Out of Tehran, di Monica Maggioni |
Vittima, disinformazione o spietato carnefice? Del governo della Repubblica Islamica d’Iran si sa sempre troppo poco. Da una parte c’è Israele, spalleggiato dagli Stati Uniti, che vorrebbe farne terra bruciata e la cui stampa ne dà un’immagine esageratamente distorta. Dall’altro c’è un indubbio governo oscurantista tra i peggiori denigratori dei diritti umani, ma che inspiegabilmente trova simpatie in certi ambienti sinistroidi occidentali dove il regime dittatoriale degli ayatollah è ben visto a dispetto del sangue che cola nelle strade.
In mezzo a questo gioco d'interessi ci sono le storie umane. Quelle schiacciate dalla politica e dagli interessi della rispettiva propaganda. Quelle che non arrivano mai nei libri di storia. In occasione della 68° edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia (31 agosto – 10 settembre 2011), tra le proposte della sezione Controcampo Italiano, c’era anche il documentario dell’inviata RAI, Monica Maggioni, Out of Tehran.
“Essere un reporter di guerra è la scelta di entrare in una storia estrema, al limite” racconta Monica Maggioni, “Non è certo il giornalismo delle e-mail o dei comunicati stampa ricevuti comodamente in qualche ufficio con l’aria condizionata. Il giornalismo di guerra è un’esperienza assoluta. Capace di mostrarti la complessità di quello che c’è dentro. Per me rimane un mestiere stupendo”.
Monica Maggioni, una vita passata dentro le notizie. Esponendosi in prima linea. Con il fumo delle esplosioni e l’odore del sangue che permea le strade e la propria esistenza. Era in Sudafrica giusto in tempo per vedere salutare Nelson madiba Mandela per l’ultima volta come presidente. Era a New York nel dopo-11 settembre, con il cratere nero delle Torri Gemelle ancora fumante e un mondo davanti ai suoi occhi che non sarebbe più stato lo stesso.
“È stato molto pericoloso nel 2002 a Ramallah, in Palestina, quando la città era assediata. Scavalcate le linee dell’esercito israeliano, siamo rimasti lì nel mezzo” ricorda la giornalista, “Ho rischiato la vita varie volte. Una delle situazioni peggiori l’ho vissuta in Iraq, sull’autostrada di Falluja. Ci hanno assalito puntandoci il kalashnikov alla testa. Per nostra fortuna ci hanno soltanto derubato e poi lasciato andare. Fosse successo qualche mese dopo, forse non sarei qui a raccontarlo”.
Alla 68° Mostra del Cinema di Venezia è stato presentato un nuovo documentario di Monica Maggioni. Out of Tehran (61′). Un lavoro importante. Di denuncia contro un regime che punisce perfino chi sorride.
Una storia di repressione di costante attualità. Un lavoro che poteva portare non pochi problemi alla reporter. Sbarcata in più di un’occasione nella Repubblica Islamica, negli ultimi tempi ha ammesso, era sempre più difficile avere il visto d’ingresso soprattutto se il proprio lavoro guardava alla Rivoluzione Verde.
“L’argomento Iran è stato troppo velocemente archiviato. Io ho deciso di continuare” racconta Monica, “Nel documentario l’unica presenza femminile è quella di Narghes. Il padre è stato portavoce della politica del presidente Mahmud Ahmadinehjad. Lei è diventata portavoce dell’altra realtà. Non è stato facile effettuare certe riprese. Quando eravamo sul confine del Kurdistan iracheno eravamo costretti a girare di notte. Vedevamo le luci del posto di frontiera iraniano. Abbas (uno dei protagonisti, ndr) è rimasto per molto tempo laggiù, con spie iraniane dappertutto. Senza riuscire a ottenere lo status di rifugiato politico dall’UNHCR (l’ufficio dei rifugiati dell’ONU)”.
Giornalismo oltre la semplice cronaca. Alla ricerca di quei brandelli di verità nascosta, o peggio, oscurata. Dove la vita quotidiana costantemente repressa è la notizia da raccontare al mondo. Come Monica, anche la sua collega siciliana Maria Grazia Cutuli aveva la stessa passione.
Ma il 19 novembre 2001, mentre gli Stati Uniti e i suoi alleati cercavano vendetta dopo l’attentato alle Torri Gemelle, sulla strada Jalalabad-Kabul nei pressi di Sarobi, in Afghanistan, la giornalista inviata del Corriere della Sera venne uccisa insieme all’inviato del quotidiano El Mundo, Julio Fuentes e a due corrispondenti dell’agenzia Reuters, l’australiano Harry Burton e l’afghano Azizullah Haidari.
Maria Grazia, così come altri colleghi, è morta facendo il proprio mestiere. Vivendo in prima linea l’orrore di una guerra per raccontarla. Convivendo con i rumori più assordanti. Dando voce al dramma delle vittime civili. Facendo la spola tra la fine e quanto rimane del mondo. Nonostante i molti rischi, ci sono ancora uomini e donne che ogni giorno mettono a repentaglio la propria vita nel nome della vera informazione.
“La mia prima volta da inviata di guerra fu nel 2000, a Gerusalemme. Durante la seconda Intifada, dopo la celebre passeggiata sulla spianata delle moschee dell’allora premier israeliano Ariel Sharon” conclude Monica Maggioni, “scoppiò la rivolta palestinese. La Porta dei Leoni in fiamme da una parte, e sulla collinetta l’esercito che sparava. Io mi diressi verso quest’ultima. Fu in quel momento che capii che cosa volevo, e cosa ero davvero disposta a fare”.
E qui finiva il reportage. E si torna nel presente. A novembre uscirà sugli schermi Argo (2012), di e con Ben Affleck, dove al centro della vicenda c’è la storia realmente accaduta di agenti della CIA infiltrati nel cuore della Rivoluzione Khomeinista per liberare alcuni membri dell’Ambasciata americana. Una storia poco conosciuta.
La regista Monica Maggioni parla di Out of Tehran
La regista Monica Maggioni parla di Out of Tehran
Out of Tehran (2011, di Monica Maggioni) |
Out of Tehran, di Monica Maggioni |
Out of Tehran, di Monica Maggioni |
la giornalista Monica Maggioni |
68. Mostra del Cinema, Monica Maggioni (al centro)© Biennale foto Asac |
Nessun commento:
Posta un commento