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giovedì 14 marzo 2024

Chi segna vince - Insieme con i sentimenti

Chi segna vince - Jaiyah (Kaimana) e coach Rongen (Michael Fassbender)

Il film sul calcio che tutti dovrebbero vedere. Chi segna vince (2023, di Taika Waititi). Storia vera con un incazzosissimo Michael Fassbender, coach della peggior squadra nazionale.

di Luca Ferrari

Scaricato. Arrabbiato. Ferito (ma nessuno lo sa). Thomas Rongen (Michael Fassbender) è un allenatore di calcio olandese, fresco di licenziamento dopo cinque anni passati a dirigere la squadra Under 20 della Nazionale statunitense. Complici anche i suoi modi poco ortodossi sul rettangolo di gioco, viene messo alla porta senza troppi convenevoli, o meglio viene mandato a guidare la squadra più perdente nella storia continentale, le Samoa Americane. Un'avventura che sa di punizione e allo stesso tempo di redenzione, come in realtà spera l'ex-moglie Gail (Elisabeth Moss), sempre se il bizzoso coach darà una possibilità ai suoi giocatori, e soprattutto a se stesso. L'obiettivo ha il sapore di na sfida impossibile: qualificarsi alla prossima edizione dei Mondiali. Tratto da una storia vera, è sbarcato su Disney+, Chi segna vince (2023 di Taika Waititi).

Gli inizi non sono per nulla promettenti, Rongen è nervoso e spazientito. Il materiale umano-calcistico è quello che è. Nonostante ciò, attorno a lui c'è sempre molta gentilezza e disponibilità, a cominciare dal suo vice, il mite Ace (David Fane) e lo stesso Presidente della Federazione, Tavita (Oscar Kightley), cui non interessa troppo vincere. O meglio, certo che gli piacerebbe, ma dopo l'umiliante 30-0 rimediato dall'Australia, si accontenterebbe se la sua squadra riuscisse a segnare almeno un goal in una gara ufficiale. Ed è questa la mission impossible cui è chiamato il celebre allenatore orange. A complicare una situazione già delicata, in principio, il ritorno in squadra di Jaiyah (Kaimana), giocatrice faʻafafine (né uomo né donna) con cui Rongen si sente in macho-imbarazzo, ma che col tempo diventerà il perno fondamentale della squadra, aiutando l'allenatore a reclutare quei giocatori che ormai non ne volevano più sapere di rappresentare l'umiliata Nazionale delle Samoa Americane.

Con una spruzzata di saggezza anni '80 (direttamente dal Maestro Miyagi di Karate Kid), l'uomo e la sfida diventano tutt'uno. Gli allenamenti si fanno seri e tutto ciò che fino a qualche tempo fa sarebbe sembrato più assurdo di un sogno irrealizzabile, adesso è alla portata. Ma qualcosa ancora non va. A dispetto dell'impegno e della fatica, qualcosa non è ancora a fuoco. E ancora una volta Rongen darà ascolto ai propri demoni invece di voltare pagina e affrontare la vita diversamente. Così, inevitabilmente, ci sarà sarà l'ennesima sfuriata davanti alle telecamere. Questa volta però, qualcuno andrà da lui e non sarà un amministratore delegato, né un dirigente né un arbitro. Verrà da lui "solamente" una persona, un amico sincero, e gli parlerà col cuore. Già, il cuore. Thomas capirà che deve cambiare qualcosa per ricominciare a vivere sul serio e il solo modo per farlo, è iniziare a dare ascolto ai propri sentimenti. Anche se si è in un campo da calcio e per di più in un momento cruciale di una partita cruciale.

Chi segna vince (2023, di Taika Waititi), finalmente un film sul calcio che non osanni questo sport in modo ossessivo, come il sopravvalutato Febbre a 90° (1997, di David Evans con protagonista Colin Firth nei panni di un maniacale tifoso della squadra inglese dell'Arsenal). Finalmente una storia sul mondo del calcio (vera) dove non c'è solo il pallone e/o la violenza dei tifosi, ma anche e soprattutto i sentimenti e l'identità, come quelle che nel mondo del pallone si nega a più riprese. A sentire certi "personaggetti", il calcio è l'unico sport al mondo dove ci sono esclusivamente giocatori etero. Chi segna vince è un film sul calcio che non è solo calcio, capace di raccontare qualcosa di più. Presente nella pellicola anche il regista Taika Waititi (Thor: Ragnarock, Thor: Love and Thunder, Jojo Rabbit) nei panni di un prete samoano peace & love.

Chi segna vince (2023) non ha l'ambizione di competere con film sul mondo del pallone come il bellissimo Il maledetto United (2009, di Tom Hooper), né possiede quella spensieratezza giovanile di Bend it like Beckham  (2002, di Gurinder Chadha). Gli atleti di Chi segna vince non sono calciatori professionisti. O meglio, lo sono ma non hanno certo gli stipendi a infiniti zeri degli omologhi europei. Fanno tutti altri lavori per campare, a cominciare dallo stesso Tavita che fa anche il cameraman per l'emittente locale, l'autista turistico e il cameriere. Chi segna vince è una parentesi nella complicata vita di coach Rogen e probabilmente, si spera, anche nelle nostre/vostre esistenze. Forse sarebbe dovuto chiamarsi, Chi GIOCA, vince perché la sensazione è proprio questa. Che i vincenti siano tutti i membri della Nazionale delle Samoa Americane. Agguerriti e pronti per cambiare una sentenza (sportiva) già scritta, ma allo stesso tempo decisi a farcela senza esasperazione e con una parola gentile per chi ci è accanto.

Un'ultima nota per il finale, con l'attualità dei veri giocatori su cosa stanno facendo nella vita nel presente più recente. Momento toccante, quando si scopre questo: "Jaiyah Saelua è stata la prima atleta apertamente transessuale a competere in una gara di qualificazione di Coppa del Mondo. Oggi è un'allenatrice di calcio pluripremiata e un'ambasciatrice FIFA per l'uguaglianza".

Chi segna vince, il trailer

Chi segna vince - il regista-prete samoano Taika Waititi
Chi segna vince - coach Rongen (Michael Fassbender) e il Presidente della Federazione Calcio
delle Samoa Americane, Tavita (Oscar Kightley)
Chi segna vince - Ace (David Fane) e coach Rongen (Michael Fassbender)
Chi segna vince - Jaiyah (Kaimana) e coach Rongen (Michael Fassbender)
Chi segna vince - coach Rongen (Michael Fassbender) e la squadra delle Samoa Americane
Chi segna vince - le Samoa Americane si preparano alla partita
Chi segna vince - il Presidente della Federazione Calcio delle Samoa Americane,
Tavita (Oscar Kightley)
Chi segna vince - un commosso e provato (Michael Fassbender)
Chi segna vince - la vera Jaiyah Saelua
Chi segna vince - coach Rongen (Michael Fassbender) e la sua squadra

lunedì 15 gennaio 2024

Il super dispettoso Bud Spencer

I due superpiedi quasi piatti
Vita dura per chi cerca lavoro (o magari compie gli anni), specie se s'incontra qualcuno che se ne vuole anche approfittare. A quel punto però, è lecito diventare... dispettosi, come Bud Spencer!

di Luca Ferrari

Le settimane non sempre cominciano bene. Se poi ci si mette anche il calendario, allora davvero può essere una giornataccia. Animato da buone intenzioni, può andare anche peggio a chi è in cerca lavoro, come capita al buon Wilbur Walsh (Bud Spencer). E lui ce la mette davvero tutta, impegno e disponibilità, ma come per molti di noi, la risposta è solo sfruttamento, accompagnato da qualche velata risatina. Questa volta però, Curly (Luciano Catenacci) e i suoi scagnozzi capitanati dallo Sfregiato (Riccardo Pizzuti), hanno trovato un candidato poco idoneo a farsi ricattare, e la sua risposta è pura epica firmata  E.B. Clucher, tramandata ai posteri nel film I due superpiedi quasi piatti (1977).

"...Tu hai ragione, ma se io non mangio,
non vado al cesso.. E se non vado al cesso,
cambio carattere, perdo il buonumore. Insomma,
divento.. dispettoso!"
                                Wilbur Walsh (Bud Spencer)

I due superpiedi quasu piatti

I due superpiedi quasi piatti (1977, di E.B. Clutcher

venerdì 5 gennaio 2024

Ho un desidero: "Wish", sparisci per sempre!

Wish - Re Magnifico
Wish è nauseabonda ostentazione di superlativi. Un prodotto confezionato che ha l'originalità di un pranzo della domenica. Tra meno di un anno, nessuno si ricorderà neanche il titolo.

di Luca Ferrari

Ma che fine ha fatto Crudelia De Mon? Dove sono i vari Dory e Scorza? Ma in quale isola che non c'è, hanno confinato l'animazione più autentica? Un tempo c'erano i concetti da mimetizzare nelle storie, adesso è l'opposto. Oggigiorno c'è solo un esasperato tentativo di spingerci in gola e conficcarci nella mente buonismo e inclusività. Una ricetta narcotica per farci dimenticare il tracollo umano-sociale in cui viviamo, e relegando al web le nostre rivoluzioni. Lì, sulle storie del grande schermo invece, la sceneggiatura nuda e pura ha un ruolo talmente marginale da apparire fuori luogo. Per le feste è sbarcato sul grande schermo Wish (2023). Diretto da Mr "Frozen" Chris Buck, fin dalle prime battute si percepisce un messaggio talmente dolciastro da far apparire più digeribile un pandoro al mascarpone condito da panettone al pistacchio. Un film tra l'altro, da cui traspare già il sequel scontato: lo specchio si rompe nelle segrete (molto diseducativo questo messaggio, ndr), il re si libera e mette in atto la sua vendetta, la nuova lotta e trionfo dei buoni.

Doppiata nell'originale dalla Premio Oscar Ariana DeBose, Asha rasenta la perfezione assoluta (ennesima esasperazione da sbattere in faccia ai più piccoli, ndr). Non ha difetti. Coraggiosa, leale, dal cuore immacolato. Intrappolata tra le perfide grinfie di Re Magnifico, dà il via alla rivolta contro la tirannia. Un personaggio che incarna quei sogni irrealizzabili. Un sogno che solo gli ingenui possono credere siano realistici. Ogni persona ha diritto di avere i propri sogni, anche se non li realizzerà mai. I bambini hanno diritto ai loro sogni, e questo è indubbio. Forse sarebbe più educativo raccontargli che non basta una canzonetta da quattro soldi per piegare una persona malvagia.

E' curioso poi come il produttore della suddetta pellicola, la Disney, abbia messa in atto da tempo una dittatura animata, fagocitando uno dopo l'altro i vari studi cinematografici, e dunque voglia propinarci lezioni su "coloro i quali voglino comandare". E la qualità sempre più bassa, è palese, come ha rimarcato di recente anche che lo stesso CEO, Bob Iger. Ma prima di pensare al botteghino, uno studios come la Disney forse dovrebbe pensare alle storie. Sono passati più di 60 anni da La carica dei 101 e più di 20 da Alla ricerca di Nemo, eppure sono pronto a scommettere che tra un secolo i bambini e bambine di tutto il mondo ancora li guarderanno. Wish sarà al massimo un buco da tappare in qualche festività, concedendo una risatina di dolcezza con la presenza della stella Star, e nulla di più. Tra un anno e anche meno, Wish sarà già stato sepolto da storie anemiche col solo obiettivo di educarci a qualcosa

Il trailer di Wish

domenica 24 dicembre 2023

Elf, la colazione di natale

Elf - Un elfo di nome Buddy

Il giorno è arrivato! Alla vigilia di natale ho preparato per colazione gli spaghetti con sciroppo d'acero, seguendo la ricetta dell'elfo umano Buddy (Will Ferrell) - Elf.

di Luca Ferrari

Voilà, la colazione è servita! Lo avevo detto dopo il natale scorso e l'ho fatto.  A colazione, la vigilia di natale, avrei fatto gli spaghetti con lo sciroppo d'acero, proprio come quelli che Buddy (Will Ferrell) preparava alla dolce Emily (Mary Steenburgen), moglie del suo rigido papà Walter Hobbs (James Caan), da poco ritrovato. Così ho fatto. Tenera fiaba natalizia Elf - Un elfo di nome Buddy (2003, di John Favreau). In passato un po' trascurato, oggi è diventato un imprescindibile cult natalizio delle mie giornate a ridosso dell'arrivo di Babbo Natale. 

Buon appetito... e buone feste!

Elf - Buddy (Will Ferrell) serve a Emily (Mary Steenburgen) degli ottimi spaghetti...
... con sciroppo d'acero!
Spaghetti con sciroppo d'acero per colazione  © Luca Ferrari

domenica 15 ottobre 2023

Modern Family, non mi convinci proprio

Il cast della I stagione della sitcom Modern Family

13 puntate della prima stagione e... non sono per niente convinto. La tanto decantata sitcom Modern Family per il momento, è stata deludente. Andrò comunque avanti. Vedremo...

di Luca Ferrari

"Devi guardare Modern Family, devi guardare questa serie... è fighissima!" mi ripete pressante un'amica. "Ok, quando riattiverò l'abbonamento su Dinsey+, mi ci dedicherò" la mia esausta risposta. Quel giorno alla fine è arrivato ma al momento posso solo dire che la serie ideata dallo sceneggiatore Christopher Lloyd (omonimo del celebre Doc di Ritorno al futuro) e Steven Leviatan, è stata piuttosto deludente. Mentre sto scrivendo questa nuova creazione cinelukiana, sono arrivato alla 12° puntata della I stagione, e anche se al momento non provo neanche lontanamente il piacere che mi hanno dato esperienze del piccolo schermo come i Goldbergs o Young Sheldon, continuerò comunque a vederla, in attesa, forse di ricredermi. Chissà! 

Modern Family è incentrata su tre famiglie legate tra di esse. A caratterizzare la serie, intervalli costanti di tutti i protagonisti, come se fossero davanti a uno psicologo. Un qualcosa che non può non ricordare la struttura di How I Met Your Mother. Se quest'ultima funzionava alla grande con le vicende raccontate da uno di essi da adulto davanti ai figli senza mai farsi vedere (esattamente come accade qui), la serie più recente non mi ha mai convinto, e fin dall'inizio. Cosa alquanto rara per uno che di sitcom se ne intende e ne ha viste a secchiate. Che abbia successo o meno, è irrilevante per i gusti personali. Voglio specificare che non sto scrivendo una recensione puramente tecnica, ma sto specificando perché Modern Family mi abbia convinto poco, a cominciare proprio da queste continue interruzioni poco funzionali allo sceneggiato.

La fortuna di una serie, ancor prima della narrazione delle puntate, sono i personaggi e sono proprio alcuni di loro a lasciarmi perplesso:

  1.  Phil Dunphy (Ty Burrell): insopportabile. Mr So-Tutto-Io. Sono anch'io un papà e in teoria avrei dovuto empatizzare con lui ma mi risulta davvero impossibile. Sempre a credere di essere il figo, il moderno, etc. Risulta spocchioso e già dopo poche puntate si crede spesso migliore della moglie senza rendersi conto che lo lascia primeggiare (o non vuole capirlo). Potrebbe essere un Ross (Friends) più vecchio.
  2. Claire Dunpghy (Julie Bowen): a istinto mi pare la più interessante. Sebbene molto diverse, mi ricorda la Rachel di Friends. È il personaggio da cui mi aspetto di più e con molti margini di sviluppo: relazioni coi figli e lavoro, su tutto.
  3. Mitchell Pritchett (Jesse Tyler Ferguson) e Cameron Tucker (Eric Stonestreet): aiuto, qui siamo a "Luogo-comunelandia". La coppia gay è un trionfo di cliché che nel 2023 dovrebbero essere ormai superati. È vero che la prima stagione risale al "lontano 2009" e quindici anni sul fronte sociale, sono davvero tanti in quest'epoca, però mi piacerebbe vedere più contenuti e meno stereotipi che ormai sono triti e ritriti.
  4. Jay Pritchett (Ed O'Neil): lo ammetto, con questo ho un problema personale. Qualunque serie  in salsa familiare interpreti l'attore americano, si dovrà sempre confrontare con lo strepitoso Al Bundy di Sposati con figli (Married with Children, 1987-1997), scanzonato padre di famiglia interpretato da O'Neil in una delle sitcom simbolo degli anni '90 (alla stregua di Willy Il principe di Bel-Air), che vi consiglio di recuperare e vedere. 
  5. Gloria Delgado (Sofia Vergara): una delle poche a divertire davvero. È simpatica, però troppo "debitrice" dal personaggio interpretato dalla stessa attrice colombiana nella commedia Fuga in tacchi a spillo (2015, di Anne Fletcher), al fianco di Reese Whiterspoon. Anche lei, sono curioso di vederla, in particolare in relazione col marito molto più anziano di lei.
  6. Haley (Sarah Hyland), Alex (Ariel Winter), Luke (Nolan Gould): la formula dei tre figli è piuttosto collaudata-abusata, vedi i cult anni '80, Genitori in Blue Jeans Charles in Charges, e quasi sempre con due femmine e un maschio (la stessa famiglia Bangs prevede questa formula prima che Will Smith pareggiasse il conto nella già citata serie). Dagli anni Ottanta al terzo millennio, è sempre lo stesso: la maggiore è quella superficiale, la minore è la studiosa e il terzo è il piccolo. Stesso trend di un'altra strepitosa commedia anni '90 che v'invito a vedere: Pappa e Ciccia (Roseanne, 1988-1997) con Roseanne Barr e John Goodman.
  7. Manny (Rico Rodriguez): come i tre cugini, sono curioso di vedere la sua crescita.
  8. Dede Pritchett (Shelly Long): come anche per Big Bang Theory dove i pezzi davvero originali sono le madri dei quatti nerd, l'ex-moglie di Jay e madre di Claire e Mitchell, l'ho vista una sola volta e mi ha farro davvero ridere. Il nome non vi dice niente? Andate a riprendervi la grandiosa serie Frasier (1994-2001), dove interpretava la governante inglese Daphne, e poi ne riparliamo.

Un po' divertente, un po' moralista. Però ripeto, non mi convince. Modern Family è un utile tappabuchi quando ho qualche minuto di relax digitale e non ho voglia di pensare a nulla. 

Modern Family

martedì 26 settembre 2023

Karate Kid, la sfida fatale

Karate Kid - Per vincere domani, Dutch (Chad McQueen)

Ogni sfida vittoriosa passa per uno momento decisivo, anche più dello stesso scontro finale. Per Daniel "Karate Kid" Larusso (Ralph Macchio), è il violento Dutch (Chad McQueen). 

di Luca Ferrari

Sguardo da pazzo e rabbioso. Risatina ironica pronta a sfociare in aggressioni verbali e fisiche. Del letale quintetto aizzato dal Sensei John Kreese (Martin Kove), l'esagitato bullo Dutch è quello più pericoloso e violento. È lui che insiste insieme a Johnny Lawrence (William Zabka) nel voler colpire un Danny ormai esangue nel "pestaggio scheletrico". È sempre lui che lo schernisce, minacciandolo (di brutto) negli spogliatori prima dell'inizio del torneo con quelle parole: "che tu vinca o perda sei solo carne morta". Ai quarti di finale del torneo di karate di All Valley, arriva finalmente l'atteso scontro LaRusso vs. Willy Dutcher (Dutch). Il timido sfidante dovrà superare le sue paure più nascoste e piegare l'aggressività con la tecnica e la saggezza del suo Maestro Miyagi (Pat Morita).

Il torneo è iniziato. Gli allievi del dojo Cobra Kai hanno una sola idea: distruggere Daniel LaRusso. Il giovincello è pronto. L'inizio stenta, poi però comincia a carburare. Uno dopo l'altro, cadono tutti. Sensei Kreese inizia a essere nervoso, specie quando elimina anche l'agguerrito Tommy (Rob Garrison). L'armada però ha ancora parecchi assi nel kimono, i suoi due migliori allievi: il già citato Johnny, campione in carica e Bobby (Ron Thomas). Aizzati dal crudele Kreese, i due giovani e facilmente suscettibili allievi mostreranno dubbi sulle intenzioni scorrette del loro "maestro", e anche se cederanno, mostreranno comunque una natura differente. Un animo che poi si mostrerà al meglio trent'anni dopo, nella serie Cobra Kai, di cui aspettiamo con ansia la 6° stagione.

Sul grande schermo come nella vita, ci sono sfide che a un certo punto bisogna affrontare e forse, anche vincere. Daniel LaRusso ha tutti i connotati della vittima ma sulla sua strada accade qualcosa che fa la differenza. Incontra una persona che lo difende, gli insegna a difendersi e soprattutto, gli trasmette fiducia. Al torneo finale Daniel scende in pedana non per partecipare, ma per vincere. E quando incontra Dutch è tranquillo e rilassato anche quando subisce il primo e fortissimo colpo dopo pochi secondi: un calcio in faccia. Dutch saltella convinto di aver la vittoria in tasca ma non ha fatto i conti con la secolare e autentica tradizione del karate che Miyagi è riuscito a trasmettere nel suo giovane alleivo. Daniel LaRusso l'ha imparata questa lezione, e adesso è arrivato il momento anche per i violenti Cobra Kai di apprenderla. 

Karate Kid - il torneo

The Karate Kid - Per vincere domani

martedì 18 luglio 2023

Il buonismo animato è ridicolo

Elementhal (2023)

Pixar e Dreamworks ci avevano abituato a capolavori di animazione. Oggigiorno sono mere succursali di un buonismo nauseabondo che ci propina un mondo fasullo che non c'è.

di Luca Ferrari

Viviamo nella società per eccellenza dove il diverso non solo viene emarginato, ma addirittura sbeffeggiato sul web. In questa voragine sociale, l'animazione cinematografica ci snocciola storielle all'acqua di rose dove la diversità è un valore che alla fine tutti apprezzano, travolgendo lo spettatore con moralismi esasperati. Ultimi esemplari di questo trend, Elementhal (di Petere Sohn, 2023, Pixar Animation Studios) e Ruby Gillman - La ragazza con i tentacoli (di Kirk DeMicco, 2023, Dreamworks Animation). Effetti speciali e grafiche sontuose, sì. Film che sapranno conquistare giusto i più piccoli ma che rendono la diversità quasi un scherzo. Un gioco che quando cresceranno, si troveranno a chiedersi: ma non doveva essere tutto bello e amorevole? E alla fine, forse ci faremo tutti una bella gara di pianto (colpo di genio di Elementhal, lo ammetto, ndr) ma questa volta, sul serio.

Dopo la Sirenetta Disneyana, tratta una da novella dello scrittore danese Hans Christian Andersen, improvvisamente spogliata dei suoi canoni nordici, l'ultima pagliacciata in ordine temporale, è la nuova incursione nel mondo di Biancaneve, talmente rielaborata nell'accontentare qualunque sfaccettatura che all'appello mancava solo la "creatura" fascista, comunque ben accolta dal resto del gruppo nel nome della tolleranza e del politically correct. A questo si aggiungano dichiarazioni di attori giovani e navigati, vedi Zendaya e Tom Hanks, che ribadiscono come non farebbero più certi ruoli o li dovrebbero fare solo gente che nella vita reale è proprio quello che è. Curioso, pensavo che il mestiere di attore fosse esattamente l'opposto. Se qualcuno volesse propinarci un insegnamento autentico, non è certo far vedere un mondo a un unico colore multietnico che passerà il messaggio.

Il mondo è vario ma dietro le facciate buoniste, nella vita reale un credo religioso così come un orientamento sessuale, può allontanare le persone, e lo fa. Se al momento i bambini ci chiedono con innocenza se anche due donne o due uomini si possano sposare e avere figli, il banco di prova sarà tra una decina di anni, quando saranno adolescenti in via di sviluppo, ormonale e intellettuale. Raccontare una fiaba esageratamente buonista come se fosse la sola lingua parlata nel mondo, non è (mai stato) un grande affare e prima di dirci che potremo vivere in una società cosmopolita dove si rispettano le peculiarità di chiunque, forse sarebbe più educativo mostrare cosa sia davvero il mondo e lasciare che i bambini siano bambini, godendosi le storie nella loro semplicità anche perché quella cosiddette "differenze", loro non le vedono e non hanno bisogno che nessuno gli dica che "devono essere accettate".

Sono cresciuto col cinema degli anni '80. Come per ogni epoca, ci sono aspetti postivi e altri meno. Alcuni insegnamenti però, andrebbero ripresi e visto che parliamo di animazione, prendo uno dei cartoni animati più iconici dell'epoca: l'Uomo Tigre. Ho passato l'infanzia a vederlo e sì, è estremamente violento ma allo stesso tempo, dietro quella maschera da "diavolo giallo", c'è un orfano che lottava contro le ingiustizie e nello specifico, un'associazione malvagia. Tutto ciò che guadagnava poi, lo devolveva ai poveri nel completo anonimato. Straziante il discorso che fa l'amico Baba sotto mentite spoglie (Grande Zebra), spiegando all'Uomo Tigre perché sia salito sul ring per aiutarlo in un match mortale. Vi consiglio di ascoltarlo per intero dalla community Facebook, ironicamente chiamata: "Sopravvissuti ai traumi infantili provocati dai cartoni animati giapponesi". Fidatevi, le lacrime che vi sgorgheranno dagli occhi, saranno poeticamente sincere.

Baba e Uomo Tigre (1970)

venerdì 19 maggio 2023

Bad Boys, la vera storia dei mitici Detroit Pistons

Bad Boys (2014, di Zak Levitt)

I formidabili Detroit Pistons, bicampioni NBA 1989 e 1990. Gli unici capaci di battere Bird, Magic e Jordan. ESPN ci racconta la loro ascesa su Disney+ nel documentario Bad Boys.

di Luca Ferrari

"Quando si aprono i libri di storia, non c'è modo di non vederli. Molte persone chiamano quello il periodo d'oro dell'NBA. Magic Johnson, Larry Bird, Michael Jordan tutti nell'NBA nello stesso momento. E per due anni splendenti, c'era una squadra che era una squadra da una città improbabile con il cast più improbabile che ha interrotto la festa glamour che stava avvenendo nell'NBA in quegli anni. E l'hanno fatto in un modo duro che metteva le squadre a disagio. ". In sintesi, i leggendari Detroit Pistons, raccontati nel documentario Bad Boys (2014, di Zak Levitt) per ESPN 30 for 30, disponibile in streaming online su Dinsey+.

Controcorrenti e spacca-forti. Per questo, ancora più meritevoli per ciò che hanno fatto. La loro storia è quella di molto di noi: passione, ostacoli e tanto sudore. Per capire questa squadra bisogna conoscere i suoi giocatori. Il documentario inizia agli antipodi, quando i Pistons sono una delle tante franchigie dell'NBA senza nessun reale obiettivo, neanche di playoff. Per vincere servono tre cose: grandi giocatori, un allenatore capace di valorizzarli e un general manager che metta queste componenti insieme. Nel giro di una decade tutto ciò è avvenuto, cominciando proprio dal nuovo GM Jack McCloskey. Forte di una seconda scelta al draft del 1981, prese Isiah Thomas, fresco del titolo NCAA per l'Università di Indiana. Insieme a lui, arriva da Seattle Vinnie Johnson. La rivoluzione è cominciata e l'inizio è dirompente. Thomas segna 31 punti nella prima partita e alla seconda, eccolo nella sua città natale, Chicago. Anche lì una super performance da 28 punti e vittoria.

Terzo pezzo del puzzle, un ragazzone di 211 cresciuto anch'esso a Chicago, Bill Laimbeer, in quel momento ai Cleveland Cavaliers, sbarcato a Detroit un anno dopo Thomas. Passano due anni e alla guida della squadra arriva l'uomo del cambiamento, Chuck Daly. I risultati galoppano. I Pistons conquistano i playoff. Al primo turno contro i Knicks, Thomas lascia il segno. Nella decisiva gara 5, segna 16 punti in 94 secondi. Qualcosa di unico. "I Pistons persero ai supplementari ma l'NBA fu avvisata". Fermati dagli eterni rivali Celtics nell'85, la stagione successiva vede un ulteriore step di rafforzamento. Due giocatori che saranno fondamentali per i futuri successi: il mite Joe Dumars e il possente Rick Mahorn. Il finale però è amaro e si esce subito ai playoff.

Il 1987 è l'anno della svolta. L'anno del cambiamento. L'anno del "noi contro il mondo". L'origine dei Bad Boys. All'inizio della stagione '87 l'asticella qualitativa si alza ancora grazie ad Adrian Dantley, navigata ala piccola proveniente dagli Utah Jazz. Insieme a questi, gli innesti di due ragazzi diversi da chiunque altro nella squadra, John Salley e Dennis Rodman, quest'ultimo definito "rimbalzista dall'incredibile ferocia". I Pistons devono segnare di più e migliorare la difesa. Quest'ultima in particolare, diventerà il loro marchio di fabbrica. La squadra inizia a volare. 52 vittorie, prime due serie consecutive vinte ai playoff e per la prima volta arrivano alle finali di Conference dove ad attenderli ci sono i Boston Celtics. In un mix di freschezza e maturità, la squadra è finalmente pronta a fare il definitivo salto di qualità.

In quella serie succede di tutto e le telecamere di ESPN non lesinano dettagli. Laimbeer Bird hanno un violento scontro in gara 3 (fallaccio del primo, reazione con schiaffone e palla lanciatagli contro del secondo) che finirà con l'espulsione di entrambi. Sul punteggio di 2 pari, a Boston, i Pistons stanno per fare il colpaccio nonostante un violento KO di Parish ai danni di Laimbeer, questa volta senza conseguenze. A un passo dal baratro, gli esperti Celtics risorgono grazie a un prodigioso recupero di Bird a 5 secondi dalla fine, e tornano in vantaggio di 1. La serie finirà con due risultati: l'ennesima finale per Boston (poi sconfitti dai Lakers) e un infelice commento a caldo di un inesperto Rodman ai danni del mito Larry (tanta attenzione solo perché è bianco). Si scatena l'inferno mediatico. Isiah gli viene in soccorso. Viene anche organizzata una conferenza stampa congiunta Bird/Thomas ma la situazione per i Pistons non migliora, anzi. Da lì, diventano i "nuovi cattivi"... se non peggio.

Qualcosa inizia a cambiare, dentro e fuori la squadra. Perché i "fallosissimi" Pistons fino all'anno prima erano tollerati e adesso d'improvviso tutti li odiano? La risposta è semplice. Perché hanno iniziato fare sul serio. Vogliono essere i migliori e cosa ancor più grave, bloccano le ambizioni della nuova stella dell'NBA, Michael Jordan. "Ci chiamarono delinquenti" ricorda amareggiato Isiah, "Ci sono due modi per reagire agli stereotipi: se non li usiamo a nostro vantaggio, possono esserci di grande intralcio. Avevamo cercato a lungo di combattere questa situazione. Alla fine la accogliemmo". La squadra si fa ancora più "sola contro il mondo". Ma dietro una facciata dipinta esageratamente dalla stampa, c'è una famiglia e legami profondi. Per dire, in principio invisi, Mahorn e Laimbeer diventano come fratelli mentre Rodman trova in coach Daly una figura quasi paterna. 

I Pistons vogliono dominare, fisicamente e mentalmente. Ci riescono e lo fanno! Il nostro motto era, "Say hello to the Bad Boys". Nel 1988 si accende la sfida contro i Chicago Bulls di Michael Jordan. I Pistons poi, si liberano poi del fantasma dei Celtics. Thomas è un uragano di simpatia nel ricordare la fatidica vittoria e nella finale Lakers-Pistons, ecco l'inimmaginabile accadere tra i due amicissimi Magic e Thomas. Qualcosa cambia. "L'amicizia non esisteva più". Johnson abbatte Isiah in modo scorretto, eppure quando è il turno dei Pistons, sono loro la feccia. Il titolo sfuma sul filo di lana ma in gara 6 sul 3-2 per Detroit, Isiah è soprannaturale. Infortunatosi al piede, torna eroicamente in campo zoppicando, e riuscendo a segnare 25 punti nel terzo quarto (un record per le finali NBA). Il verdetto però è fatto di lacrime, ma adesso basta, è tempo di chiudere i conti con la malasorte e qualsiasi altra cosa si frapponga tra i Pistons e il loro primo titolo. 

Di qui in poi, la storia la conosciamo e si tinge di leggenda. Spazzano via tutti, a cominciare dagli arrembanti Bulls, prendendosi prima la doverosa rivincita contro i Lakers in finale (4-0) nel 1989 e l'anno successivo, contro i Portland Blazers di Clyde Drexler (4-1) nel 1990. Per due anni consecutivi sono gl'indiscussi dominatori dell'NBA, vincendo in un modo che nessuno aveva fatto prima. Salley, Rodman e Laimbeer sono nati a distanza di 3 giorni l'uno dagli altri (in anni diversi), rispettivamente il 13, il 16 e il 19 maggio (auguri, Bill!). Un elemento che ha molto a che fare con il destino. Dopo essere stati ai massimi vertici del basket mondiale e aver raggiunto tre finali consecutive (di cui due vinte) condite da due finali Conference nell'87 e nel '91, inizia il loro (inevitabile) declino, passando il testimone proprio ai Bulls di Michael Jordan, Scottie Pippen e coach Phil Jackson,

Vedendo il documentario, e confrontandolo con The Last Dance (2020, di Jason Hehir) incentrato su Michael Jordan, appare fin troppo evidente che i Pistons abbiano avuto un'ascesa analoga a quella dei Bulls, eppure non sono considerati al modo analogo. Perché? Solo perché erano fallosi? Se fosse così, si dovrebbero biasimare gli arbitri e la Federazione che permetteva tutto questo. Un caso su tutti li condanna e allo stesso ne dimostra il trattamento differente. Bicampioni in carica e a pochi secondi dall'eliminazione, i Pistons stanno per essere spazzati via dai Bulls 4-0 nelle finali di Eastern 1991. Ecco la controversa  decisione allora: escono dal campo senza stringere la mano agli avversari a pochi secondi dalla fine di gara 4. Un gesto antisportivo? Decisamente, e di sicuro la squadra sbagliò a comportarsi così ma è curioso come per questo i Pistons furono messi alla gogna mentre quando furono loro ad annichilire i Celtics con il medesimo punteggio e questi se ne andarono a partita ancora in corso, Bird e McHale inclusi, mentre Dantley stava tirando un tiro libero, non furono usati per niente gli stessi toni.

In quella emblematica vicenda c'è poi un altro fattore da considerare, non raccontato da Jordan ma ben evidenziato da Thomas. In quelle gare, soprattutto quando il vento stava cambiando, MJ ammise candidamente che la fine dei Pistons sarebbe stato un bene per tutta l'NBA, attaccandoli in modo pesante. Ora mi chiedo: a questa persona che li aveva insultati sui media, i Pistons avrebbero dovuto stringere la mano? Come spesso succede nel mondo, quando ci si mette contro i poteri forti, ne si paga le conseguenze ed è innegabile che accadde anche alla squadra allenata da Chuck Daly. Daly, lo ricordiamo, allenatore del mitico Dream Team delle Olimpiadi di Barcellona '92. Daly, proprio lui. Curioso che non in quella squadra non ci fosse nessuno dei "suoi" meritevoli Pistons.

Curiosità. Isiah Thomas Bill Laimbeer compaiono nella parte di loro stessi nella divertente commedia Forget Paris (1995). In occasione della stagione di addio di Kareem Abdul-Jabbar, durante la sfida Pistons-Lakers, i due vengono ingiustamente espulsi dall'arbitro Mickey Gordon (Billy Crystal), sofferente d'amore per la bella Ellen (Debra Winger), e al quale Bill gli suggerisce di farsi visitare il cervello. Come racconta l'amico giornalista Andy (Joe Mantegna), finirà per espellere: "le due formazioni, un allenatore, un commissario tecnico, i genitori di Kareem e un venditore di noccioline". Nel film ci sono moltissime altre star dell'NBA tra cui Charles Barkley (Phoenix Suns) e David Robinson (San Antonio Spurs) che si beccano a vicenda, Patrick Ewing (New York Knicks), Chris Mullin (Golden State Warriors), Reggie Miller (Indiana Pacers) e altri.

I Bad Boys furono più forti di tutto e di tutti, anche di chi li voleva già sconfitti in partenza contro His Airness, che tutt'ora li odia, come ha candidamente ammesso nella sopracitata serie Netflix, ammettendo anche che "non avrebbero vinto quei campionati senza superare l'ostacolo di Detroit". A cavallo degli anni '80 e '90, a spezzare la dittatura dei Boston Celtics e dei Los Angeles Lakers, ritardando l'ascesa all'Olimpo dei Chicago Bulls, c'erano solo loro. I Pistons non dovevano vincere ma lo hanno fatto, e forse è per questo che ancora oggi la formidabile squadra dei Detroit Pistons viene relegata in un'ingiusta posizione marginale della Storia della NBA. Basta guardare anche i gruppi/pagine Facebook dedicate all'NBA, i grandi campioni di quella epoca sono menzionati in modo decisamente inferiore rispetto ai vari Bryant, Wade, Shak, Durant, Lebon & company.

Senza alcun tono vittimistico, Bad Boys (2014, di Zak Levitt) ricostruisce la loro epica parabola sportiva e umana, mostrando ciò che i Pistons furono capaci di fare sui parquet di tutta America, contando solo e unicamente sulle proprie forze e con un'indomabile voglia di vincere contro tutto e tutti, vertici NBA inclusi. E ci riuscirono! In mezzo a questa forza, ed è innegabile come alla fine del documentario Levitt lasci emergere anche un po' di amarezza e delusione per ciò che la Storia della pallacanestro non ha mai riconosciuto. Detto ciò, "[...] più di ogni altra cosa, c'è una cosa che dovete ricordare sui Bad Boys. Se ancora non li sopporti, ancora non li rispetti, beh, indovina un po'? Non gliene frega un...".
                                Say hello to the Bad Boys!


Un estratto di Bad Boys (di Zac Levitt)

Bad Boys - Jack McCloskey
Bad Boys - Joe Dumars
Bad Boys - Isiah Thomas
Bad Boys Bill Laimbeer
Bad Boys (2014)
Bad Boys - il pubblico di Detroit sbeffeggia Larry Bird
Bad Boys - il pubblico di Detroit irride Michael Jordan
Bad Boys - John Salley
Bad Boys - la stampa celebra il trionfo dei Detroit Pistons
Bad Boys - Chucl Daly premia un commosso Dennis Rodman come miglior rimbalzista
Bad Boys - Bill Laimbeer in trionfo
Detroit Pistons bicambpioni NBA
Bad Boys - la fine dell'epoca d'oro dei Detroit Pistons

venerdì 9 dicembre 2022

Argentina 1985, processiamo la dittatura

Argentina 1985 - i PM Strassera (Ricardo Darin) e Ocampo (Peter Lanzani) © Lina Etchesuri

Nel processo alle Juntas, per la prima volta nella storia la giustizia civile condannò una dittatura militare. Presentato a Venezia79, Argentina 1985 è ora disponibile su Prime Video.

di Luca Ferrari

Le forze armate hanno preso il potere con la forza deponendo il legittimo Governo Peron. Per l'Argentina ha inizio il più tragico degli incubi: la dittatura. Un'epoca atroce fatta di omicidi efferati, sparizioni forzate (desaparecidos) e torture. Tutto questo autorizzato e voluto dall'autorità costituente. A metà anni '80, quando gli equilibri erano cambiati, il mondo civile portò alla sbarra quei macellai. Presentato in concorso alla 79° Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia, Argentina 1985 (di Santiago Mitre, 2022) racconta il processo "più importante dopo Norimberga". Argentina 1985 è ora disponibile su Prime Video.

L'Argentina è in fermento. L'Argentina post-dittatura è pronta a riprendere in mano le redini della propria società democratica. Prima però, bisogna affrontare i demoni peggiori, guardando in faccia gli artefici dell'orrore e soprattutto, condannarli. Viene così affidato al navigato pubblico ministero Julio César Strassera (Ricardo Darin) un incarico senza precedenti: processare per crimini contro lo Stato (e l'umanità) la giunta militare guidata dall'ex-presidente Videla e gli altri generali. In questa difficile battaglia non certo priva di rischi, viene affiancato dal giovane collega Luis Moreno Ocampo (Peter Lanzani) e altri acerbi ma volenterosi avvocati, desiderosi di iniziare a scrivere un nuovo capitolo per il loro Paese.

I militari hanno perso il potere ma non hanno certo intenzione di farsi processare senza difendersi e chi è abituato a usare la forza, non conosce che un solo linguaggio, l'intimidazione. Per Strassera e la sua famiglia, così come per tutto il suo staff, ha inizio un periodo di stress inaudito tra costanti minacce di morte. Il tempo per allestire l'accusa è poco ma tutti insieme "Borsellinamente", riescono nell'impresa portando a deporre centinaia di testimoni che racconteranno storie atroci di sparizioni forzate e torture inaudite, come una donna costretta addiittura a partorire legata e bendata. Forse è davvero troppo e la giustizia civile deve cambiare il corso della storia argentina. Per sempre!

"Nonostante le leggi d'impunità promulgate negli anni a seguire, il desiderio di memoria, verità e giustizia non si è mai fermato. Dalla riapertura dei processi sono state condannate più di 1000 persone per crimini contro l'umanità. I processi ancora in corso sono centinaia". Con questa frase Argentina 1985 si congeda. Nel momento stesso in cui la leggevo, ho pensato all'Italia, e a come tutto questo non sia mai successo. Agli inizi degli anni '20 una dittatura prese il potere, torturando e uccidendo chiunque non fosse su quella linea. Di mezzo ci fu una guerra mondiale e tutto quell'orrore fu ammassato e nascosto in uno dei tanti e spaziosi armadi del Bel paese. Dove sono i processi ai gerarchi fascisti? Dove sono i processi pubblici a quegli aguzzini che tornarono alla vita senza nemmeno un giorno di galera?

Dal grande schermo al mondo del pallone, un'ulteriore riflessione. In questi giorni in Qatar, si stanno svolgendo i Mondiali di calcio e ogni qual volta si parli di Argentina, viene subito rinvangata la partita della nazionale Albiceleste contro l'Inghilterra (Messico, 1986). Una partita in cui Diego Armando Maradona prima bleffò in modo scandaloso segnando di mano e poi siglò il raddoppio con un'incredibile azione personale. La vittoria argentina venne enfatizzata come una sorta di rivalsa della nazione sudamericana verso il governo di Sua Maestà per la guerra (persa) delle Falklands (1982), trascurando il fatto che il conflitto fu iniziato dagli stessi generali argentini e che la conseguente disfatta militare, contribuì in modo determinante a far crollare il consenso del regime militare che aveva preso il potere con un colpo di stato nel 1976.

Il calcio, e lo sport in generale, possono cambiare la politica? No, non è quello il loro ruolo ma nel caso specifico dell'Argentina, oltre ai gol e le vittorie, bisognerebbe anche ricordare qualcosa d'altro e un po' più spesso. Per esempio nel 1978, mentre il capitano dell'Argentina riceveva da Videla la coppa del mondo vinta in casa, in quello che verrà poi soprannominato il Mondiale della Vergogna, in altri stadi si torturava senza pietà. E se è vero che lo sport non può e non deve sostituire ciò che le opposizioni dovrebbero fare, è altrettanto vero che c'è anche chi ebbe il coraggio di vincere, pur sapendo cosa sarebbe accaduto se lo avesse fatto. Tutto ciò accadeva realmente (e tragicamente) nel 1942, nella cosiddetta "partita della morte", da cui John Huston si ispirò per il suo cult Fuga per la vittoria (1981). Una sfida quella, del tutto diversa dalla farsa andata in scenaparecchi anni dopo in Cecenia (2011), con in campo il presidente-dittatore Kadyrov insieme a grandi nomi (mercenari) del calcio mondiale, Maradona incluso.

Argentina 1985, il trailer

Venezia79 - il red carpet di Argentina 1985 © La Biennale foto ASAC
Venezia79 -il red carpet di Argentina 1985 © La Biennale foto ASAC
Venezia79 - la presentazione di Argentina 1985 © La Biennale foto ASAC
Argentina 1985

giovedì 10 novembre 2022

Rapiniamo il Duce, né bingo né gloria

Rapiniamo il duce - Pietro (Pietro Castellitto) e Gianna (Matilda De Angelis)

Ma che ci fanno questi neo-Romeo (Pietro Castellitto) e Giulietta (Matilda De Angelis) a "rompere le scatole" ai fascisti? Ma siamo in una succursale di Freaks Out o è un altro film? Perfino il cecchino partigiano assomiglia all'omologo. Minestrone mal amalgamato, Rapiniamo il Duce (2022, di Renato de Maria), da qualcuno addirittura definito una sorta di versione italiana del Tarantiniano Bastardi senza gloria, al contrario (e non a caso) nemmeno segnalato nei "contenuti simili" dalla stessa Netflix, dove la pellicola è disponibile online.

No, questa volta nessuno ha fatto un bingo!

                                              
Rapiniamo il Duce, trailer

mercoledì 9 novembre 2022

Le Mans '66 - La grande sfida (della vita)

Le Mans 66, la Grande Sfida - il pilota Ken Miles (Christian Bale)

Potrai anche non salire sul gradino più alto del podio nella gara più importante della vita (come accadeva a Saetta McQueen, ndr), ma sarai comunque tu il vincitore. E se il poi il tuo più acerrimo rivale ti dovesse (finalmente) riconoscere talento e rispetto, nascerà qualcosa di ancor più speciale dentro di te, anche se non tutti lo potranno capire. Questa è la dolceamara storia di Ken Miles (Christian Bale), pilota della Ford, opposto all'invincibile Ferrari. Spalleggiato dal fraterno progettista Carroll Shelby (Matt Damon), Miles correrà come mai nessuno prima. Ad attenderlo, tifando sempre e comunque per lui, sua moglie e suo figlio.

Se amate il mondo dei motori o lo avete cine-scoperto grazie a Rush (2013, di Ron Howard), mettevi comodi. Su Disney Plus sfreccia Le Mans '66 - La grande sfida (2019 di James Mangold).  

Le Mans '66 - La grande sfida, il trailer

lunedì 7 novembre 2022

I morti non muoiono, che mondo di merda

Creature non morte, affamate-materialiste senza pace. Noi, sottomessi a un immutabile destino astrale e costretti a soccombere. Tutto qui? Non basta l'ennesimo stralunato-ironico Bill Murray a sovvertire la profonda delusione di The Dead Don't Die - I morti non muoiono (2019 di Jim Jarmush). Adam Driver è un Paterson Garmushano con la divisa della polizia. Tilda Swinton è l'ennesima maschera di se stessa. Sì, il mondo è una merda e lo sappiamo tutti però qualcosa di più si potrebbe fare per salvarlo che non lasciarsi andare a un laconico blues i provincia fatto di rassegnati martiri moderni.

Finirà male? No, è già iniziato male. Cos'altro ci si poteva aspettare? 

Il trailer di I morti non muoiono

venerdì 4 novembre 2022

Le tenere inquietudini di Spencer

Lady Diana (Kristen Stewart) - Spencer (2021, di Pablo Larain)

Nevrotico. Ossessivo. Più che un film, uno spaccato di vita (nel senso che spacca). Una canzone distorta al festival delle balere. Un tenero sorriso nei bunker della tradizione. Lady D, una punk dal cuore tenero alla corte d'Inghilterra. Spencer (2021, di Pablo Larrain), film presentato in Concorso alla 78. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia con Kristen Stewart nelle vesti di un'inquieta e insofferente Lady Diana.

Spencer è anche disponibile online su Prime Video.

Il trailer di Spencer