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mercoledì 31 gennaio 2018

Tre manifesti contro il silenzio

Tre manifesti a Ebbbing, Missouri - la combattiva Mildred Hayes (Frances McDormand
Tagliente. Deciso. Controcorrente. Nessuno si piange addosso. Tre manifesti per alzarsi e combattere. Tre manifesti a Ebbing, Missouri (2017, di Martin McDonagh).

di Luca Ferrari

Angela Hayes (Kathryn Newton) è stata violentata e uccisa. Stufa della sonnolenza della polizia locale, sua madre Mildred (Frances McDormand) è decisa a fare qualcosa. Ecco allora l'idea. Su una strada locale, quello che attraversa ogni giorno dalla propria abitazione al paese, affitta per un anno tre giganteschi cartelloni pubblicitari e vi fa scrivere tre messaggi rivolti allo sceriffo. Una scelta questa che l'autorità non gradirà troppo. Tre manifesti a Ebbing, Missouri (2017, di Martin McDonagh).

Stuprata mentre stava morendo. E ancora nessun arresto. Come mai, sceriffo Willoughby? Sono i tre manifesti voluti da Mildred Hayes. La notizia arriva come un boomerang all'ufficio della Legge. Se l'agente Jason Dixon (Sam Rockwell) dimostra di mal tollerare questa azione, comunque consentita legalmente parlando, e vorrebbe subito passare alle maniere forti, lo sceriffo Bill Willoughby (Woody Harrelson) è più incline al dialogo, e va a trovare la donna per cercare di risolvere la situazione.

Mildred non ci sente. Parla diretta e non usa mezze parole. Non si fa intimidire da distintivi e non accetta consigli dalle tonache. Sua figlia è stata ammazzata in modo brutale e dinnanzi all'inerzia delle indagini, lei ha reagito. Se tutti non lo gradiscono, non è affar suo. A farne le spese invece, chi dalla polizia e chi tra i banchi di scuola, il titolare dell'agenzia pubblicitaria dove Mildred ha noleggiato i cartelloni, Red Welby (Caleb Landry Jones), e l'altro figlio di lei, Robbie (Lucas Hedges).

Artefice (carnefice) di un brutto episodio di abuso ai danni di un ragazzo di colore, l’agente Dixon è una mina vagante. Sempre pronto a menar le mani e il manganello. Non ha nessun legame sentimentale e vive ancora con l’anziana madre. Distintivo a parte, è mal visto da molti di Ebbing (località fittizia dello stato del Missouri, ndr). Parla quasi barcollando. Vuole essere rispettato ma i suoi modi lo portano a essere subdolo più che dalla parte della Legge.

I sentieri proseguono. I personaggi si guardano in cagnesco. C’è una sottile vena di rispetto ma perché venga davvero a galla, bisogna scavare dentro le persone. Lo sceriffo intanto non se la passa troppo bene. E' malato e ciò che sembra un destino segnato potrebbe fare saltare molti equilibri. Ad aggiungere benzina alla miscela, l’arrivo in città di un forestiero dai modi poco gentili che vuol far credere di sapere qualcosa dell’omicidio di Angela.

Già vincitore del Premio Osella per la Miglior sceneggiatura (Martin McDonagh) alla 74° Mostra Internazionale d’Arte cinematografica di Venezia, dove è stato presentato in anteprima, e di quattro Golden Globe come Miglior film drammatico, per la Migliore attrice in un film drammatico a Frances McDormand, per il Miglior attore non protagonista a Sam Rockwell e la Migliore sceneggiatura a McDonagh, Tre manifesti a Ebbing, Missouri è ora atteso da nuove sfide

Si comincia il 18 febbraio con i BAFTA - British Academy Film Awards dove la pellicola è candidata a nove premi. Poche settimane dopo, 4 marzo, ecco l’appuntamento più atteso: la 90° edizione dei premi Oscar, dove le nomination sono sei. Miglior film, attrice protagonista (McDormand), miglior attore non protagonista (Woody Harrelson e Sam Rockwell), miglior sceneggiatura originale a Martin McDonagh, montaggio a Jon Gregory e  colonna sonora a Carter Burwell.

Tre manifesti a Ebbing, Missouri (2017, di Martin McDonagh) è un film potente, alla cui base vi è  una sceneggiatura solida e tre notevoli interpreti. Frances McDormand (Mississipi Burning - Le radici dell'odio, Fargo, Promised Land) è una donna combattiva. Il suo sguardo. Il suo modo di camminare. Ha subito una grave ingiustizia e perciò si alza in piedi. Non chiede l'aiuto di nessuno. Agisce, pronta a mettersi contro tutto e tutti se necessario.

Meno noto al grande pubblico, Sam Rockwell (Il genio della truffa, Frost/Nixon - Il duello, Iron Man 2) ha finalmente trovato il ruolo della carriera. Il suo sbirro Dixon sembra incarnare il peggio dell'America Trumpiana: ignoranza e razzismo. Questa però è solo la crosta superficiale. Il suo personaggio ha molto da dire, e quando si ritroverà pieno di ustioni e pestato a sangue, in molti forse cominceranno a rivalutarlo a cominciare da Mildred stessa.

Più sofferente e poetica la figura dello sceriffo, ben incarnata dall'ex-Natural Born Killer Woody Harrelson (Larry Flint - Oltre lo scandalo, Hunger Games, The War - Il pianeta delle scimmie). Nel cast anche il bravo Peter Dincklage (Funeral PartyIl trono di spade, Pixels) nei panni di James, amico di Mildred e non avvezzo a manifestarle la propria simpatia sentimentale, e John Hawkes (Dal tramonto all'alba, Lincoln, Everest), l'ex-marito di quest'ultima ora alle prese con la nuova fidanzatina ventenne.

Tre manifesti per far sentire la propria voce. Tre manifesti per rompere il silenzio a cui troppo spesso ci si abitua, dentro e fuori di sé. Tre manifesti per provocare senza offendere. Tre manifesti per far vedere i nostri muscoli. Tre manifesti perché a un certo punto il troppo è troppo, e se qualcuno crede che tutto quello che passa ci vada bene, non ha capito niente. Tre manifesti per cominciare ad alzare i toni e affrontare il mondo.

Tre manifesti a Ebbing, Missouri (2017, di Martin McDonagh) è l'antitesi dei tempi moderni. I suoi protagonisti non cercano scorciatoie per sfuggire al proprio destino cui si trovano loro magrado. Lo affrontano senza lamentarsi e ne pagano le conseguenze. Non si preoccupano delle cicatrici. Se le tengono senza nasconderle. Non si curano di ciò che pensa il prossimo. I protagonisti di Tre manifesti a Ebbing, Missouri non hanno tempo né voglia di andare d'accordo con tutti e se questo non sta bene loro, fanculo!

Il trailer di Tre manifesti a Ebbing, Missouri

Tre manifesti a Ebbbing, Missouri - lo sceriffo Willoughby (Woody Harrelson) e l'agente Dixon (Sam Rockwell) durante l'interrogatorio a Mildred (Frances McDormand
Cinema Rossini di Venezia, una lettura "a tema" di Ciak e poi si comincia! © Luca Ferrari

venerdì 26 gennaio 2018

Da(i)sy va all'inferno

The Hatefuk Eight - Daisy Domergue (Jennifer Jason Leigh)
Una villain atipica, spietata e odiosa. Il suo nome è Da(i)sy Domergue (Jennifer Jason Leigh) ed è l'unica donna nel mezzo della Tarantiniana tormenta di The Hateful Eight (2015).

di Luca Ferrari

John Ruth (Kurt Russell) detto "il boia" ha pagato per essere l'unico passeggero della diligenza guidata da O.B. (James Park) verso Red Rock. Insieme a lui, c'è una donna. Il suo nome è Daisy Domergue (Jennifer Jason Leigh). È un'assassina e deve essere impiccata. Passeranno ammanettati la notte all'emporio di Minnie (Dana Gourrier) in compagnia di altri ambigui individui. Saranno davvero chi dicono di essere? Si vedrà, questa dopo tutto è l'epopea Tarantinana di The Hateful Eight (2015).

Daisy è attesa dalla forca. L'ignaro cacciatore di taglie però, così come i due inattesi compagni di viaggio, il Maggiore Marquis Warren (Samuel L. Jackson) e il futuro sceriffo Chris Mannix (Walton Goggins), ignorano che il fratello di lei, Jody (Channing Tatum), abbia architettato un piano per salvarla. Bisognerà attendere. Bisognerà aspettare che la neve gelida del Wyoming costringa tutti a stringersi accanto al fuoco e via via lasciare che la verità si sciolga al calore delle bugie.

Daisy Domergue prende le botte. Non è una signora di classe. Sputa, si pulisce il naso in modo poco "ortodosso". Sulla sua testa pende una taglia di diecimila dollaroni sonanti. Anche lei però viene attraversata dalla malinconia e quando imbraccia la chitarra, le pistole per qualche minuto si zittiscono. Tutto sembra poter trovare un equilibrio (quasi) di pace. Ma è solo una flebile apparenza. Un boato sta per abbattersi fragoroso.

Non sono tanti i personaggi femminili così cinici e cattivi. Per trovarne uno all'altezza ci voleva lui, Quentin Tarantino (Le iene, Kill Bill, Django Unchained). Sabato 27 febbraio intanto ha inizio il Carnevale di Venezia e sarebbe bello incontrare questa sporca fuorilegge invece dell'ennesima e scontata cosplayer. Si, vorrei davvero incontrare Daisy Domergue, coperta di sangue e con l'occhio tutto gonfio. Vorrei che mi guardasse bastarda negli occhi e in un mix di (di)sprezzo e disgusto mi ghignasse contro: Quando arrivi a... Venezia, dì che ti manda Desy!


The Hateful Eight, la zuffa tra John Ruth e Daisy Domergue

The Hateful Eight - John Ruth (Kurt Russell) e Daisy (Jennifer Jason Leigh)
Daisy Sigurtà (Jennifer Jason Leigh)

venerdì 19 gennaio 2018

L'ora più buia... è arrivata!

L'ora più buia - Winston Churchill (Gary Oldman)
L'esercito nazista avanza spietato e che fa la Gran Bretagna, ultimo baluardo dell’Europa libera? La Storia passa a Winston Churchill. Ha così inizio L'ora più buia (2017, di Joe Wright).

di Luca Ferrari

Maggio 1940. Adolf Hitler conquista e uccide senza trovare ostacoli. Una dopo l’altra, le nazioni europee stanno capitolando. È in atto l’invasione di Belgio e Olanda. Di lì a poco sarà il turno della Francia. In mezzo a questa devastazione che sta facendo la Gran Bretagna? Cambia Governo per cominciare. La minaccia nazista è più seria che mai e a Downing Street viene messo un uomo dai fallimenti eccellenti ma con la tempra di un granitico gladiatore e Lui, di trattare con la tigre non ne vuole sentire parlare. Fu allora che Winston Churchill dovette affrontare L’ora più buia (2017, di Joe Wright).

Fin dai tempi dell’asilo Winston Churchill (Gary Oldman) aveva un sogno, diventare Primo Ministro. Quel giorno è arrivato ma il momento non potrebbe essere più infausto, trovandosi a raccogliere il pesantissimo (insostenibile) fardello lasciatogli dal suo predecessore Neville Chamberlain (Ronald Pickup), fresco di dimissioni a re Giorgio VI (Ben Mendelsohn). “È la loro vendetta”, confida alla moglie Clementine (Kristin Scott Thomas) prima di essere ricevuto a Buckingham Palace.

Mentre i tedeschi avanzano senza incontrare serie resistenze, in Parlamento si parla e si discute. Churchill ha portato nel suo nuovo Gabinetto anche gli storici rivali, ora all’opposizione: Chamberlain stesso e l’ex-Ministro degli Esteri, il visconte Halifax (Stephen Dillane). Per loro anche solo immaginare di entrare in guerra contro un simile nemico è pura follia e spingono per un intavolare una trattativa con la mediazione degli italiani guidati dal duce Mussolini. Per Winston invece non ci sono dubbi e chiarisce, “la mia politica è fare la guerra!”.

Churchill sbraita. È un leone in gabbia, intanto però la situazione precipita. “Siamo di fronte alla più degradante tirannia. Ciò che faremo sarà sconfiggerli” dice alla radio. La Francia capitola. Come se non bastasse, il supporto d’oltreoceano è complesso e vincolato a trattati, per non dire dunque impossibile (al momento). Un implacabile nemico spadroneggia in tutto il Vecchio Continente e anche in casa le cose non vanno meglio. Churchill è stato buttato nella mischia ma in molti gli rinfacciano ancora la disfatta di Gallipoli nella I Guerra Mondiale.

Si arriva al punto di non ritorno. Il grosso delle truppe inglesi è stanziato a Dunkirk, sulla costa francese. Pensare di andare a riprenderli sarebbe un massacro. Winston allora decide per il sacrificio della guarnigione di Calais, incitando la popolazione civile a salpare per andare a salvare i propri militari. Ha così inizio l’operazione Dynamo. Le pressioni per intavolare un discorso preliminare di trattativa con i tedeschi intanto aumentano e Churchill ha giurato di fare tutto per proteggere il Regno Unito.

Il punto cruciale è: quali potranno mai essere le condizioni imposte da Hitler? Churchill non è per niente entusiasta né ottimista. Ma se a questa domanda lui non sa dare una risposta definitiva, che cosa ne penserebbe il popolo inglese di vedere il proprio Governo sedersi a trattare coi fascisti? Magari ci guadagnerebbero sul fronte della convenienza, ma come reagirebbero i fieri sudditi di Sua Maestà dinnanzi a una simile resa morale? È inammissibile e questo Winston lo ha capito bene. È tempo dunque che lo comprendano anche a Westminster.

La Storia. Il Personaggio. Gli Attori. Non c’era un minuto da perdere. Primo giorno di programmazione al cinema Rossini di Venezia e subito in sala a recensire L’ora più buia (di Joe Wright). Dopo essermi preparato a dovere con l’articolo di Andrea Morandi sul mensile Ciak, inizia il film. Attorno a me intanto, numerosi spettatori hanno preso posto. Tutti “grandi”, nessun giovane. Dall’alto dei miei ormai 41 anni io ero il più piccolino. In parte è stato bello, in parte un po’ triste non vedere nessuna verde generazione confrontarsi con questa opera.

Sono tanti gli episodi che hanno fatto spostare l’ago della vittoria verso gli Alleati nel corso della II Guerra Mondiale, non ultimo l’errore fatale di Hitler di rompere il patto Molotov-Ribbentrop finendo così per impantanarsi nella morsa del gelo sovietico. E per quanto agli americani piaccia tanto sentirsi i veri artefici della vittoria finale, io da italiano, europeo e cittadino libero, ho sempre rivolto la mia gratitudine alla Gran Bretagna. Fu lei, da sola, a reggere l’onda d’urto del Terzo Reich al massimo della potenza. Loro da soli hanno dato speranza a un mondo (quasi) rassegnato all’orrore della svastica.

L’ora più buia (di Joe Wright) è un film che va visto. A dir poco sontuosa la prova offerta da Gary Oldman (Dracula di Bram Stocker, Leon, La talpa), già vincitore del Golden Globe come Miglior attore in un film drammatico e candidato come Miglior attore protagonista ai prossimi BAFTA (British Academy Film Awards), che si terranno alla Royal Albert Hall di Londra il prossimo 18 febbraio. Sempre nella medesima manifestazione, L’ora più buia ha raccolto altre otto candidature incluso Miglior film, Miglior film britannico e Migliore attrice non protagonista a Kristin Scott Thomas.

Al fianco di Oldman, il regista Joe Wright (Orgoglio e pregiudizio, Hanna, Anna Karenina) ha scelto due generazioni di attrici inglesi: Kristin Scott Thomas (Quattro matrimoni e un funerale, Nowhere Boy, Il pescatore di sogni) e Lily James, quest'ultima classe '89 e voluta da Kenneth Branagh come protagonista per la sua Cenerentola (2015). Ne L'ora più buia è la fedelissima segretaria personale di Churchill, Elizabeth Layton. Una giovane donna capace di sostenere il suo scorbutico principale anche quando tutto sembra precipitare nell'abisso.

Un nome su tutti che risuona ne L'ora più buia è Dunkirk. Forse a quest'ora non potrei scrivere questa recensione se il popolo inglese non avesse risposto con coraggio all'appello del suo Primo Ministro, attraversando la Manica e dunque andando in soccorso del proprio esercito. Una missione quella, raccontata di recente da Christopher Nolan nell'omonima opera, Dunkirk (2017) appunto. Ma se il regista della trilogia di Barman si è più concentrato sugli aspetti tecnici, trascurando uomini e storia (in particolare l'operato francese), di tutt'altra pasta (e sceneggiatura) è L'ora più buia dove non è la telecamera a fare da padrona ma la suspense e il cuore.

Impossibile assistere alla proiezione de L’ora più buia senza pensare e ragionare sul presente. Un tempo questo non certo paragonabile ai bombardamenti e ai campi di concentramento, ma verso il quale soffiano venti strani e inquietanti, di isolamento e xenofobia. Un pericoloso mix che potrebbe gettare le basi per nuovi e atroci conflitti. Winston Churchill si batté non solo per la sua "casa" ma per tutta Europa, quello stesso continente che oggi, con la complicità di politiche ignoranti e correnti razziste, vede nella divisione la sola strada per la ripresa economica. Qualcosa di tragicamente già sentito e tutti abbiamo visto cosa è successo dopo.

E se la Gran Bretagna di oggi è in pieno Brexit, sempre più Italia, ingozzata di talk show, programmi di cucina e tutologi digitali, è lì a rimpiangere Mussolini trascurando tutti gli atroci crimini che commise, offendendo così il sacrificio di milioni di persone che hanno lottato per la libertà. “Le cause perse sono le uniche per cui valga la pena combattere” dice Churchill in metropolitana dinnanzi ai pendolari sbigottiti nel vederselo seduto accanto a loro. È davvero una causa persa immaginare un’Europa unita, libera e multiculturale nel 2018? Diamoci da fare allora, tutti. Perché le ore buie potrebbero tornare e forse come allora, “è molto più tardi di quanto si possa immaginare”.


Il trailer de L'ora  più buia

L'ora più buia - Winston Churchill (Gary Oldman) si avvia in metropolitana verso Westminster
Dentro la sala 2 del cinema Rossini di Venezia leggendo de L'ora più buiasu Ciak © Luca Ferrari

mercoledì 17 gennaio 2018

Ella & John, romanticismo on the road

Ella & John The Leisure Seeker - i coniugi Spencer, John (Donald Sutherland) ed Ella (Helen Mirren)
La vita non è mai davvero finita se a scaldare i cuori c'è il rombo dell'amore. Presentato in concorso a Venezia74, esce domani Ella & John - The Leisure Seeker (2017, di Paolo Virzì).

di Luca Ferrari

Ella e John hanno avuto una vita intensa. Gli inevitabili acciacchi dell’età senile si fanno sentire e due figli (cresciuti) troppo ansiosi non sono esattamente l’ideale per provare a godersi gli ultimi anni delle loro esistenze. È tempo di agire. È tempo di allontanarsi. È tempo di partire per un (forse) ultimo grande viaggio d’amore. I coniugi Spencer hanno ancora tanto voglia di stringersi l’un l’altro senza stare dietro a preoccupazioni, problemi e medicine. Presentato a Venezia74, esce domani sul grande schermo Ella & John – The Leisure Seeker (2017, di Paolo Virzì).

Ella Spencer (Helen Mirren) è una donna malata, e così pure il marito John (Donal Sutherland). Sono affaticati ma non abbastanza da rassegnarsi a consegnare la propria salute e umore ai figli, dalla scarsa tempra morale. Meglio allora disfarsi di ansie e preoccupazioni. Meglio allora sfruttare le luci dell’alba salendo a bordo del vecchio camper modello Leisure Seeker, e partire per un viaggio sempre rimandato: l’isola di Key West con visita alla casa di Ernest Hemingway.

Ha inizio l’avventura. Ha inizio il road movie. Tappa dopo tappa, non senza disavventure e risate, la coppia si ferma guardando teneramente abbracciati i tanti scatti della loro vita insieme. Ella e John parlano. Battibeccano come due innamorati e poi proseguono. Si perdono e si ritrovano. Sono passati parecchi anni da quando si unirono in matrimonio ma nulla è cambiato nei loro cuori, e questa è di sicuro la conquista più grande.

Presentato in anteprima alla 74° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, il regista Paolo Virzì era stato chiaro: “per dirigere questo film americano voglio solo Helen Mirren e Donald Sutherland”. Così è stato, e il risultato è un film sulla vita e la libertà. Un film che premia il coraggio di andare avanti. I due attori principali funzionano alla perfezione incarnando come meglio non si potrebbe una coppia di “vecchi” decisi a sbattere in soffitta tutti i preconcetti sull’anzianità.

Premio Oscar come Miglior attrice protagonista in The Queen – La regina (2006), Helen Mirren (State of Play, Woman in Gold, L’ultima parola – La vera storia di Dalton Trumbo) è una donna della middle class americana. Poco colta, tenera e decisa. Non è impressionata dall’abnorme cultura del marito, docente universitario in pensione sempre pronto a raccontare aneddoti e fare lezioni a chiunque incontri. Barba bianca e intelletto maestoso, Donald Sutherland (Sorvegliato speciale, JFK – Un caso ancora aperto, The Italian Job) conferisce al personaggio una tremula e maestosa eleganza.

Si viaggia. Si sogna. Ci si commuove (e parecchio). Si può vedere Ella & John – The Leisure Seeker al cinema (01 Distribution) da soli o in coppia. Si può assistere alla proiezione di Ella & John – The Leisure Seeker felici o più malinconici. Si uscirà dalla sala dopo aver visto Ella & John – The Leisure Seeker con qualche fazzoletto in meno e una consapevolezza maggiore su ciò che il cuore e la persona con cui stai passando o vorresti passare la vita, ti sanno trasmettere e spingere a osare. L’importante è non arrendersi mai e andare avanti. L’importante è amare.

Ella & John – The Leisure Seeker non è una scampagnata oltreoceano. L'attenta telecamera Virziana ci mostra anche tutto quel nugolo di attenzioni che un marito e una moglie riversano l'un l'altro. Un mosaico inconcepibile per chi ne è fuori. L'età dei capelli bianchi porta tanti problemi ma nessuno è davvero tale se a fine giornata hai accanto esattamente chi desideri. Nulla è insormontabile se nel buio della notte ti senti protetta/o.

Ella & John – The Leisure Seeker è un film delicato. La regia “sentimentale” di Paolo Virzì (Ovosodo, La prima cosa bella, La pazza gioia) carezza le corde dei nostri corpi segnati dalla vita, e allo stesso tempo riesce a condurre una narrazione senza scadere nell’inevitabile pietismo tipico del Bel paese. Paolo Virzì ci guida negli States senza nessuna ricerca esistenziale. Paolo Virzì attraversa gli Stati Uniti in camper lasciandoci nella miglior compagnia possibile, a guardare le diapositive della vita di Ella & John – The Leisure Seeker.


Il trailer di Ella & John - The Leisure Seeker
Ella & John The Leisure Seeker - i coniugi Spencer, John (Donald Sutherland) ed Ella (Helen Mirren)

domenica 7 gennaio 2018

Golden Globe 2018, cineluk li assegna a...

Al via una nuova edizione dei prestigiosi Golden Globe
Previsioni. Speranze. Bando alle ciance. Cineluk - il cinema come non lo avete mai letto si rivela e scrive a chiare lettere chi premierebbe questa notte alla 75° edizione dei Golden Globe.

di Luca Ferrari

Non ho bisogno che la giuria dei Golden Globe faccia le proprie scelte. Io faccio le mie e in largo anticipo, perciò li assegno adesso. D'accordo o meno che siate con me, non m'interessa. Aldilà di vedere alcuni di questi vincitori trionfare davvero, la mia speranza è che il tanto decantato Dunkirk di Christopher Nolan venga sonoramente affondato (musica a parte). Tanto efficace negli effetti tecnici, quanto deludente e scarso nella sceneggiatura e nella storia. Ma questo è il trend che tanto garba, tutto effetti e pochi veri contenuti.

Tante le nomination raccolte dal vincitore dell'ultima edizione della Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia: La forma dell'acqua - The Shape of Water di Guillermo del Toro. Sarebbe pura cine-blasfemia se Gary "Winston" Oldman non dovesse trionfare. Sebbene dubito che vincerà per il secondo anno consecutivo dopo La La Land, sarei davvero felice se Emma Stone conquistasse un altro Globo per l'ottima performance esibita in "gonna e racchetta" come Billy Jean King nell'intenso La battaglia dei sessi (2017, di Jonathan Dayton e Valerie Faris).

Cineluk - il cinema come non lo avete mai letto assegna i seguenti Golden Globe:
  • Miglior film drammatico: Tre manifesti a Ebbing, Missouri (di Martin McDonagh)
  • Miglior film o commedia musicale: The Disaster Artist (di James Franco)
  • Miglior regista: Martin McDonagh (Tre manifesti a Ebbing, Missouri)
  • Migliore attrice in un film drammatico: Sally Hawkins (La forma dell'acqua)
  • Migliore attore in un film drammatico: Gary Oldman (L'ora più buia)
  • Migliore attrice in un film commedia o musicale: Emma Stone (La battaglia dei sessi)
  • Migliore attore film commedia o musicale: James Franco (The Disaster Artist)
  • Miglior film d'animazione: Loving Vincent (di Dorota Kobiela e Hugh Welchman)
  • Miglior film straniero: Per primo hanno ucciso mio padre (di Angelina Jolie, Cambogia)
  • Migliore attrice non protagonista: Octavia Spencer (La forma dell'acqua)
  • Migliore attore non protagonista: Sam Rockwell (Tre manifesti a Ebbing, Missouri)
  • Migliore sceneggiatura: Guillermo del Toro e Vanessa Taylor (La forma dell'acqua)
  • Migliore colonna sonora originale: Hans Zimmer (Dunkirk)
  • Migliore canzone originale: This Is Me (Pasek and Paul - The Greatest Showman)
Sul fronte del piccolo schermo, scontato il premio a Kyle MacLachlan protagonista indiscusso della terza discutibile stagione del resuscitato Twin Peaks (di David Lynch), tutta la mia ammirazione è concentrata su due serie candidate in sezioni differenti. La prima è The Crown (di Peter Morgan), incentrato sulla giovane monarca britannica Elizabetta II,  in nomination come Miglior serie drammatica e Miglior attrice in una serie drammatica (Claire Foy). Standing ovation poi per Big Little Lies (di Jean-Marc Vallée), possente serie con un grandioso cast femminile capace di parlare come poche volte è stato fatto di violenza domestica. 6 le candidature per quest'ultima:
  • Miglior miniserie o film per la televisione
  • Miglior attrice in una mini-serie o film per la televisione: Nicole Kidman
  • Miglior attrice in una mini-serie o film per la televisione: Reese Witherspoon
  • Migliore attrice non protagonista in una serie, mini-serie o film tv: Laura Dern
  • Migliore attrice non protagonista serie, mini-serie o film tv: Shailene Woodley
  • Miglior attore non protagonista serie, mini-serie o film tv: Alexander Skarsgård
Buona cine-serata!
The Crown - la Regina Elisabetta II (Claire Foy)
L'ora più buia - Winston Churchill (Gary Oldam)

mercoledì 3 gennaio 2018

Wonder è un invito a crescere

Wonder – Auggie (Jacob Tremblay) e Jack (Noah Jupe)
I grandi uomini (o bambini) non si limitano a cambiare la propria storia, sono un’ispirazione per il cuore di tutti. Wonder (2017, di Stephen Chbosky).

di Luca Ferrari

Il piccolo Auggie è fin’ora sempre uscito di casa con un casco spaziale in testa per coprirsi il viso.
Ha una vistosa malformazione facciale ed entro pochi giorni, per la prima volta, si farà vedere dal mondo esterno facendo il suo ingresso in 1° media. I suoi genitori sanno che sarà dura ma è arrivato il tempo di abbandonare l’ombra e affrontare la vita. Adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo scritto da R. J. Palacio, è sbarcato al cinema Wonder (2017, di Stephen Chbosky).

Auggie Pullman (Jacob Tremblay) è un ragazzino di 10 anni affetto dalla sindrome di Treacher Collins. Fin dalla sua nascita ha subito numerosi interventi chirurgici per sopravvivere. Anche se al giorno d’oggi è in grado di fare ciò che ogni normalissimo bambino fa (tv, consolle, adora StarWars), il suo viso è palesemente deformato. Un aspetto questo che non può passare inosservato e dunque capace di tirare fuori il peggio delle persone (grandi e piccini) quando lo incontrano per la prima volta.

Dopo avergli fatto da maestra privata, la madre Isabel (Julia Roberts) è pronta per il grande passo. D’accordo col marito Nate (Owen Wilson), Auggie viene mandato in una vera scuola. Viene così accolto dal gentile sig. Tushman (Mandy Patinkin), preside della Beecher Prep School. Con acume e delicata intelligenza, affida il compito di introdurlo nell’edificio scolastico a tre studenti: Julian (Bryce Gheisar), Charlotte (Elle McKinnon) e Jack Will (Noah Jupe, visto di recente in Suburbicon, 2017, di George Clooney).

Com’è inevitabile, la stragrande maggioranza delle attenzioni della famiglia Pullman sono per il piccolo Auggie. Lui è il secondogenito, fratello di Olivia (Izabela Vidovic) detta Via, “la ragazza più comprensiva del mondo” come l’ha definita sua madre. È un’adolescente e maturità a parte, anche lei prova dolori e paure senza però farne mai parola con i genitori. Sa che Auggie ha più bisogno di mamma e papà ma anche lei, come lui, sta per iniziare un nuovo mondo scolastico alla high school. L’impatto non è dei migliori anche perché la sua amica del cuore, Miranda (Danielle Rose Russell), è cambiata e la degna a stento di uno sguardo.

La vita è dura per Auggie. A peggiorare le cose, l’apparentemente amichevole Jack, presto rivelerà qualcosa di inaspettato, e proprio quando il neo-arrivato stava iniziando a fidarsi. A complicare le cose, l’esasperato bullismo verbale di Julian, che dietro la facciata del bravo ragazzo davanti agli adulti, è un misero prepotente capace solo di umiliare i più fragili. Auggie però non è solo. Ha una vera famiglia alle spalle e presto la sua capacità di resistenza farà breccia ovunque, anche senza l’aiuto diretto dei grandi, incluso il suo attento insegnante, il prof. Browne (Daveed Diggs).

Wonder (2017, di Stephen Chbosky) è un film che non ha età. Potranno passare gli anni e potremo anche nasconderci sotto barbe, rughe o tinte, ma le debolezze rimangono e tutti nella vita abbiamo una parte di noi stessi che si sente ancora “non normale”. Non tutti hanno la forza di farla uscire, anzi. La maggior parte di noi la nasconde, se ne vergogna ancora, non ne fa parola a nessuno o magari non ha mai incontrato alcuno con cui aprirsi e condividerla.

Auggie è un bambino fortunato. Ha una famiglia forte alle spalle. Sanno bene in che modo il proprio figliolo verrà guardato appena varcherà le porte della scuola, “è come mandare un agnello in un pascolo di lupi” dice preoccupato papà Nate. “Più tardi comincerà, peggio sarà” replica la saggia mamma Isabel, preoccupata anche più del marito ma non per questo rassegnata a nascondere Auggie al mondo, perché dietro quei lineamenti facciali anomali c’è una persona e un cuore.

“Non ti puoi nascondere se sei nato per distinguerti” dice decisa la mamma a Auggie. È una frase che seduce e tocca l’anima ma c’è di più. Dentro Wonder c’è il rapporto tra fratello e sorella. C’è la forza sostenuta di un marito e una moglie. C’è un’amicizia di lunga data che troverà la strada per rinnovarsi e rinascere. C’è la normalità dell’amore giovanile. C’è la spensieratezza di “due amici per la pelle” pronti ad aiutarsi l’un l’altro. In Wonder ci sono le lacrime per capire che il mondo è più grande della “nostra” stanza e un giorno dovremo uscire anche noi.

Ho scelto di cominciare il mio anno cinematografico al cinema Rossini di Venezia con un film che sapevo mi avrebbe toccato e in tutta onestà posso dire che durante la proiezione ho pianto così tanto solo con Les Miserables (2012, di Tom Hooper) e The Search (2015, di Michel Hazanavicius). Non è solo la vicenda di Auggie a toccare. È tutto il mondo che gli ruota attorno a far vibrare i sentimenti, come gli stessi coetanei quando iniziano a cambiare atteggiamento nei suoi confronti. Il tema della diversità riguarda ciascuno di noi e Wonder (2017, di Stephen Chbosky) è qui a ricordarcelo.

L'undicenne canadese Jacob Tramblay (Room, Shoot In, Il libro di Henry) lascia il segno. Owen Wilson (Zoolander, Io & Marley, Gli stagisti) è un distinto gregario, mentre Izabela Vidovic è fragile e allo stesso tempo rassicurante. A salire in (cima alla) cattedra c'è lei, Julia Roberts (Erin Brockovic, La guerra di Charlie Wilson, I segreti di Osage County). Tanto dolce quanto energica. Non è una super-mamma né si piange addosso. La sua Isabel è una donna che non si lascia intimorire dalla vita, al contrario l'affronta con le sue due più grandi risorse: se stessa e la propria famiglia.

Si piange. Si cresce. Si ricorda. Wonder è un mondo che si rinnova. Wonder è un invito a essere gentili “perché tutti combattiamo una battaglia dura”. Wonder è un cerotto che bisogna strapparsi dal sangue ormai coagulato di una ferita visibile al mondo e al nostro silenzio. Come l'epidermide, anche la vita ha bisogno di respirare. Wonder risponde a tutto questo. Wonder è un invito ad avanzare nella bolgia degli sguardi superficiali. Wonder non è solo la storia di un bambino. Wonder (2017, di Stephen Chbosky) racconta la storia più difficile di una parte di ciascuno di noi.

Il trailer di Wonder

L'ingresso del cinema Rossini di Venezia con la locandina di Wonder © Luca Ferrari
Wonder – Auggie (Jacob Tremblay) e alcuni compagni di classe, Charlotte (Elle McKinnona dx)
Wonder – il piccolo Auggie (Jacob Tremblay) con la sua mamma (Julia Roberts)