visibile a tutti: il dialogo. Quale che sia la nazione, nei prossimi 50 anni vivremo in società multiculturali. Questo è il mondo reale. I nemici non sono fantomatici personaggi a cui i supereroi danno la caccia in tutine attillate. Nel 2017 il nemico è dentro ciascuno di noi. È il pregiudizio. La paura (oggi) da chi viene da posti ormai collegabili solo al terrorismo.

L'umanità è morta da un pezzo. Non tutta, è chiaro. Banalmente, anche in Europa ce ne stiamo accorgendo. È bastato smuovere il nostro equilibrio per far riemergere il filo spinato (di solito rispolverato solo per farsi belli con la Shoah), la peggiore xenofobia, razzismo in tutti gli strati sociali e ormai in Italia quasi una sorta di revisionismo sul sempre più rimpianto Benito Mussolini. Ecco, benvenuti in Europa. Sappiatelo bene, l'Europa non è per tutti.

Human Flow è un documentario di più di due ore. Terra dopo terra, l'anima viene sferzata. Parlano i rappresentanti delle ONG ma è evidente che il loro intervento non potrà mai fare la differenza e allora mi chiedo: ha senso continuare a voler impietosire la gente con le classiche immagini dei “poveri negri” che muoiono di fame? In strada la loro presenza è sempre più sporadica se non per chiedere l'obolo, così come sui mass media.

I bambini di oggi sono i potenziali razzisti del domani e come si fa e evitarlo? Appurato che la politica non lo farà mai, le ONG devono entrare nelle scuole. Devono essere una presenza visibile sul territorio e non rintanarsi a ripetere le stesse cose davanti a facili platee che la pensano come loro. Le ONG devono iniziare a investire su quel mondo che un giorno governerà perché altrimenti il destino dell'Europa così come del resto del pianeta è già tragicamente segnato.

Nazione dopo nazione, Human Flow parla anche di diritti umani. Ma cosa sono? Une bella parola da abbinare alla propria cravatta, o qualcosa su cui sputare sopra. Human Flow raccoglie la testimonianza di chi sostiene che l'essere umano debba essere libero di andare dove vuole, senza barriere. Ed è un dato di fatto che dopo la caduta del muro di Berlino, le cose siano andate sempre peggio. Il cemento ha sempre più preso la strada verticale. A dispetto di una maggior informazione, l'ignoranza domina incontrastata.

“Come essere umano credo che qualsiasi crisi o difficoltà che colpisca un altro essere
umano, è come se capitasse a noi” ha sottolineato il regista, “Se non avvertiamo questa fiducia reciproca, siamo decisamente  in difficoltà. A quel punto, affronteremo muri, divisioni e inganni da parte dei politici, che ci porteranno a un futuro di oscurità”.

Lacrime e rabbia. Rabbia e lacrime. Human Flow (2017, di Ai Weiwei) non farà cambiare idea a chi ha una visione distorta del problema, e al massimo cementerà le convinzioni di chi la vede come lui. C'è qualcosa ancora che può fare Human Flow, e cioè prendere per mano quell'umanità che ha ancora voglia di credere nella Vita, stringersi e andare incontro verso i loro fratelli cambiando per sempre la storia del mondo.

Il trailer di Human Flow

Human Flow (2017, di Ai Weiwei)
74. Mostra del Cinema, il regista Ai Weiwei © La Biennale foto ASAC
Human Flow (2017, di Ai Weiwei)

venerdì 1 settembre 2017

The Shape of Venezia74

74. Mostra del Cinema, Robert Redford e Jane Fonda © Federico Roiter
Film di spessore e grandi divi. La 74° Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia entra nel vivo. Cinema, cinema e ancora grande cinema.

di Luca Ferrari

Impegno uman(itari)o. Risate. Lacrime. Fantasy & realtà. Il Festival del cinema di Venezia è arrivato. La Mostra del Cinema (30 agosto - 10 settembre) sempre più fucina di premi Oscar, è pronta a svelare i suoi film. E per il 10° anno consecutivo il sottoscritto Luca Ferrari, giornalista veneziano, si avvale dell'impeccabile supporto visivo del fotografo Federico Roiter.

I primi tre giorni della 74° edizione della Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica si sono contraddistinti per la loro indubbia qualità. A dare il via, il film in concorso Downsizing di Alexander Payne con protagonista Matt Damon e un finalmente non luciferino Christoph Waltz. Favola ambientalista un po' troppo americana, ma comunque gradevole e di sicuro appeal sul grande schermo.

Giovedì 31 agosto sono stati autentici fuochi d'artificio. Primo film presentato alla stampa, la nuova opera di Guillermo del Toro, anch'esso nella selezione ufficiale, The Shape of Water, con Sally Hawkins, Octavia Spencer, Richard Jenkins e il purtroppo assente Michael Shannon, candidato agli ultimi Oscar come Miglior attore non protagonista per Animali notturni (di Tom Ford), presentato lo scorso anno proprio a Venezia.

Un autentico bagno di folla ha salutato i protagonisti, tanto tra il pubblico quanto fra gli addetti ai lavori. Davvero difficile non immaginare come questo film non riesca a portare a casa qualche premio, a cominciare dalla Coppa Volpi alla Hawkins o il Leone d'argento per la miglior regia a Del Toro, solo per dirne due. Un film assolutamente da vedere.

Ma se The Shape of Water riesce a toccare più sfere dell'anima umana (e non solo), di spessore ancor più attuale è il politico-religioso The Insult di Ziad Doueiri. Un film duro dove un battibecco tra un meccanico cristiano libanese e un carpentiere (profugo) palestinese si trasforma in uno scontro di piazza. Le cicatrici chiedono un riconoscimento del dolore patito. Le cicatrici chiedono anch'esse di avere un posto in un futuro di pace.

Altre pellicole di spessore umano: This is Congo (di Daniel McCabe), Human Flow (di Ai Weiwei) e L'ordine delle cose di Andrea Segre che sempre a Venezia aveva presentato Mare chiuso (2012). Sono passati cinque anni da allora e ciò che ruota attorno ai flussi migratori è più tragico che mai. Rispetto ad allora, il regista ha abbandonato la formula del documentario puntando sul lungometraggio che vede come protagonisti Paolo Pierobon e Giuseppe Battiston.

Infine ci sono loro. Due autentiche leggende della settima arte. Di nuovo insieme sotto la stessa telecamera. Jane Fonda e Robert Redford, quest'ultimo tornato in laguna dopo aver presentato al festival La regola del silenzio (2012), film in cui era anche regista. Questa volta i due divi sono arrivati per l'anteprima di Our Souls at Night (di Ritesh Batra). Una tenera storia contemporanea di due signori ormai pensionati e vedovi, pronti (o quasi) per scrivere un nuovo capitolo delle loro vite.

74. Mostra del Cinema, il cast di The Shape of Water (da sx):
Octavia Spencer, Richard Jenkins, Sally Hawkins e il regista Guillermo del Toro © Federico Roiter
74. Mostra del Cinema, il regista William Friedkin © Federico Roiter
74. Mostra del Cinema, (da sx): il presidente della Biennale, Paolo Baratta,
il padrino del Festival Alessandro Borghi e il direttore del Festival, Alberto Barbera © Federico Roiter
74. Mostra del Cinema, la presidente di giuria Annette Bening © Federico Roiter
74. Mostra del Cinema, un gentilissimo Matt Damon firma autografi © Federico Roiter