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domenica 18 settembre 2011

In effetti qualcosa splende

Svezzato con E.T., La storia infinita, cresciuto con Tim Burton e toccato fatalmente dalle nuove frontiere Pixar & DreamWorks, posso dire in tutta onestà che qualche scintilla di fantastico è presente in me.

sabato 17 settembre 2011

Subito dopo Super 8

E.T. e il regista  Steven Spielberg
Questa non è una recensione. Quella la scriverò subito dopo. J.J. Abrams può aspettare. È il mio 26° film al cinema del 2011. La sensazione è sempre quella. Finché sono in sala, mi sento pervaso da poteri.

di Luca Ferrari, ferrariluca@hotmail.it
giornalista/fotoreporter – web writer

E vorrei che ogni storia cui assisto potesse continuare. O che io la continuassi. E ogni volta che esco fuori, e inizio a osservare il mondo, vedo davvero poco che mi attiri. Cerco ancora il mio salto nel tempo. Sono ancora in tempo? C’è qualcuno che mi crede? Qualcuno ha davvero voglia di credermi?

Nel 2002, quando mi ero da poco trasferito a Firenze e avevo appena cambiato abitazione rintanandomi in un monolocale, per qualche strano motivo, tra le tante cose che mi appesi al muro, su una mensola in legno che usavo per cd e videocassette, c’era anche una foto grande di Steven Spielberg che girandosi verso chi si sedeva sulla scrivania, faceva il gesto di applaudirlo.

Forse non lo avete ancora capito bene. Non mi accontento di vedere un film e poi scrivere una recensione. Vedere un film è come vedere un’opera d’arte per la prima volta, e poi poterla rifare in miniatura con un altro linguaggio. Adesso ho a fianco un bicchiere di latte, e qualche biscotto. E dalla sensazione sempre più forte che una volta c’era davvero il tempo di cambiare tutto, oggi resta l’illusione che qualcosa sia stato fatto. Eppure...già, eppure. Io proseguo.

giovedì 15 settembre 2011

"Never compromise, not even in the face of Armageddon" Rorschach

Cinema, che passione

Sabato sera h. 22 sarò davanti al grande schermo per assistere alla visione di Super 8 di J.J.Abrams con Elle Fanning; un film questo prododotto da Steven Spielberg. Lunedì 17 settembre tocca a Carnage di Roman Polanski con Kate Winslet, Christoph Waltz, Jodie Foster e John C. Reilly.

mercoledì 14 settembre 2011

Kung Fu Panda 2, la storia siamo noi

Kung Fu Panda 2 (2011, di Jennifer Yuh)
Il più goffo guerriero di arte marziali è pronto per una nuova e pericolosa missione. Al suo fianco, i leali Tigre, Gru, Vipera, Mantide e Scimmia. Kung Fu Panda 2 (2011, di Jennifer Yuh).

di Luca Ferrari

Perché morire per trovare la verità? Meglio farlo da vivi. A porsi questa domanda esistenziale, trovando da subito la risposta, è un goffo panda neo-Guerriero Dragone durante una nuova e importante missione. Il suo nome è Po, ed è pronto ad annientare chi vuole distruggere la divina arte di auto-difesa. La DreamWorks Animation ci racconta Kung Fu Panda 2 (2011, di Jennifer Yuh).  

Abbandonata per sempre la placida cucina del ristorante del padre oca Mr Ping, ormai Po (voce originale di Jack Black doppiato da Fabio Volo) vive a tempo pieno insieme ai cinque cicloni Tigre (Angelina Jolie), Gru (David Cross), Vipera (Lucy Liu), Mantide (Seth Rogen) e Scimmia (Jackie Chan) per difendere la Valle della Pace. A rompere il quieto vivere, un branco di lupi assetati di ferro, al servizio del perfido pavone Lord Shen (Gary Oldman), che sta costruendo una serie di macchine sputa fuoco per annientare l’antica arte marziale e conquistare la Cina. 

Dopo il pieno di risate del primo film (2008), la DreamWorks Animation scommette ancora su questo connubio di poesia, avventura, ironia e sentimenti. Senza sbavature sdolcinate. Killbilliano nella grafica quando Po ha le reminiscenze del suo passato. Questa volta infatti, il saper padroneggiare l’antica arte del Kung Fu non basterà al panda per venire a capo dei nemici. C’è qualcosa di sbiadito che lo tormenta. Un segreto. Ci sono fasi sconosciute della sua primissima infanzia.

Il malessere aumenta ancora di più quando Mr Ping gli rivela di averlo trovato e adottato in un cesto di ravanelli. A più riprese l’eroe fallisce il testa a testa con il nemico. È inutile lottare così. Come si può pensare di portare la pace se si combatte una guerra interiore?

La strada è inevitabile. Dovrà guardarsi dentro e capire prima di lanciarsi alla salvezza dei cinque amici e rimettere le cose a posto, combattendo perfino fianco a fianco con il suo maestro Scifu (Dustin Hoffman), e le due leggende Maestro Bue Infuriato e Maestro Croc (Jean-Claude Van Demme). A dispetto di una saggezza conquistata e un indubbio miglioramento kung fu, Po è (per fortuna) ancora un guerriero pasticcione. Instancabile nel mangiare e sempre poco avvezzo a salire interminabili scalinate. Nemmeno imprigionato dal nemico riesce e farle, e il carceriere rinoceronte è costretto a portarlo sulle spalle nelle ultime rampe. 

Po e Shen. L’un contro l’altro. Entrambi hanno perduto qualcosa nel passato. Ma se il pavone ha scelto la violenza e la sete di potere per tamponare l’amore perduto dei genitori, il panda è ancora alla ricerca di sé. Ma lo fa senza cancellare quanto vissuto perché “anche se le cicatrici non si rimarginano e non hai avuto un inizio felice, il resto della storia dipende da chi scegli di essere”.

Kung fu Panda 2. Non era facile raccontare un altro episodio. Jennifer Yuh, sudcoreana classe ’72, c’è riuscita. Promossa a pieni voti. Dopo l’eccellente lavoro come storyboard per Spirit – cavallo selvaggio (2002), Sinbad (2003) e Madagascar (2005), è la prima donna a dirigere un film d’animazione. La speranza è che in caso di nuovi probabili sequel, a prescindere da chi si siederà dietro la “macchina da presa”, non si scivoli nel buonismo esasperato stile Shrek 3-4 (sempre di casa DreamWorks), dove dopo i primi due eccezionali capitoli, il livello si è drammaticamente abbassato.

E allora, quella frase pronunciata dal padre di Po, è stata detta nel paradiso dei panda o da qualche parte in un luogo reale? Dopo tutto nessuno ha lo visto morire, lo si è solo intuito dalle parole di Lord Shen. O magari sarà il tempo degli amori tra Po e Tigre, con quest’ultima meno contratta rispetto al primo episodio e qui lanciatasi in un tenero abbraccio con l’amico? Un maestro saggio, magari risponderebbe così: “non importa il successo ottenuto fin qui, il resto della storia dipende da cosa vuoi raccontare”. Solo chi è tosto tosto può capire ovviamente…

Il trailer di Kung Fu Panda 2

Kung Fu Panda 2 - il piccolo Po
Kung Fu Panda 2 - Lord Shen
Kung Fu Panda 2 - Tigre, Mantide, Scimmia, Gru, Vipera e Po

domenica 11 settembre 2011

Out of Tehran (2011), di Monica Maggioni

Out of Tehran, di Monica Maggioni
Vite in fuga. Nella sezione Controcampo Italiano della 68° Mostra del Cinema di Venezia, è stato presentato il documentario Out of Tehran, della giornalista Monica Maggioni.

di Luca Ferrari

Vittima, disinformazione o spietato carnefice? Del governo della Repubblica Islamica d’Iran si sa sempre troppo poco. Da una parte c’è Israele, spalleggiato dagli Stati Uniti, che vorrebbe farne terra bruciata e la cui stampa ne dà un’immagine esageratamente distorta.  Dall’altro c’è un indubbio governo oscurantista tra i peggiori denigratori dei diritti umani, ma che inspiegabilmente trova simpatie in certi ambienti sinistroidi occidentali dove il regime dittatoriale degli ayatollah è ben visto a dispetto del sangue che cola nelle strade. 

In mezzo a questo gioco d'interessi ci sono le storie umane. Quelle schiacciate dalla politica e dagli interessi della rispettiva propaganda. Quelle che non arrivano mai nei libri di storia. In occasione della 68° edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia (31 agosto – 10 settembre 2011), tra le proposte della sezione Controcampo Italiano, c’era anche il documentario dell’inviata RAI, Monica Maggioni, Out of Tehran.

“Essere un reporter di guerra è la scelta di entrare in una storia estrema, al limite” racconta Monica Maggioni, “Non è certo il giornalismo delle e-mail o dei comunicati stampa ricevuti comodamente in qualche ufficio con l’aria condizionata. Il giornalismo di guerra è un’esperienza assoluta. Capace di mostrarti la complessità di quello che c’è dentro. Per me rimane un mestiere stupendo”.

Monica Maggioni, una vita passata dentro le notizie. Esponendosi in prima linea. Con il fumo delle esplosioni e l’odore del sangue che permea le strade e la propria esistenza. Era in Sudafrica giusto in tempo per vedere salutare Nelson madiba Mandela per l’ultima volta come presidente. Era a New York nel dopo-11 settembre, con il cratere nero delle Torri Gemelle ancora fumante e un mondo davanti ai suoi occhi che non sarebbe più stato lo stesso.

“È stato molto pericoloso nel 2002 a Ramallah, in Palestina, quando la città era assediata. Scavalcate le linee dell’esercito israeliano, siamo rimasti lì nel mezzo” ricorda la giornalista, “Ho rischiato la vita varie volte. Una delle situazioni peggiori l’ho vissuta in Iraq, sull’autostrada di Falluja. Ci hanno assalito puntandoci il kalashnikov alla testa. Per nostra fortuna ci hanno soltanto derubato e poi lasciato andare. Fosse successo qualche mese dopo, forse non sarei qui a raccontarlo”.

Alla 68° Mostra del Cinema di Venezia è stato presentato un nuovo documentario di Monica Maggioni. Out of Tehran (61′). Un lavoro importante. Di denuncia contro un regime che punisce perfino chi sorride. 

Una storia di repressione di costante attualità. Un lavoro che poteva portare non pochi problemi alla reporter. Sbarcata in più di un’occasione nella Repubblica Islamica, negli ultimi tempi ha ammesso, era sempre più difficile avere il visto d’ingresso soprattutto se il proprio lavoro guardava alla Rivoluzione Verde.

“L’argomento Iran è stato troppo velocemente archiviato. Io ho deciso di continuare” racconta Monica, “Nel documentario l’unica presenza femminile è quella di Narghes. Il padre è stato portavoce della politica del presidente Mahmud Ahmadinehjad. Lei è diventata portavoce dell’altra realtà. Non è stato facile effettuare certe riprese. Quando eravamo sul confine del Kurdistan iracheno eravamo costretti a girare di notte. Vedevamo le luci del posto di frontiera iraniano. Abbas (uno dei protagonisti, ndr) è rimasto per molto tempo laggiù, con spie iraniane dappertutto. Senza riuscire a ottenere lo status di rifugiato politico dall’UNHCR (l’ufficio dei rifugiati dell’ONU)”.

Giornalismo oltre la semplice cronaca. Alla ricerca di quei brandelli di verità nascosta, o peggio, oscurata. Dove la vita quotidiana costantemente repressa è la notizia da raccontare al mondo. Come Monica, anche la sua collega siciliana Maria Grazia Cutuli aveva la stessa passione. 

Ma il 19 novembre 2001, mentre gli Stati Uniti e i suoi alleati cercavano vendetta dopo l’attentato alle Torri Gemelle, sulla strada Jalalabad-Kabul nei pressi di Sarobi, in Afghanistan, la giornalista inviata del Corriere della Sera venne uccisa insieme all’inviato del quotidiano El Mundo, Julio Fuentes e a due corrispondenti dell’agenzia Reuters, l’australiano Harry Burton e l’afghano Azizullah Haidari.

Maria Grazia, così come altri colleghi, è morta facendo il proprio mestiere. Vivendo in prima linea l’orrore di una guerra per raccontarla. Convivendo con i rumori più assordanti. Dando voce al dramma delle vittime civili. Facendo la spola tra la fine e quanto rimane del mondo. Nonostante i molti rischi, ci sono ancora uomini e donne che ogni giorno mettono a repentaglio la propria vita nel nome della vera informazione.

“La mia prima volta da inviata di guerra fu nel 2000, a Gerusalemme. Durante la seconda Intifada, dopo la celebre passeggiata sulla spianata delle moschee dell’allora premier israeliano Ariel Sharon” conclude Monica Maggioni, “scoppiò la rivolta palestinese. La Porta dei Leoni in fiamme da una parte, e sulla collinetta l’esercito che sparava. Io mi diressi verso quest’ultima. Fu in quel momento che capii che cosa volevo, e cosa ero davvero disposta a fare”.

E qui finiva il reportage. E si torna nel presente. A novembre uscirà sugli schermi Argo (2012), di e con Ben Affleck, dove al centro della vicenda c’è la storia realmente accaduta di agenti della CIA infiltrati nel cuore della Rivoluzione Khomeinista per liberare alcuni membri dell’Ambasciata americana. Una storia poco conosciuta.

La regista Monica Maggioni parla di Out of Tehran 

Out of Tehran (2011, di Monica Maggioni)
Out of Tehran, di Monica Maggioni
Out of Tehran, di Monica Maggioni
la giornalista Monica Maggioni
68. Mostra del Cinema, Monica Maggioni (al centro)© Biennale foto Asac

sabato 10 settembre 2011

Cinepanettoni al rogo!

Con ancora addosso i brividi per Killer Joe (di William Friedkin, con Emile Hirsch e un bastardissimo Matthew McConaughey) e Texas Killing Fields (di Ami Canaan Mann, con Sam Worthington e Jessica Chastain), mi ritrovo faccia a faccia con la notizia sulle riprese a Cortina dell’ennesima pagliacciata della ditta De Sica & Vanzina. Il solito polpettone natalizio pieno zeppo di luoghi comuni, e con il peggio di quell’italiotta volgare che fa tanto breccia nella cultura yuppie da quattro soldi, evidentemente ancora imperante.