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Visualizzazione post con etichetta Oscar Isaac. Mostra tutti i post
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giovedì 7 dicembre 2017

Suburbicon, tutti all'inferno

Suburbicon - l'ambiguo Gardner Lodge (Matt Damon)
Spietato. Crudelmente contemporaneo, allora come oggi. Presentato a Venezia74, esce oggi sul grande schermo Suburbicon (2017, di George Clooney).

di Luca Ferrari

L'America di provincia bianca e benestante. Tutti sono gentili e tutti si salutano. Qualcosa però sta per mandare fuori giri l'ingranaggio perfetto di fine anni '50. Nell'impeccabile quartiere residenziale di Suburbicon viene a vivere una famiglia di “negri”. In parallelo, un violento episodio di cronaca ha luogo nella casa di un rispettabile cittadino. Da una sceneggiatura dei fratelli Joel ed Ethan Coen e presentato in concorso alla 74° Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica, esce oggi sul grande schermo Suburbicon (2017, di George Clooney).

Gardner Lodge (Matt Damon) è un onesto lavoratore, marito e padre di famiglia. Vive con la moglie Rose (Julianne Moore), la sorella gemella di quest'ultima Margaret (Julianne Moore) e il loro figlioletto Nicky (Noah Jupe). Hanno dei nuovi vicini, i Meyers. Senza troppi problemi per il colore della pelle, gli ultimi arrivati non vengono così bene accolti dal resto del quartiere. Le cose cambiano radicalmente quando i Lodge sono vittima di un'aggressione da parte di due balordi, capitanati dal manesco Ira Sloan (Glenn Fleshler).

L'intero nucleo familiare viene imbavagliato e sedato. Il risveglio poi è anche peggio. Qualcosa si rompe. Le tante verità iniziano a venire a galla. La tregua dentro e fuori l'impeccabile giardino si sgretola. L'uomo cede spazio all'orrido che è in sé. Nicky si ritrova sempre più solo e l'unico conforto gli viene offerto dal malvisto zio Mitch (Gary Basaraba). Imbrogli e corruzione calpestano ogni sentimento. E anche se la Legge si mette sulle loro tracce con lo scafato Bud Cooper (Oscar Isaac), l'obiettivo non si sposta di un millimetro. Va raggiunto a ogni costo. Da una parte e dall'altra.

Suspance. Tensione. I 104 minuti di pellicola sono un treno squilibrato che sfreccia sui binari del privato e pubblico. Se da una parte ci sono i coniugi Mayers (Leith Burke, Karimah Westbrook) e il piccolo Andy (Tony Espinosa) nascosti dentro casa mentre l'intero quartiere bianco latra sguaiato per farli andare via, dentro il guscio dei Lodge è di scena una tragedia anche peggiore, eppure molto meglio amalgamata nei perversi meccanismi del moralismo più intollerante. Un giogo da camicia bianca e veleno. Lattice sporco di sangue e permanente.

Abile regista e attento osservatore dell'America, George Clooney (Good Night and Good Luck, Le Idi di Marzo, Monuments Men) valorizza al meglio il materiale Coeniano regalandoci un Matt Damon talmente inedito da farlo (temo) passare inosservato nella futura memoria del grande pubblico. Notevole anche la doppia presenza di Julianne Moore. Se nel recente Kingsman – Il cerchio d'oro era una cattiva donna capricciosa, qui è una gelida borghese calcolatrice senza il minimo spirito materno. Decisa a tutto pur di accaparrarsi marito, casa e conto in banca.

Villain subdolo e senza scrupoli, Glenn Fleshler si trova a suo agio con ruoli di questa portata. Già viscido avvocato al soldo del potente Bobby Axelrod nell'ottima serie Billions, nella nuova opera Clooneyana è il classico uomo rozzo e corrotto. Non ha alcun interesse per la morale e il rispetto umano. Pensa solo al proprio tornaconto e se c'è da fare male a qualcuno per ottenerlo, beh, tanto peggio per chi si metterà sulla sua corpulenta strada.

Dici che l'America in fondo è ancora “schiava” del suo passato e voglia nascondersi? E cosa dovrebbe dire allora l'Italia? Il presente ci regala un ritorno del passato più vergognoso. Qualcosa che evidentemente la cultura non è stata abbastanza capace di spiegare e combattere. Oggi in Italia stiamo assistendo passivamente al ritorno della nostalgia per il fascismo. L'ignoranza popolare fa da collante, così invece di puntare chi è all'origine dei problemi, gli stolti e i razzisti se la prendono con la minoranza più sacrificabile. Un male questo comune in sempre più nazioni europee e ovviamente negli Stati Uniti.

Suburbicon immortala un'America lontana a livello temporale, nei fatti più vicina di quanto si potrebbe tragicamente immaginare. Storia di provincia dal cuore hindi e l'anima nera, graffiante. Un blues con rigurgiti splatter e una feroce critica sociale. Un film ideale per i lettori del New York Times. Un film che l'elettorato di Donald Trump non sarà mai in grado di comprendere. Un film di cui tra vent'anni i registi dalla penna fumante citeranno come manifesto di una mondo che, si spera, stia ancora lottando contro l'imperversare dell'inciviltà più gretta e sordida. Suburbicon (2017, di George Clooney) un film da vedere (e su cui ragionare) al cinema.

Il trailer di Suburbicon


Suburbicon Mrs. Mayers (Karimah Westbrook) viene insultata
Suburbicon Margaret (Julianne Moore) a colloquio con Bud Cooper (Oscar Isaac)

venerdì 20 maggio 2016

X-Men, i mutanti lottano per la pace

X-Men Apocalisse - il potente primo mutante En Sabah Nur (Oscar Isaac)
Uniti si può cambiare il mondo nel nome di un’esistenza pacifica. L’alternativa è l’Apocalisse, per gli X-Men (2016, di Bryan Singer) e per gli esseri umani.

di Luca Ferrari

Ancora una volta il potere di uno vuole tutti schiavi. La storia non cambia mai. Le dittature cadono. Anche il potere più becero un giorno si sbriciolerà. Almeno questa è la speranza. Almeno questa è la possibilità finché esisteranno uomini, donne ed esseri mutanti capaci di credere prima, e agire poi, uniti. Mettendo da parte le differenze di facciata. Siamo diversi. Tutti. Ed è questo il bello di tutti noi. Terzo e ultimo capitolo della seconda trilogia del genere, X-Men – Apocalisse (2016, di Bryan Singer).

En Sabah Nur (Oscar Isaac), il primo mutante della Storia è tornato ed è pronto a fare piazza pulita di tutto e tutti. Gli unici che intende risparmiare sono i suoi simili più potenti. Coloro che si alleeranno con lui. E se gli altri non sono d’accordo, peggio per loro. L’umanità ha fatto il suo tempo. Questa razza umana figlia di leader deboli e collezionisti di armi di distruzione di massa deve far posto ha una nuova era.

Inizia così l’ultimo capitolo della seconda trilogia dedicata ai mutanti (prima in ordine temporale). Scampato il pericolo di un futuro letale, Charles Xavier (James McAvoy) è di nuovo a dirigere la scuola speciale, aiutato dal fido Hank McCoy (Nicholas Hoult). Raven (Jennifer Lawrence) intanto, smesse le sembianze di Mystica, si da alla liberazione di altri suoi simili usati come bestie da circo. Anche il fu Magneto, Erik Lehnsherr (Michael Fassbender) ha provvisoriamente messo da parte i propri poteri per condurre un’esistenza normale e soprattutto lontana.

Tutto cambia quando quest’ultimo per salvare un uomo, rivela le proprie doti e il corso degli eventi farà si che torni a essere dominato dall’odio e la vendetta verso gli umani. È allora che si alleerà con l’invulnerabile En Sabah Nur, formando lo squadrone dei quattro cavalieri dell’Apocalisse insieme a Ororo-Tempesta (Alexandra Shipp), Betsy-Psylocke (Olivia Munn) e Warren-Angelo (Ben Hardy).

Nuovi promettenti X-Men buoni intanto stanno studiando per diventare grandi. Tra di essi, Scott Summers (Tye Sheridan), fratello di Alex, e soprattutto Jean Grey (Sophie Turner), dal potere fortissimo ma al momento ancora incapace di reggerne il peso. A questi si aggiunge il fuggitivo (via Raven) Kurt Wagner (Kodi Smit-McPhee), detto Nightcrawler. Al loro fianco c’è anche l’indomita agente dell’FBI Moira MacTaggert (Rose Byrne), del cui passato al fianco di Xavier, non ricorda nulla.

È solo questione di tempo (poco). En Sabah Nur ha in mente lo sterminio di massa. La razza umana non ha i mezzi per reggere una simile onda di distruzione. Tutte le speranze sono affidate al telepate Xavier e i suoi giovani aiutanti. Non c’è spazio per il dialogo. C’è solo la decisione di un essere che si erge a dio sovrano del mondo. Chiunque al suo cospetto è chiamato a prendere una decisione. Tradire il padre originale o rifiutare quel mondo fatto di imperfezioni.

A distanza di un paio di settimane dall’uscita di Captain America: Civil War, la Marvel torna sul grande schermo con un altro prodotto. La differenza c’è e si vede. Se l’aramda dei supereroi appare più un prodotto da mero entertainment salvo qualche rarissima eccezione, la saga dei mutanti è differente. Una cinematografia più ricercata, e diretta da personaggi più all’altezza. Una cinematografia che non cerca il sensazionalismo ma attinge al campionario di emozioni umane per lasciare una traccia.

Anche se non c’è la guerra, non c’è la pace” dice un Eric sempre più amareggiato. Come non vedere similitudini nella nostra vita? Non parlo del facile terrorismo, mostro impazzito su cui tutti dovrebbero prendersi le proprie responsabilità per averlo creato, parlo della vita quotidiana dove flotte di famiglie sono alla canna del gas e l’economia delle banche stritola milioni di persone, senza poi manco pagare le conseguenze come ha ben raccontato l’eccellente La grande scommessa (2015, di Adam McKay). Magari questa non è una guerra, ma di sicuro sta gettando le basi per crearne di future.

Dopo la superlativa prova nel biopic Steve Jobs (2015, di Danny Boyle) e la trasposizione Shakespeariana del Macbeth al fianco della premio Oscar Marion Cotillard, l’irlandese Michael Fassbender (Hunger, A Dangerous Method, 12 anni schiavo) offre un’ulteriore prova delle sue capacità attoriali. Le lacrime che gli colano sul viso irsuto sono l’anticamera di una vendetta. Una strada pericolosa e letale cui sono l’amore della sua famiglia adottiva dei mutanti potrà sedare.

Se Fassbender svetta a livello recitativo, il personaggio cruciale è Raven-Mystica. È cresciuta. È decisa. È pronta a sacrificarsi. Tocca a lei fare la mamma chioccia alle nuove leve. È la sola che in principio riesce ad avvicinarsi a Magneto senza scatenare le sue potenti reazioni. È la sola che ha il coraggio di guardarlo fisso negli occhi e dirgli le sue intenzioni: andrò a combattere per quello che mi resta, e tu?

E poi c’è lei, Jean. Il suo potere era già noto nella trilogia adulta dove era interpretata da Famke Janssen, questa volta tocca alla giovane Sophie Turner. È fragile ma non si sottrae a ciò che è. Ha le stesse capacità mentali di Xavier ma ancora più accentuate. Non cercare di controllare il tuo potere, accettatelo! le viene suggerito. Se En Sabah Nur scatenerà l’Apocalisse sulla Terra, le sue doti avranno l’occasione di dimostrare ciò che è veramente.

I film sugli X-Men sono soprattutto dei mondi sulle diversità. Ai tempi del primo album dei Nirvana, Bleach (1989), ricordo ancora una buffa dichiarazione del cantante-chitarrista Kurt Cobain che parlando di sé e gli altri membri del gruppo si paragonava a dei mutanti per come erano e si sentivano (alienati). Non essendo mai stato (né lo sono ora) un appassionato di fumetti, all’epoca non avevo idea a cosa si stesse riferendo però quella frase mi rimase impressa.

Adesso ne capisco il significato. Gli X-Men sono una minoranza emarginata, e come tale viene vista con sospetto e spesso discriminazione. C’è chi reagisce tendendo comunque la mano e chi sposa la linea o con me o contro di me. In questo i mutanti sono uguali agli esseri umani, e la soluzione, se vogliamo evitare le tante piccole apocalissi del genere umano, è il dialogo. Oggi e per sempre.

Guarda il trailer di X-Men - Apocalisse

X-Men Apocalisse - (da sx) Raven (Jennifer Lawrence), Moira MacTaggert (Rose Byrne),
Charles Xavier (James McAvoy), Alex Summers (Lucas Till) e Hank McCoy (Nicholas Hoult)
X-Men Apocalisse - Tempesta (Alexandra Shipp), En Sabah Nur (Oscar Isaac) e Psylocke (Olivia Munn)
X-Men Apocalisse - Jean (Sophie Turner), Nightcrawler (Kodi Smit-McPhee) e Scott (Tye Sheridan)

venerdì 14 febbraio 2014

In viaggio coi Coen, anime folk

A proposito di Davis - il musicista Llewyn Davis (Oscar Isaac) © Alison Rosa, 2012 Long Strange Trip LL.
Un uomo e le sue sabbie mobili interiori. Un musicista folk e il suo logorante ciclico cammino. Joel ed Ethan Coen “menestrellano” A proposito di Davis.

di Luca Ferrari

L’ispirazione brucia. L’anima si consuma. L’essere umano cerca il suo posto. Il suo colpo da respingere. Infrange le ombre poste a guardia del proprio immaginifico splendore, poi torna indietro. Si perde. Girovaga. Invecchia. Lascia. Tre anni dopo Il Grinta, i quattro volte premi Oscar Joel ed Ethan Coen raccontano la fiaba folk A proposito di Davis (Inside Llewin Davis, 2013).

Ispirato alla vita del cantante Dave Van Ronk (1936-2002), nel Greenwich Village newyorkese si snoda l’esistenza di Llewyn Davis (Oscar Isaac). Senza un tetto. Senza un domani. Si barcamena tra i divani di vecchi e nuovi amici. Tra i suoi letti preferiti, la famiglia dell'amico suicida con cui aveva un duo musicale di discreto successo. La carriera solista invece non procede troppo bene.

Llewyn ci prova, ma senza troppa convinzione. Si lascia trascinare dalla corrente verso una meta più o meno definita. La grande strada americana divide e anticipa. Vomita block-notes sui cui intingere melodie canterine. Tramanda storie ancora troppo impersonali perché lo spartito si animi. Il sorriso di un amico c’è ad ogni modo. La porta aperta di una famiglia finto-adottiva è in linea d’aria e a portata di telefonata.

Davis sembra allergico alle logiche commerciali della musica. Gli mancano i soldi ma non accetta i compromessi. Partecipa insieme all’amico Jim Berkey (Justin Timberlake), ma per estrema necessità rinuncia alle royalties. Si mette un viaggio alla ricerca della sua grande occasione. Ma quando, dopo un "fratelldoveseiano" viaggio, riesce a ottenere un provino davanti al produttore Bud Grossman (F. Murray Abraham), a dispetto della mezza bocciatura ma con una prospettiva di suonare per lui in un gruppo, rifiuta e torna nel calore dei propri demoni.

E chi è quel micio insieme a lui? Che cosa rappresenta nell’universo Coeniano? Resta ma scappa. Dovrebbe essere uno di famiglia, ma si scopre non esserlo. Eppure rimane. Nelle diagonali degli occhi rassegnati del protagonista c’è un’arrendevole rabbia per un mondo che non riesce a mutare. Si accolla il peso di un cambiamento epocale, interrotto dagli eventi.

E allora la propria strada può ricominciare. E proseguirà, ne siamo certi. Su nuovi ma non per questo meno settoriali binari. Pensavo mi ci volesse solo una bella dormita, ma non è stato così ammette Llewyn. Ha i piedi freddi. Ha paure che non trovano spazio nelle sue canzoni. Ha silenzi che appartengono a ciascuno di noi. Forse di tanto in tanto avrebbe voluto fermarsi accanto alle rotaie senza essere disturbato.

Non ho altro, au revoir.

Guarda il trailer del film A proposito di Davis

A proposito di Davis (2013, di Joel ed Ethan Coen)
A proposito di Davis - Llewyn (Oscar Isaac), Jim (Justin Timberlake) e Jean (Carey Mulligan)
A proposito di Davis - il musicista Llewyn Davis (Oscar Isaac) © Alison Rosa, 2012 Long Strange Trip LL.
A proposito di Davis - Llewin (Oscar Isaac) e Jim (Justin Timberlake)
© Alison Rosa, 2012 Long Strange Trip LL.
A proposito di Davis - il musicista Llewyn Davis (Oscar Isaac)