!-- Codice per accettazione cookie - Inizio -->

sabato 29 settembre 2018

BlacKkKlansman, potere al potere

BlacKkKlansman - gli agenti sotto copertura Zimmerman (Adam Driver) e Stallworth (John D. Washington
Può un negro infiltrarsi nel Ku Kluk Klan, ottenere la tessera arrivando perfino a conoscere il gran maestro? La risposta è si e questa la sua incredibile vicenda. BlakkKlansman (2018, di Spike Lee).

di Luca Ferrari

Storia vera. Storia d’infiltrazione afroamericana nel delirio suprematista del Ku Klux Klan. Storia vera di un mondo ancora presente. Storia di odio e ignoranza pilotata ad arte da gente che aspira a ben altro. Storia mai capita davvero e per ancor di più oggigiorno, noi che viviamo nel mondo delle infinite verità annacquate. Capaci d’ingannare e fare in miliardi di irriconoscibili briciole ogni barlume d’innocenza ideologica. È sbarcato sul grande schermo BlacKkKlansman (2018, di Spike Lee).

Colorado Springs (Stati Uniti), anni ’70. La presunta integrazione tra neri e bianchi è tutta (o quasi) sulla carta. Nell strade come negli uffici la realtà è molto diversa. Il giovane Ron Stallworth (John David Washington) si arruola nel corpo di polizia locale. Dopo un lento inizio e non privo di contrasti con qualche collega, chiede di passare dall'archivio a incarichi più interessanti, suggerendo lui stesso missioni sotto copertura. Ricevuto un secco rifiuto, inizia a operare in questo ambito e fa la conoscenza dei colleghi, i detective Flip Zimmerman (Adam Driver) e Jimmy Creek (Michael Buscemi).

La sua prima missione riguarda la sua stessa gente, infiltrarsi “microfonato” in un comizio dell’ex-Pantera Nera, Stokely Carmichael (Carey Hawkins), oggi  Kwame Ture, organizzato dal comitato studentesco degli afroamericani. È lì che fa la conoscenza della decisa attivista, nonché presidente della sezione locale, Patrice (Laura Harrier). Il passo successivo è follemente geniale. Trovato un annuncio sulla gazzetta locale, Ron contatta il Ku Klux Klan. Ah, per quanti non lo sapessero ancora, Stallworth è un nero.

All’altro capo dell’apparecchio risponde il pacato suprematista Walter Breachway (Ryan Eggold) con cui organizza un incontro per conoscere lui e il clan, anzi l’organizzazione come gli specifica subito il violento e diffidente Felix Kendrickson (Jasper Pääkkönen), marito di Connie (Ashlie Atkinson), ansiosa di entrare in azione e mandare al Padre Eterno un bel po’ di negri. Ovviamente non può essere il vero Stallworth a interagire. La scelta cade su Flip, bianco, che dovrà solo nascondere la propria origine ebraica (odiata dal KKK).

La missione prende corpo. Tutto viene registrato e fotografato. Per partecipare alla prima croce infuocata però, serve la tessera ufficiale e Stallworth non ha tempo da perdere. Si mette così in contatto con la sede centrale arrivando per caso a parlare con il Gran Maestro in persona, David Duke (Topher Grace). Questi, colpito dalle parole del neo-adepto, verrà in Colorado per il suo battesimo ufficiale.

L’arrivo di Duke intanto rischia di mettere a repentaglio l'intera operazione. Il vero Ron Stallworth infatti gli viene affidato per la sua incolumità. C’è aria di battaglia nell’aria. Nello stesso giorno il comitato guidato da Patrice ha organizzato un incontro molto importante. Il vero e il falso Stallworth si ritrovano nella stessa stanza con il Ku Klux Klan a fare proseliti. La miscela è a dir poco esplosiva e qualcuno è deciso ad agire di testa propria.

Venezia, settembre 2018. Delle sale lagunari, la sala A del cinema Giorgione è quella che meglio si sposa con film di un certo impegno. Sarà la zona e quel sapore d’essai, si può davvero respirare il fascino della settima arte. Non è un caso che proprio qui abbia assistito (tra i tanti) alle proiezioni dei drammatici La verità negata (2016, con Tom Wilkinson, Rachel Weisz, Timothy Spall) e in tempi più recenti, l'ancor più sofferente Oltre la notte con Diane Kruger.

Spike Lee (Malcolm X, La 25° ora, Miracolo a Sant'Anna) non delude. Coniugando un piacevole mix tra impegno sociale, storia e umorismo, racconta una fetta della poco conosciuta storia dei neri d’America per lo più (colpevolmente) ignoragli dagli europei e da altrettanti conterranei del regista di Bad 25, documentario su Michael Jackson. La condizione dei neri negli Stati Uniti è di sicuro cambiata rispetto ai Seventies ma forse non così tanto come quasi 50 anni dovrebbero far auspicare e ciò che è peggio, la discriminazione esiste ancora.

Ben assortita la coppia degli attori principali. Adam Driver (Hungry Hearts, Paterson, L'uomo che uccise Don Chisciotte) è una certezza. Notevole anche la prestazione del figlio d'arte John David Washington, il nome del cui padre fa Denzel. Impressionante la somiglianza di Michael Buscemi col fratello Steve (personalmente credevo fosse quest'ultimo). A dir poco spassosa l'interpretazione di Topher Grace. E meno male che non si può ridere del Clan. Forse adesso Spike Lee ci ripenserà sulle ridicole critiche mosse a suo tempo a Quentin Tarantino e il suo Django Unchained (2012).

Fin dalla realizzazione del film erano circolate notizie sul finale collegato al presente dove l’attuale comandante in capo, Donald Trump, non spicca certo per lavorare sul fronte della vera integrazione. Ma come dovremmo porci noi europei davanti a tutto ciò? I tanto “criticati” americani con la pistola sempre dietro e guerrafondai, altri non sono (in maggioranza) che i figli degli europei più folli partiti per il Nuovo Mondo secoli addietro. Gli americani, quelli veri, li abbiamo sterminati (quasi) tutti.

Rispetto ad altre pellicole più specifiche, la storia di BlacKkKlansman esce dai classici confini dello scontro bianchi-negri. Penso alla mia casa e vorrei che le differenze fossero molte di più ma non è così. Non ci sono le croci infuocate nella campagna mestrina, in compenso abbiamo buffoni che salgono sugli autobus per proteggerci da non si sa bene chi e quale minaccia. Oggi, se non fosse per la moda, le compagnie low cost e i social network, sembrerebbe tutto uguale con la sola differenza che l'assordante voce dei burattinai del potere raccoglie consensi con ancor più facilità.

I suprematisti bianchi di BlacKkKlansman negano l’olocausto ebraico e i WASP vorrebbero la cultura negra fuori dalle loro case. Volevano riscrivere e negare la Storia esattamente come nel Bel paese sempre più persone si dimenticano delle pezze e le pulci che moltissimi dei nostri antenati avevano mentre andavamo in Belgio, Germania e Stati Uniti stessi. Non entro neanche nel merito del Fascismo, dove ogni giorno si assiste a un revisionismo al limite dell’incostituzionalità. E adesso, dall’alto della nostra presenza al G7 e nella UE ci arroghiamo il diritto di parlare di “noi” e “loro”.

Di nuovo diretta. Ho appena finito la visione di BlacKkKlansman, film vincitore del Gran Prix Speciale della Giuria alla 71° edizione del Festival di Cannes. Sono ancora davanti al cinema Giorgione di Venezia. Sto fumando una nervosa sigaretta. Scambio due parole con uno degli operatori di sala. Spike Lee ci mostra uno spicchio della storia d’America dove il potere plasma il pensiero. Sono incazzato. Disgustato. Depresso. Frustrato. Avvilito. Quanti anni sono passati davvero dalle vicende del detective Ron Stallworth ai giorni nostri? Quanto è davvero cambiato? Non voglio dirlo. Non posso crederci.


Il trailer di BlacKkKlansman

BlacKkKlansman, - la locandina; Patrice (Laura Arrier) e Ron Stallworth (John D. Washington
Il primo ad arrivare al cinema Giorgione... stasera tocca a BlacKkKlansman di Spike Lee © Luca Ferrari

venerdì 7 settembre 2018

Voglia di vincere, il trionfo di tutti noi

Voglia di vincere - Marty/Scott Howard (Michael J. Fox) trionfa
L'ultimo canestro è stato appena messo a segno. Adesso è tempo di godersi il meritato trionfo e cambiare per sempre la propria vita. Riscopriamo il cult Voglia di vincere (1985, Rod Daniel).

di Luca Ferrari

Epica, antologia di purissimi anni Ottanta. Un ragazzo come tanti sogna di emergere dalla folla. "Ho una gran voglia di vincere", si racconta al proprio padre. La vita però ha in serbo non poche sorprese, non ultima una mutazione lupina capace di ricoprirlo di peli felini dalla testa ai piedi e allo stesso tempo farlo diventare un asso in ogni cosa che decida di fare. Molti di noi ci sono cresciuti. Moltissimi di noi ancora vanno matti per Voglia di vincere (titolo originale "Teen Wolf")– 1985, di Rod Daniel.

Marty Howard (Michael J. Fox) è un adolescente insoddisfatto. Si divide tra studio, lavoro nel negozio del padre (James Hampton) e la pallacanestro, con risultati però alquanto modesti. È cotto della classica bella inarrivabile, Pamela Wells (Lorie Griffin), per di più “fidanzata” con Mick (Mark Arnold), perdigiorno e spocchioso. Non si accorge invece della dolce Lisa detta Boof (Susan Ursitti), che stravede per lui. Tutto cambia radicalmente quando scopre di avere il gene del licantropo. Ma invece di essere una brutale creatura assetata di sangue, scopre di avere doti super che lo faranno diventare un asso del basket e gli conferiscono una sicurezza incredibile.

In principio Marty si confida solo con il fraterno amico Stiles (Jerry Levine), poi, durante uno scontro sul quadrato di gioco, si trasforma rivelando a tutti il suo alterego lupino. È l’inizio di una nuova vita. Tutto va a gonfie vele. Anche troppo, e si sa, l'eccessiva sicurezza può anche avere delle conseguenze così  Marty a un certo punto dovrà fare una scelta. Affrontare la vita con le debolezze di un qualsiasi adolescente o scegliere il lupo e averla vinta in un baleno. La finale del torneo di pallacanestro arriva giusta per mettere il giovane davanti a questa scelta che condizionerà il proseguo della sua intera esistenza.

Gli anni ’80 non sono solo i Goonies, Indiana Jones, Rocky, La storia infinitaE.T. C’è tutto un filone di film leggero-adolescenziali molto amati da chi era un teenager all’epoca e Voglia di vincere è ancora oggi, nel mondo dei nerd riabilitati e i supereroi ritoccati al computer, un film amatissimo dove l’eroe è il ragazzo della porta accanto. Un esempio perfetto di ciò che l’esperto videomaker veneziano Alessandro Maggia spiegava nei suoi recenti lavori musicali dedicati proprio a quella inimitabile decade.

C’è poi lo sport. Il cinema d’oltreoceano ha sempre avuto una certa predilezione per baseball, football e pugilato. Anche il basket però si è ritagliato qualche interessante spunto, dal cult Space Jam (1996) con i Looney Tunes e His Airness Michael Jordan al divertente Chi non salta bianco è (1992) con Woody Harrelson e Wesley Snipes. Voglia di vincere è il basket ancor prima dei college, quello delle high school. Quello dove tutti i grandissimi campioni sono passati prima di approdare nella NBA, la lega professionistica americana.

Ed è proprio sul campo da basket che cambierà tutto. Ed è proprio quando hai il tuo nemico davanti a te che il protagonista fa la sua scelta. In campo non c’è partita. La squadra di Mick sta surclassando l’avversario. Il giovane protagonista fa il suo ingresso a sfida iniziata ma dell’uomo lupo nessuna traccia. Lui è deciso. Vuole vincere così. Nessuno ci crede, men che meno i propri compagni. La partita riprende. Ricevuta la palla, il grasso Chubby viene irriso da Mick con un offensivo Tira pachiderma! Dagli spalti il padre di Marty lo incita. Lui allora prende la mira e segna. È l’inizio. È l’inizio di una nuova partita.

La sfida è agguerrita. Marty e compagni ci mettono l'anima e inseguono. Recuperano e segnano. C’è una scena e un canestro in particolare che segnano il corso di quella partita e il cambio di mentalità. Chubby riceve ancora palla, prodigandosi subito d’istinto in un “Jabbariano” gancio cielo da 3 punti. Wiiiiiiiiiiiiiiiiiiiin... in the end, scandisce la canzone omonima cantata da Mark Safan. Subito dopo aver segnato, Marty gli sbuca da dietro abbracciandolo a bocca aperta per la meraviglia e in pratica salendogli sulle spalle (vedi foto finale) mentre lo stesso score-man mostra poco dopo  il pugno grintoso.

È la svolta. Quella squadra di “mezze seghe” è ora un quintetto di leoni deciso a ribaltare un esito scontato. C’è di più. I castori recuperano fino a -1 quando all’ultimo secondo Mick compie l’ennesimo fallo impedendo a Marty di segnare il canestro della vittoria, e consegnandogli due tiri liberi. Gli animi si scaldano. Espulso per avere toccato quota cinque infrazioni, Mick fa ancora il bullo alzando i toni dello scontro e mettendola sul piano manesco con la classica frase Ti aspetto fuori. Chubby è ormai un fiume in piena e la replica non lascia dubbi: Io ti aspetto fuori!

Marty si piazza sulla lunetta. Sbagliare entrambi significherebbe perdere la partita. Fare un centro su due equivarrebbe ad andare ai supplementari (senza Mick). Segnarli entrambi sarebbe invece il trionfo. Nessuna trasformazione lupesca. Incitato oltre modo da Stiles e tutto il pubblico sugli spalti, Marty prende la mira e segna. Una volta. Due volte. La telecamera rallenta seguendo la palla arancione che rimbalza sul tabellone, poi sul ferro e infine si insacca nel canestro. Marty chiude gli occhi per la gioia e la fatica finalmente ripagata. Esplode il boato del pubblico.

Attaccano le romantiche note di Shootin’ for the moon di Amy Holland. Lui e gli altri della squadra vengono portati in trionfo. Con quella solita aria da prima donna, Pamela si dirige verso il vincitore sicura che cadrà ai suoi piedi. Marty però ha capito la lezione e non ha tempo da perdere con persone egoiste e superficiali. Senza neanche degnarla di uno sguardo, la scansa e corre tra le braccia di Boof per baciarla e dal padre che se lo prende in braccio. È il trionfo il della vita e dell’amore. È il trionfo di un ragazzo come tanti. È il trionfo di tutti noi.

Voglia di vincere, la sfida finale

Voglia di vincere - il canestro della vittoria
Voglia di vincere - Marty (Michael J. Fox) festeggia il canestro di Chubby (Mark Holton)

mercoledì 5 settembre 2018

Natalie Portman splende di (Vox) Lux

Natalie Portman sul red carpet di Venezia75 © Federico Roiter
Veterana del red carpet veneziano, l'ex-Cigno nero Natalie Portman è sbarcata in laguna più splendente che mai, protagonista del film in concorso Vox Lux (di Brady Corbet).

di Luca Ferrari

È tornata, ancora una volta. L’ultima volta Natalie Portman era arrivata a Venezia due edizioni del Festival or sono, incarnando il dramma della vedova, forse più famosa del mondo. Jackie Kennedy, nell’omonimo film diretto da Pablo Larrain. Qualche anno prima era stata proprio la Mostra del Cinema di Venezia a darle la spinta giunta per far planare il suo Cigno Nero diritto verso l’Oscar come Miglior attrice protagonista.

Nella 75° edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia l’attrice di origini israeliane naturalizzata statunitense Natalie Portman (Qui dove batte il cuore, V for vendetta, Sognare è vivere) si è presentata in splendida forma per l’anteprima di Vox Lux, film in concorso per il Leone d’oro. Un’ennesima trasformazione dove Natalie interpreta una popstar segnata da adolescente da una tragedia che quasi la uccise.

Un tema dunque che da il la alla storia troppo frequente negli USA. Quelle armi che tutti possono comperare e con cui possono fare delle stragi. Succede ancora. Tragiche notizie. Un trend che nessuna amministrazione presidenziale ha mai davvero deciso di ostacolare, meno di tutti l'attuale inquilino della Casa Bianca, Donald Trump. Nulla come il cinema rispecchia al meglio la realtà contemporanea, e oggi davanti al pubblico di Venezia75 hanno parlato Vox Lux e Natalie Portman.

foto © Federico Roiter
Natalie Portman sul red carpet di Venezia75 © Federico Roiter
Natalie Portman sul red carpet di Venezia75 © Federico Roiter

martedì 4 settembre 2018

La popstar Lady Gaga non è un'attrice

Venezia75 – la popstar Lady Gaga © Federico Roiter 
Una cantante che interpreta una cantante in un remake. Non c'è che dire, A Star is Born, debutto alla regia di Bradley Cooper con protagonista Lady Gaga, è un'autentica apoteosi di originalità.

di Luca Ferrari

75° Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia, nella sezione "Fuori Concorso" è sbarcato il "drammatico" A Star is Born, ennesimo remake di "È nata una stella". Il film ha ricevuto standing ovation e recensioni positive ma in tutta sincerità mi chiedo dove sia la bravura di una cantante, nota trasformista del palco, che di fatto interpreta una sua collega. Alla newyorchese Stefani Joanne Angelina Germanotta le abilità non mancano, ma il vero cinema è un'altra dimensione, per il momento a lei aliena.

Nel mondo del grande schermo c'è posto per tutti, generi & sottogeneri. Ogni tanto però, tra improvvisati blogger intellettuali e superficiali fagocitatori di tv spazzatura, bisognerebbe trovare una giusta via dando il giusto peso a ciò che merita. A Star is Born (di Bradley Cooper) accontenterà di sicuro il pubblico meno esigente ed è probabile che il botteghino lo ricompenserà ma di grazia, non insultate l'intelligenza spacciandolo per chissà quale film.

Lady Gaga è glamour. Lady Gaga fa tendenza. Lady Gaga è un nome da copertina. Lady Gaga, una signorina che è arrivata a indossare un vestito di carne per far parlare di sé e delle sue (discutibili) doti canore, e ancora oggi molti attendono di sapere più come si vestirà che non cosa interprete-canterà. Come nello sport c'è una bella differenza tra essere un vincente e diventare un vero Campione, così nel mondo della settima arte essere una star non significa essere un grande attore o attrice.

foto © Federico Roiter 
Venezia75 – la popstar Lady Gaga © Federico Roiter 
Venezia75 – la popstar Lady Gaga assediata dai fan © Federico Roiter 


La popstar Lady Gaga sul red carpet di Venezia75 © Federico Roiter 

lunedì 3 settembre 2018

Suspiria rosso marketing

Suspiria (2018, di Luca Guadagnino)
Quale sarebbe il tanto scalpore di Suspiria di Luca Guadagnino presentato a Venezia75? Stile e marketing a parte, il resto è una storia già raccontata anni or sono da Dario Argento.

di Luca Ferrari

Suspiria (2018, di Luca Guadagnino) è un remake dell'omonimo (1977) diretto da Dario Agento. In parole povere non è farina del regista palermitano. Presentarlo a Venezia è una mossa molto furba. Non sarei sorpreso se il film avesse successo. Guadagnino ha le doti, l'acume e l’intelligenza per rispolverarlo alla grande, e gli spettatori del festiva sono facili da conquistare col suo stile. Resta però un prodotto già fatto da altri, quindi tutta questa attenzione sarebbe ora che il pubblico e l’industria cinematografica la indirizzassero a prodotti originali, e non rifacimenti intellettualoidi di alta quota.

Luca Guadagnino è una persona preparata e interprete di un cinema a tratti particolare. I suoi risultati sono alterni. Dopo l'esordio con The Protagonist (1999), è balzato alle cronache con Melissa P (2005) ispirato al romanzo "100 colpi di spazzola prima di andare a dormire" di Melissa Panarello, e che vanta un cast di importanti attori quali Elio Germano, Claudio Santamaria e Alba Rohrwacher. Più interessante Io sono l’amore (2009), presentato nella sezione Orizzonti della 66° Mostra del Cinema di Venezia.

Di gran lunga meno efficace e zeppo di luoghi comuni, l’altrettanto “veneziano” A bigger splash (2015) con Ralph Fiennes, Tilda Swinton, Matthias Schoenaerts e Dakota Johnson. Non ho visto il tanto decantato Chiamami col tuo nome (2017), candidato a quattro premi Oscar e vincitore della statuetta della Miglior sceneggiatura non originale (a James Ivory). Non posso dunque avere un’opinione su quest'ultimo. Diverso è il caso di Suspiria, remake presentato in concorso alla 75° Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia (29 agosto - 8 settembre).

I remake, squel a distanza di decenni & simili hanno invaso il grande schermo. Ormai è un trend consolidato, i risultati qualitativi però sono troppo spesso imbarazzanti. Ultimo di questi esemplari, Assassinio sull'Orient Express (2017), diretto e interpretato da Kennet Branagh. Ai grandi produttori però è evidente che la cosa non interessi. Si punta quasi ed esclusivamente a ciò che è un nome che la gente conosce in modo da non avere brutte sorprese. Così il cinema non fa cultura, ma ricicla se stesso in nome del dio danaro.

Guadagnino ha fatto bene i conti e per il suo 6° lungometraggio si è circondato di attrici già collaudate a cominciare dalla musa Tilda Swinton (Burn After Reading, Solo gli amanti sopravvivono, Grand Budapest Hotel) e Dakota Johnson (21 Jump Street, Cinquanta sfumature di grigio, Single ma non troppo). Alla fine la domanda è sempre quella. Era proprio necessario fare un rifacimento? Suspiria è e rimarrà sempre di Dario Argento così come Point Break (1991) lo è di Kathryn Bigelow. Suspiria (2018) è e resta un'operazione ben confezionata di marketing stilistico. Nulla di più.

Il trailer di Suspiria (2018)