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martedì 25 aprile 2017

Il Viaggio (The Journey) della Pace

Il Viaggio (The Journey) - Martin McGuinness (Colm Meaney) e Ian Paisley (Timothy Spall)
Non c'è pace in Irlanda del Nord. All'ennesimo summit però, complice il caso/stratagemma, la Storia prende un nuovo e inaspettato corso. Il Viaggio (The Journey), 2016 di Nick Hamm.

di Luca Ferrari

Due storie. Due visioni. Due corsie intransigenti. Una nazione. Un popolo. Agli inizi del terzo millennio l'Irlanda del Nord era ancora spaccata in due, stretta da religione e la ribellione dell'IRA. All'orizzonte non sembrava esserci nulla di buono ma ogni tanto il destino sa metterci il proprio zampino, l'uomo abbassa la guardia rispondendo al suo richiamo con lungimiranza e fede (nell'altro). Presentato nella sez. Fuori Concorso (Evento Speciale) della 73° Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, è uscito sul grande schemo Il Viaggio (The Journey), 2016 di Nick Hamm.

St. Andrews (Scozia), 2006. Il Primo Ministro del Regno Unito, Tony Blair (Toby Stephens), è deciso a sistemare la questione nord-irlandese una volta per tutte. I due protagonisti sono lì, pronti per sfidarsi. Da una parte il rigido predicatore protestante Ian Paisley (Timothy Spall), leader del Partito Democratico Unionista. Dall'altra c'è il repubblicano Martin McGuinness (Colm Meaney), leader del movimento indipendentista Sinn Fein e sostenitore (più o meno dell'IRA). L'accordo sarebbe anche nell'aria ma la realtà è un'altra questione.

Come aveva specificatamente richiesto, al termine della prima giornata Paisley deve abbandonare il summit per inderogabili impegni coniugali. McGuinness allora, in virtù della prassi di far sedere vicini due politici di opposti schieramenti nello stesso mezzo di trasporto per evitare attentati, parte insieme a lui destinazione l'aeroporto di Edimburgo. Al volante c'è l'ignorantello Jack (Freddie Highmore), giovane autista, felice nel raccontare di aver avuto a bordo l'attore Samuel L. Jackson ma incapace di riconoscere i due uomini seduti dietro di lui.

Blair e il suo staff intanto, a cominciare da Harry Patterson (John Hurt), scafato uomo dei Servizi Segreti richiamato per l'occasione, sperano nel miracolo e che quel viaggio possa aiutare a far sciogliere il ghiaccio tra i due storici leader, mai incontratisi faccia a faccia prima d'ora. Sarà davvero così? Può un'ora su quattro ruote riuscire in ciò che uno scontro più che trentennale con accuse e morti non è mai riuscito a fare? Meglio affidarsi alle preghiere e la speranza, o andare oltre le proprie barriere?

Il Viaggio (The Journey) non è solo un pezzo di storia europea che tutti dovremmo conoscere ma getta molti punti interrogativi su ciò che ci aspetta. Troppo facile bearsi del successo della sua conclusione. Quanti ancora sono i dualismi politici che hanno il potere di decidere le sorti di milioni di persone? Ogni volta che sento un Partito criticare a prescindere il proprio dirimpettaio provo un gran sconforto, convincendomi che alla fine non interessi davvero a nessuno di fare il bene di una nazione ma sono il proprio interesse. Mi sbaglio? Smentitemi!

Persa l’anteprima al Festival di Venezia per la concomitanza di altri impegni cinematografici, ho potuto rimediare nel corso dell'unica giornata di programmazione del cinema Giorgione di Venezia, nella piccina sala B. Una nota di colore specifica per spiegarvi quanto ci tenessi davvero a vedere questa pellicola per interrogarmi su di un pezzo della nostra Storia europea, ragionando (anche) sul perché questi due uomini non furono capaci di trovare una soluzione prima risparmiando al proprio popolo inutili sofferenze.

La Storia d’Oltremanica, così come quella di tante altre nazioni europee (in casa e ancor di più fuori) è densa di sangue. Nessun nemico o minaccia esterna. La politica ferrea di Margaret Thatcher portò a costanti ritorsioni dell’IRA e un’esasperazione delle forze regolari britanniche culminate nella tragica e tristemente famosa Domenica di sangue del 30 gennaio 1972 quando o il 1º Battaglione del Reggimento Paracadutisti dell'spararono ad altezza uomo  nella cittadina di Derry, in Irlanda del Nord. Un fatto ben raccontato nel drammatico Bloody Sunday (2002, di Paul Greengrass).

Se la vicenda (incredibile) tra i due politica affascina con estrema facilità, le due interpretazioni principali sono di vera  razza. Dopo essere stato l’ingrugnito pittore Turner (nomination all’Oscar 2015 come Miglior attore protagonista) e l’odioso negazionista David Irving de La verità negata (2016, di Mick Jackson), Timothy Spall tocca ne Il Viaggio un nuovo apice interpretativo. Il suo Paisley è un monolite. Pare sceso dal Monte Sinai. Non concede nulla. “Dicono che l’ultimo - si - lo abbia detto al suo matrimonio” si bisbiglia. Tanto inamovibile quanto deciso e perfino ironico. Testa il nemico fino allo stremo prima di allunargli la propria grinzosa mano.

Colm Meaney è un volto visto e rivisto. Dal Mr Rabbitte patito di Elvis, padre di Jimmy nel cult The Commitments (1991, di Alan Parker - “Questo è il gruppo? Allora gli U2 si cagheranno sotto!” disse) passando per l'action di Con Air (1997, di Simon West) fino al più recente e drammatico The Conspirator (2010, di Robert Redford). Il suo McGuinness è un uomo alla ricerca del dialogo con lo storico rivale che non mai ha voluto incontrarlo, allo stesso tempo sente la responasbilità di non poter tradire la propria gente. Astuzia, ricordi e anche le lacrime. Lui è l’uomo fiero delle proprie lotte, ma conscio che non potranno andare avanti per sempre.

In mezzo ai due pesi massimi, quasi a chiudere il cerchio della vita ci sono il grande vecchio e lo scaltro giovane. Il primo è il grande John Hurt (Chesterfield, 22 gennaio 1940 – Cromer, 25 gennaio 2017) cui di recente cineluk gli ha dedicato un sentito omaggio. L'altro è il londinese classe '92 Freddie Highmore (Neverland - Un sogno per la vita, La fabbrica di cioccolato, Un'ottima annata). L'uno guida l'altro. Hanno una missione (celata) nascosta. A dispetto del contesto molto delicato, entrambi escono dai binari della missione lasciando spazio anche all'improvvisazione esattamente come bisognerebbe fare nella vita.

Anno 2017. Oggi abbiamo tutto. Oggi possiamo accedere in pochi secondi a tutte le informazioni del Pianeta e i suoi archivi, eppure passiamo più tempo dietro futilità e apparenza. Perché?  Il Viaggio (The Journey), 2016 di Nick Hamm ha molto da insegnare.  Il Viaggio (The Journey), 2016 di Nick Hamm non racconta solo la storia di come due acerrimi rivali capaci di trovare la strada del dialogo. No, c'è molto di più. Per capire cosa, ognuno deve guardarsi dentro e riflettere. Pensarci molto attentamente e poi finalmente agire.

Il trailer de Il Viaggio (The Journey)

Il Viaggio (The Journey) - da sx: il giovane autista Jack (Freddie Highmore),
il Primo Ministro Tony Blair (Toby Stephens) e il navigato Harry Petterson (John Hurt)
Il Viaggio (The Journey) - Ian Paisley (Timothy Spall) e Martin McGuinness (Colm Meaney)

domenica 16 aprile 2017

Tre film, tre grandi storie di attualità

Il grande cinema d'attualità sul grande schermo
Tre grandi storie di attualità sono da poco uscite sul grande schermo. Donne contemporanee, politici lungimiranti, eredità post-belliche. Tre film da vedere. Tre film su cui riflettere e ragionare.

di Luca Ferrari

Donne in lotta per la propria identità e libertà. Due uomini che più distanti non potrebbero e d'improvviso eccoli a cambiare per sempre la Storia del proprio paese. Le laceranti ferite di una guerra civile con il potere (drammatico) di annichilire con "semplici ritorni". Sono le tematiche di lungometraggi usciti in queste ultime settimane. Tre film che meriterebbero una lunga permanenza in sala, offrendo così al pubblico nostrano qualcosa capace di andare oltre i paraocchi "Cinecittollywoodiani".

Tre fette di mondo: IsraeleIrlanda del Nord e Balcani. I protagonisti sono la società civile, politici e i fantasmi del conflitto europeo più sanguinoso dopo la II Guerra Mondiale. Libere, disobbedienti e innamorate - In Between (2016, di Maysaloun Hamoud), Dall'altra parte (2016, di Zrinko Ogresta) e  Il viaggio - The Journey (2016, di Nick Hamm). quest'ultimo in programmazione mercoledì 19 aprile al Cinema Giorgione (sla B) di Venezia (h. 17.30/19.30/21.30).

Tel Aviv (Israele), terzo millennio. Laila (Mouna Hawa), Salma (Sana Jammelieh) e Nour (Shaden Kamboura) sono tre donne diverse che si apprestando a condividere lo stesso tetto mettendosi in gioco con le rispettive esperienze e stili di vita. Libere, disobbedienti e innamorate - In Between è tutto fuorché un monologo sulla libertà di genere. Sbatte le porte. Feconda sussurri. Inoltra riflessioni. Confronta credo e laicismo. Parla di donne a contatto con una società ancora e implacabilmente machista.

Distribuito da Officine Ubu e presentato in anteprima alla 73° Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia, Evento Speciale nella sez. "Fuori Concorso", Il viaggio The Journey vede protagonisti Ian Paisley (Timothy Spall) e Martin McGuinness (Colm Meaney). Due uomini che avrebbero potuto rimanere nei loro rigidi binari ma trovarono la strada del dialogo e del cambiamento. Di sicuro una bella lezione per tutti coloro che pensano di avere sempre ragione agendo da incoscienti ai danni (come sempre) della popolazione civile.

Anch'esso uscito lo scorso 30 marzo come il collega d'Oltremanica, Dall'altra parte riapre la pagina di una pace ricucita frettolosamente dalla colpevole Comunità Internazionale dopo cinque anni di fratricida guerra balcanica. Al centro della scena c'è Vesna (Ksenija Marinkovic), il cui marito è pronto a tornare a casa dopo aver scontato una lunga detenzione dal Tribunale Penale Internazionale dell'Aja. Per la donna, uno dei cui figli si è suicidato proprio a causa delle colpe paterne, è un autentico choc e ha inizio così un nuovo doloroso viaggio tra vita privata e Storia.

Sarà l'ormai stra-abuso del fantasy, i remake, i cine-fumetti, l'immutabile commedia italiana ma le mie scelte da critico cinematografico guardano sempre più decise alla realtà e se penso a quei film che negli ultimi mesi mi hanno davvero colpito, mi tornano quasi ed esclusivamente opere tratte da fatti realmente accaduti a cominciare dall'avvincente Snowden (2016, di Oliver Stone) sull'omonimo informatico Edward, il dramma sul negazionismo de La verità negata (2016, di Mick Jackson con l'ennesima performance superlativa di Spall) e il vincitore a Cannes 2016, Io Daniel Blake (di Ken Loach) autentico dramma sociale della realtà inglese.

Per comprendere davvero la realtà senza limitarsi a un superficiale post su Facebook, il mondo e la sua Storia vanno conosciuti e studiati. Il cinema non è certo la risposta ma può rappresentare un ottimo spunto di partenza per portare alla conoscenza delle masse eventi ancora non così popolari. In questo la settima arte ha una forza che non ha ancora nessuno e tutte le volte che potrà, "cineluk - il cinema come non lo avete mai letto" sosterrà e racconterà sempre storie che scomodano il passato con l'ambizione di instillare scintille per un nuovo futuro.

 Dall'altra parte (2016, di Zrinko Ogresta)
Libere, disobbedienti e innamorate - In Between (2016, di Maysaloun Hamoud)
Il viaggio - The Journey (2016, di Nick Hamm)

venerdì 7 aprile 2017

Il pueblo non è un paese per giovani

Non è un paese per giovani - Nora (S. Serraiocco), Sandro (F. Scicchitano) e Luciano (G. Anzaldo)  
Luoghi comuni,  progetti improvvisati e una Cuba “leggermente” idealizzata. È uscito al cinema Non è un paese per giovani (2017, di Giovanni Veronesi).

di Luca Ferrari

Italiani alla ricerca della soluzione definitiva per uscire dalla melma "spaghettosa" e obsoleta senza futuro. È così che due ragazzi partono alla conquista di Cuba, convinti di poter prendere parte alla ventata di liberalizzazione digitale che pare stia soffiando anche sull'isola dei Caraibi. Eccoli dunque, Luciano e Sandro, passare dai tavoli di una trattoria romana alla calura dell'Avana. La realtà perà è come sempre un'altra questione. Non è un paese per giovani (2017, di Giovanni Veronesi).

Luciano (Giovanni Anzaldo) è uno scafato cameriere che non ama parlare di sé. Da tempo si sta preparando a mollare gli ormeggi e sbarcare a Cuba, neo-terra promessa di opportunità sullo sfondo della fine dell'epopea Castrista (all'epoca il leader maximo era ancora in vita, ndr). In ultima battuta si unisce a lui il collega Sandro (Filippo Scicchitano) Suo padre si chiama Cesare (Sergio Rubini), giornalaio costretto a vendere verdura sotto L'Espresso & co. per arrivare a fine mese.

Atterrati all'aeroporto José Martì della capitale, dedicato al celebre poeta rivoluzionario, i due italiano vengono accolti dalla stravagante Nora (Sara Serraiocco), che li conduce nella casa particular prenotata online con la complicità di una ballerina. Scambiati in principio per una coppia gay, non ci vorrà molto perché inizino a dimostrare quale strada intendano perseguire.

Immaginarsi Cuba come la terra del pueblo unido e di Che Guevara nell'epoca di Facebook e Google Earth fa quasi tenerezza (o superficialità). Se a questo cine-scherzo, si unisce poi l'ormai abusato filone dei cervelli, o banalmente degli esseri umani, in fuga dall'Italia senza domani, il risultato è uno scialbo prodotto (Non è un paese per giovani) che potrà al massimo fare la gioia di chi ha già le valigie in mano e gli serve un po' di ottimismo all'acqua di rose.

Non è un paese per giovani (2017, di Giovanni Veronesi) inizia il suo viaggio mostrando i tanti italiani in giro per il mondo che che mandano video-messaggi, felici e spensierati (o quasi). Piccole istantanee senza il minimo approfondimento. Post visivi superficiali che non dicono nulla, avvallando al massimo un'idea che andarsene risolverà qualcosa, o magari no, forse. Andiamo, poi si vedrà. Andiamo che tanto peggio di così non può essere.

Film tiepido, il cast però funziona. Dopo il brillante esordio in Scialla! (2011, di Francesco Bruni) e le successive conferme in Un giorno speciale (2012, di Francesca Comencini), presentato in concorso alla 69° Mostra del Cinema di Venezia, e Allacciate le cinture (2014, di Ferzan Özpetek), il giovane Filippo Scicchitano torna protagonista di un'opera corale. Ingenuo (a tratti) ma risoluto. Combattivo e desideroso di andare avanti anche da solo se necessario. Si ritrova dentro un'avventura che non avrebbe mai immaginato di vivere.  


Idealista, comunista e generoso, è invece il personaggio interpretato dall'eclettico Sergio Rubini (Tutto l'amore che c'è, Mi rifaccio vivo - di cui è anche regista, Dobbiamo parlare) che aggiunge una nuova e divertente performance a una carriera variegata come poche nel panorama nostrano. Banalità, se vogliamo, l'immancabile l'italiano-truffatore con l'accento meridionale interpretato da Nino Frassica impegnato in attività di ristorazione e con un debole per le compagnie sessuali più sfrenate.

La Cuba di Veronesi quasi non inquadra i militari che nella realtà sono ovunque (parlo per esperienza diretta, ndr). Locali dove si balla. Qualche scorcio di casa particular e quelle spiagge cristalline tutt'ora precluse ai residenti. Lì ne mezzo, due italiani sbarcati a Cuba con un fantomatico progetto di business legato al wifi (pronunciato uifi, ndr) legato a sua volta a un traffichino personaggio locale. Non è un paese per giovani atterra in uno dei simboli della Guerra Fredda facendo la figura di uno scolaretto che gioca a imporsi come ricercatore d'alto lignaggio.

Non ci vuole una laurea in politica internazionale per capire che l'apertura di Cuba sarà molto lenta e qualora avvenisse, non sarà a certo a portata di affare per giovani stufi delle catene di casa propria. Luciano e Sandro partono senza troppe idee e forse con la convinzione che comunque gli resterà un'esperienza quando passeggeranno nuovamente a Trastevere. Forse siamo tutti un po' troppo assuefatti a sentire che l'Italia Non è un paese per giovani. Forse tutti vorremmo che l'Italia iniziasse a esserlo seriamente.

Il trailer di Non è un paese per giovani

Non è un paese per giovani - Euro60 (Nino Frassica) e Sandro (Filippo Scicchitano)  

sabato 1 aprile 2017

L'era glaciale, lacrime di amorevole vita

L'era glaciale - (da sx) il piccolo umano, Diego, Sid e Manfred
Il cerchio della vita si stringe amorevolmente attorno a una creatura salvata dal più improbabile dei branchi in fuga da L'era glaciale (2002, di Regia Chris Wedge e Carlos Saldanha).

di Luca Ferrari

Milioni e milioni di anni fa, la lotta per la sopravvivenza era al suo stadio più brado e naturale. L'uomo cacciava le bestie per scaldarsi e nutrirsi. Gli animali facevano lo stesso per le medesime ragioni, ma non solo. Un branco di smilodonti infatti, letali tigri dai denti a sciabola, hanno giurato di farla pagare all'uomo col sangue del loro ultimo arrivato. Fallito l'assalto però, viene scelto Diego (doppiatore italiano Pino Insegno) per recuperare il marmocchio e consegnarlo al capo per il giusto castigo.

L'era glaciale intanto si avvicina a grandi passi e mentre tutto il regno animale è in fuga, un mammut di nome Manfred (doppiatore italiano Leo Gullotta) si aggira solitario e di pessimo umore. Un bestione addosso al quale va a sbattere l'appiccicoso bradipo Sid (doppiatore italiano Claudio Bisio), inseguito da due rinoceronti. I due neo-compagni di avventura si ritrovano fra le mani un cucciolo umano e sono decisi a riportarlo ai genitori. Con l'inganno Diego si unisce a loro ma col passare del tempo qualcosa cambia nel cuore della tigre finendo per dare vita al più improbabile, coraggioso e risoluto branco, che mai si fosse visto sul Pianeta.

L'era glaciale è un film commovente e con molto da insegnare. Un film che ha dato origine a una saga che a oggi, aprile 2017, ha già partorito quattro sequel e due spin-off, nessuno mai davvero all'altezza del primo capitolo con la sola eccezione de L'era glaciale 3 – L'alba dei dinosauri (2009, di Carlos Saldanha e Mike Thurmeier). Decisamente più modesti gli altri: L'era glaciale 2 - Il disgelo (2006, di Carlos Saldanha), L'era glaciale 4 – Continenti alla deriva (2012, di Steve Martino e Mike Thurmeier) e l'ultimo L'era glaciale – In rotta di collisione (2016, di Mike Thurmeier e Galen T. Chu).

Agli inizi del terzo millennio l'animazione di nuova generazione era ancora una novità e termini come young adult dovevano ancora essere coniati (bei tempi, ndr). L'era glaciale fu uno dei migliori prodotti realizzati in quello che fino a quel momento era un panorama dominato da Pixar e Dreamworks. Prodotto dai Blue Sky Studios in collaborazione con la 20th Century Fox Animation, l'opera è allo stesso tempo originale, divertente e toccante, il tutto immerso in un'epoca dall'appeal non così scontato. Quando però c'è una sceneggiatura degna di questo nome, il riscontro è garantito.

Entrando nel dettaglio dei personaggi poi, Sid è un capolavoro. Non smette mai di parlare, combina guai ed è incapace di fare (quasi) ogni cosa tranne dormire, mangiare e affezionarsi. Manfred detto Manny è il classico gigante-duro dal cuore tenero, segnato da un profondo dolore che lo spinse anni or sono a scegliere la strada dell'isolamento. Ci vorrà la scarica “vitale-insopportabile” del bradipo per farlo tornare a scegliere la vita. E infine Diego. Lui è il mondo capace di cambiare e migliorare, imparando a usare la propria testa riconoscendo quali siano i veri amici senza soccombere nella cieca appartenenza di origine.

L'era glaciale  (2002, di Chris Wedge e Carlos Saldanha) è un film capace di scaldarti il cuore anche se lì fuori è un continuo scagliarsi dardi avvelenati alle spalle e tutto ciò che ti resta fra le mani è una blanda coperta sotto la quale stai piangendo. Un po' per commozione, un po' per come stanno andando le cose nella tua vita. Metafora perfetta, i goffi e fallimentari tentativi di Sid nel cercare di proteggersi dal diluvio utilizzando alla fine, rassegnato e sconsolato, il minuscolo codino del mammut.

Il tempo passa. La vita prosegue. I film ritornano. La coperta è ancora lì, al mio fianco. L'animazione de L'era glaciale si ripresenta sul piccolo schermo ma qualcosa è cambiato. Le cicatrici bruciano ancora e il mondo lì fuori non è poi così diverso da allora. Gli scudi hanno crepe. Le spade puntano minacciose. Le stelle sono ancora desideri. Lì dentro però, è successo un miracolo. Una scintilla di magia umana è diventata amorevole realtà.

Io sono qui, e dall'alto dei miei fatidici 40 anni, questa sera sto ancora guardando L'era glaciale (2002, di Chris Wedge e Carlos Saldanha). A fianco a me c'è qualcuno che fino a ieri non avevo mai guardato negli occhi. Nell'altra stanza c'è una persona speciale che da più di 10 anni illumina il mio mondo. Sopra di me c'è qualcuno con un respiro neonato che fino a pochi giorni fa non avrei mai potuto immaginare sarebbe stato così unico averlo accanto. Io sono qui, a guardare commosso fino alle lacrime L'era glaciale. Vicino a me ci sono loro due, e la mia vita non potrebbe essere più speciale.

Una divertente scena de L'era glaciale

L'era glaciale - (da sx) il bradipo Sid con il piccolo umano davanti a un murales