!-- Codice per accettazione cookie - Inizio -->

giovedì 24 dicembre 2020

Dickens, l'uomo che inventò il (canto di) Natale

Dickens - L'uomo che inventò il Natale (2017, di Bharat Nalluri)

Per dare una svolta a un nuovo libro (e all'umanità intera), ci vuole ispirazione e la voglia di fare i conti con i propri "spettri". Dickens - L'uomo che inventò il Natale (2017, di Bharat Nalluri).

di Luca Ferrari

Può un libricino di poche pagine cambiare il corso di una vita, o più di una? La risposta è sì, ancor di più se di mezzo c'è al festa per antonomasia dove tutto è possibile: il natale. Un'ispirazione sgorgata dai vicoli più oscuri della propria più rivoluzionaria immaginazione. Un'ispirazione che dovrà fare i conti con le lacrime abbandonate del proprio passato. Un'ispirazione che troverà la forza di mutare il corso della vita e della storia, imparando dalla dolcezza di chi ci sta accanto. Ecco allora il caso metterci il suo zampino, e poche pagine dopo, un uomo cambierà per sempre il significato di una festa, a quell'epoca sempre poco sentita. Dickens - L'uomo che inventò il Natale (2017, di Bharat Nalluri).

Charles Dickens (Dan Stevens) è uno scrittore di successo. Il suo libro "Le avventure di Oliver Twist" lo hanno reso celebre in tutto il Regno Unito ma le ultime produzioni non hanno soddisfatto le aspettative. Lui intanto continua a spendere e spandere, e i debiti aumentano. Nella sua ricca dimora a Londra, intanto, sono arrivati anche (senza chiedere) i suoi genitori, con i quali c'è ancora molto rancore dopo essere stato abbandonato a causa della sconsideratezza paterna. Per risollevare le sorti e l'avverso destino, servirebbe un nuovo libro. Un'opera capace di rilanciarlo, finanziariamente e intellettualmente. L'ispirazione però non basta desiderarla. Bisogna sentirla, assecondarla.

Un uomo intanto bussa alla porta della mente dello scrittore, ma non è ancora chiaro chi sia. Il nome non viene, non ancora. Poi, sì. Quando lo si trova, lo si riconosce: Ebeneezer Scrooge (Christopher Plummer). Uno a uno, i personaggi di questa nuova storia assumono le sembianze della vita reale. Il cinico ma fraterno Jacob Marley è l'avaro notaio Haddock (Donald Sumpter). Lo spirito dei natali presenti è il generoso John Forster (Justin Edwards), suo amico leale e instancabile nell'aiutarlo per realizzare l'opera. Dickens intinge nel mondo dei vivi, ma il finale è a un vicolo cieco. Il problema in realtà non risiede nelle parole, ma nell'anima dello scrittore stesso.

Per credere a un lieto fine bisogna essere pronti a viverlo dentro e fuori di sé. E dopo l'ennesima bugia di suo padre (Jonathan Pryce), Charles non ne vuole più sapere di averli sotto il naso, e lo caccia insieme a sua madre (Ger Ryan). Un errore commesso anche ai danni della giovanissima aiuto-governante irlandese, Tara (Anna Murphy), ma nulla che la paziente e amorevole moglie Kate (Morfydd Clark) non sia pronta a sistemare, ispirando quel cambiamento fondamentale nel cuore tormentato dello scrittore. Charles Dickens adesso è pronto a rischiare il tutto per tutto, nella vita privata e nella stesura del libro. E saranno in molti, ancora oggi, a capire e a farsi ispirare 

Per noi profani e senza fede non ci potrebbe essere la festa del 25 dicembre senza il Canto di natale di Dickens. Nel 2009 fu la magia animata di Robert Zemeckis a trasportare sul grande schermo A Christmas Carol, facendoci commuovere fino alle lacrime. In questa nuova incursione cinematografica invece, scopriamo cosa ispirò la nascita di un racconto destinato a ridisegnare il significato stesso della festività. Veritiero o meno che sia il ritratto dello scrittore, vediamo un aitante e generoso Dickens, allora segnato però da una voragine dolorosa che affonda gli aculei nei suoi ricordi di bambino affidato (dai genitori stessi) in un gelido orfanotrofio. Ed è proprio da quella ferita così aperta che gli appare Scran... Scrook... Scrooge, la sua anima più nascosta in cerca di redenzione proprio a natale.

Scrooge cede. E' davvero cambiato? Lo è davvero? Con il Soprannaturale non si può mentire, eppure adesso vorrei capire. Perché dobbiamo sempre arrivare al precipizio per comprendere i nostri sbagli? Perché dobbiamo aspettare un'alta marea di 187 cm per mettere in sicurezza una città fragile o assistere impotenti al crollo di scuole e ponti, recuperando tra le macerie i morti, per iniziare a fare sul serio (...) il nostro lavoro? Scrooge cambia, è vero. E la sua storia lo dimostra ma è un caso isolato. Una pecora bianca in una fossa di egoisimi. Mi dispiace essere così amaro ma questo è il mondo in cui viviamo e non voglio prendervi in giro. Non l'ho mai fatto e non comincerò certo a farlo in questo tormentato natale 2020. Qualcuno cambia, e il resto del mondo che fa? Vi sto aspettando. 

Il trailer di Dickens - L'uomo che inventò il natale

L'uomo che inventò il Natale - Dickens (Dan Stevens) e Scrooge (Christopher Plummer

giovedì 17 dicembre 2020

Un poliziotto alle "orribili" elementari

Un poliziotto alle elementari - il maestro John Kimble (Arnold Schwarzenegger)

Nessuno riesce a farla franca con il detective John Kimble (Arnold Schwarzenegger). Qualcuno sì, o meglio, una "orribile" scolaresca elementare che lo metterà letteralmente KO.

di Luca Ferrari

John Kimble (Arnold Schwarzenegger) è un poliziotto deciso a portare dietro le spalle il pericoloso trafficante di droga, Crisp (Richard Tyson). Per chiudere davvero la partita però, deve riuscire a trovare i soldi nascosti, e così si mette sulle tracce della ex-moglie scappata insieme al figlio. Viene così mandato sotto copertura insieme alla collega Phoebe O' Hara (Pamela Reed), ma qualcosa va storto durante il viaggio, così tocca al forzuto Kimble prendere il posto della donna e diventare il nuovo maestro elementare di un piccola cittadina di provincia. Che insidie potranno mai essere dei bambinetti per un ruvido uomo di legge, pensa lui? La parola allora a Un poliziotto alle elementari (1990, di Ivan Reitman).

Ma chi se lo sarebbe mai immaginato nei testosteronici anni Ottanta di vedere il gigantesco Arnold  Schwarzenegger duettare e soccombere a una classe di impredvedibili pulcini? La preside Miss Schwlosky (Linda Hunt) mal tollera la presenza di Kimble, ed è certo che mollerà. Le premesse dopo il primo giorno sembrano darle ragione. I piccoli fanno chiasso. Sono indisciplinati. Gli fanno domande. Lo martellano senza tregua. Poi finalmente, eccolo tornare a casa. John è stravolto. La telecamera dal basso lo ritrae in caduta libera sul letto, con il viso schiacciato. O' Hara lo chiama. E lui, esausto risponde: 

Vattene via!
Allora lei, gli chiede: è andata male?
E lui: SONO ORRIBILI!
Quindi lei, "Che bella scoperta.

Ma non è certo questa l'unica gag memorabile. Come dimenticarsi la sua faccia, seriamente preoccupata, quando ammette alla collega che i bambini si stanno prendendo gioco di lui? Siparietto da standing ovation quando la minuta e grintosa dirigente scolastica, dopo averlo richiamato per aver picchiato il papà di un bimbo, colpevole averlo menato regolarmente il piccolino, gli chiede: Ora mi dica, che cosa ha provato a colpire quel grandissimo figlio di puttana? E lui un po' sorpreso ma allo stesso tempo emozionato, risponde con un impagabile, quasi balbettando: "è stato bellissimo!".

Arnold Schwarzenegger (Conan il barbaro, Danko, True Lies) alza anche le mani, ma sempre in modo differente, mettendosi in gioco e facendo l'eroe familiare senza scadere nel banale, cosa che tornerà a fare anche nel comunque simpatico Una promessa è una promessa (1996, di Brian Levant). Curiosità. Il film è ambientato ad Astoria, nell'Oregon, chiamata da una mamma "la capitale delle madri single". Proprio lei, Astoria, dove un certo Steven Spielberg ambientò alcuni anni prima un film destinato a lasciare il segno nella settima arte, I Goonies (1985). La struttura della città è subito riconoscibile e forse aguzzando bene la vista, magari vedremo anche casa Walsh.

In Un poliziotto alle elementari non c'è l'Arnold Schwarzenegger spaccone e pompato dei (discutibili) cult "Eighties" Predator Commando. Rispetto al collega Sylvester Stallone poi, che in quelle rare occasioni in cui provò a usare i muscoli al servizio dell'ironia ottenne risultati patetici, su tutti l'atroce Fermati, o mamma spara (1992), Arnie riesce a giocare con se stesso, mostrando inaspettate qualità comiche, vedi anche I gemelli (1988) al fianco di Danny DeVito e sempre diretto "dall'acchiappa-fantasmi" Reitman. Un ulteriore passo avanti pochi anni dopo, ancora protagonista di una simpatica commedia per giovani famiglie dove al fianco dei bicipiti ci mise risate con un pizzico di sincera malinconia, Last Action Hero (1993, di John McTiernan).

Un poliziotto alle elementari, la scena memorabile

domenica 13 dicembre 2020

Fuga per la vittoria, e i "campioni" della vergogna

Fuga per la vittoria - Colby (Michael Caine), Fernandez (Pelè) e Hatch (Sylvester Stallone)

Dal film Fuga per la vittoria (1981, di John Huston), liberamente ispirato a una tragica vicenda, alla partita farsa organizzata dal dittatore ceceno Kadyrov, insieme a tante stelle mercenarie del calcio.

di Luca  Ferrari

Dalle urla “insonorizzate” dei civili torturati mentre si disputavano i Mondiali di Argentina ’78 al divieto anche solo di pronunciare le parole “diritti umani” durante le Olimpiadi di Pechino 2008. Quando sport fa rima con propaganda e omicidio legalizzato. Nel 2011 il presidente ceceno Ramzan Kadryov organizzò una partita di calcio farsa, dove scesero in campo molte stelle del pallone. Una prestazione degna dei più squallidi mercenari, l'esatto opposto di chi pagò con la vita la propria integrità di fare gol. Un fatto quest'ultimo, vero e tragico, a cui s'ispirò liberamente il film Fuga per la vittoria (1981, di John Huston).

1942, II Guerra Mondiale. Durante una visita nel campo di concentramento il Maggiore Karl Von Steiner (Max von Sydow), ex-calciatore della Nazionale Tedesca, riconosce il collega inglese John Colby (Michael Caine), e gli propone una partita internazionale per risollevare il morale. Inizia così il reclutamento al quale cerca d'inserirsi in tutti i modi il poco dotato Hatch (Sylvester Stallone), desideroso di beneficare del regime carcerario agevolato, e tentare così l'ennesima fuga. Una presenza questa molto poco a gradita a Colby, che lo sbatte fuori senza mezzi termini, salvo poi tornare sui suoi passi.

La partita intanto viene inglobata in un preciso messaggio della propaganda nazista che ha deciso una partita ad alto livello da disputare a Parigi, ma non sanno che nel frattempo anche la Resistenza Francese si sta muovendo. La squadra alleata intanto si rinforza, grazie agli innesti di ottimi elementi, alcuni dei quali giunti malnutriti dai campi di concentramento più terrificanti. Ecco dunque indossare la maglia calcistica internazionale Luis Fernandez, Terry Brady, Carlos Rey, Michel Fileu, Paul Wolchek e Gunnar Hilsson interpretati rispettivamente dai veri campioni del pallone Pelè, Bobby Moore, Osvaldo Ardiles, Paul Van Himst, Kazimierz Deyna e Hallvar Thoresen.

Dal grande schermo alla realtà censurata. L’11 maggio 2011 il presidente ceceno Ramzan Kadryov, in barba ai problemi di una nazione traumatizzata dalla violenza che si protraeva quotidianamente nell’indifferenza della Comunità Internazionale, inaugurò in grande stile l’ultramoderno nuovo stadio di calcio da 30mila posti, il Terek Grozny Stadium, con una partita amichevole disputata con vecchie glorie mondiali. Un evento questo, passato sotto silenzio dalla maggior parte dei media. Un fatto, non certo sorprendente ma piuttosto grave. Una vicenda in cui lo sport si piegò al potere e alla politica più assassina.

Una selezione di giocatori del Caucaso guidati in campo dallo stesso Kadryov (presidente dell’FC Terek Grozny, squadra militante nella Premier League Russa e allenata all'epoca dal pallone d'oro, Ruud Gullit) affrontò una formazione di stelle del passato, recente e non, tra cui i palloni d’oro Diego Armando Maradona, Jean-Pierre Papin e Luis Figo, gli ex-milanisti Franco Baresi, Alessandro Costacurta, e altri famosissimi calcatori come l’uruguaiano Enzo Francescoli, il cileno Ivan Zamorano, il francese Fabien Barthez, l’inglese Steve McManaman.

In campo dunque c’era anche il pibe de oro (1960-2020). Proprio lui, che anni or sono si era fatto immortalare con i simboli “anti-imperialisti” Fidel Castro e Hugo Chavez, e in quell'occasione invece è sceso a celebrare Ramzan Kadryov, criminale burattinaio dello zar Vladimir Putin. Ciliegina sulla (nauseabonda) torta, la partita è stata vinta dai caucasici con una tripletta messa a segno dal "fuoriclasse" Kadryov. Una pagliacciata nella farsa. La storia calcistica, e sportiva, però non ha sempre avuto codardi al servizio dei potenti. In territorio russo, quasi settant’anni fa, si disputò un match molto particolare ma dall'esito del tutto opposto.

Nel lontano 9 agosto 1942, allo stadio Zenith di Kiev, città allora sotto occupazione nazista, si fronteggiarono la locale Start e una compagine composta da ufficiali tedeschi dell’aeronautica militare Luftwaffe. In vantaggio la formazione di casa per 3-1 alla fine del primo tempo, durante l’intervallo un ufficiale teutonico intimò agli avversari di farsi battere. Raggiunti sul pareggio, l’orgoglio e la dignità ebbero la meglio sulle minacce e le probabili terribili ritorsioni, e il match finì 5-3 per gli ucraini. La maggior parte dei vincitori vennero in seguito uccisi, altri torturati e ammazzati, altri ancora spediti nei lager. Venne ribattezzata la “partita della morte”. Una tragica pagina di sport a cui si ispirò il celebre film Fuga per la vittoria (1981, di John Huston).

Altro spessore. Altri Uomini. Chi farebbe oggi un film chiamato “La partita della vergogna” mettendo in imbarazzo personaggi intoccabili della politica internazionale e baroni del pallone? Dove sono i Tommie Smith, i Muhammad Alì del terzo millennio? Dove sono gli uomini disposti a combattere per il loro valori? In Cecenia la violenza di stato è sempre continuata contro chiunque non si adattasse alla linea filorussa. Chi osa criticare il regime, o denunciare le costanti violazioni dei diritti umani, viene eliminato. La giornalista Anna Politkovskaja (1958-2006) è solo una delle tantissime vittime spazzate via dalla brutalità di questo distorto sistema. Il governo ceceno è protetto dal potente e vicino alleato.

Non sono arrivate troppe fotografie della partita di Gronzy. Allora proverò a immaginare la scena. Kadryov segna, e i vari calciatori i complimentano con lui. Come se fosse una festa. Le strette di mano. Gli abbracci. Mi piacerebbe mostrare a tutti i calciatori lì presenti le foto di donne stuprate e ammazzate dai commando militari ceceni. E vorrei poi che fossero loro a spiegarmi che cosa si prova a stringere sorridendo una mano inzuppata del sangue di innocenti. Una misera figura. Di tutti. Nessuno escluso. Con la loro presenza questi “atleti” hanno insultato le duecentomila vittime della doppia guerra ceceno-russa (1991-1996 e 1999-2006). Con la loro presenza hanno sputato sui diritti violati di migliaia di innocenti. 

"Hatch, se scappiamo ora, perdiamo più di una partita" lo implorava Fernandz. E voi, cosa avreste fatto se lì fuori non ci fosse stata una telecamera milionaria ma i terribili aguzzini della Ghestapo?

Fuga per la vittoria, il coraggio di non scappare

domenica 15 novembre 2020

Rivogliamo la dune buggy...altrimenti ci arrabbiamo!

... altrimenti ci arrabbiamo! - Kid (Terence Hill) e Ben (Bud Spencer)

Occhio a non pestare i piedi ai "miti" Bud Spencer e Terence Hill, specie se c'è in palio la loro amata dune buggy. Altrimenti? ...altrimenti ci arrabbiamo! (1974, di Marcello Fondato).

di Luca Ferrari

Ah non l'ha fatto apposta, dice un insolitamente cauto Bud Spencer dopo aver ricevuto un sacco da boxer addosso.
Invece l'ho fatto apposta, la replica dell'intransigente e impavido provocatore.
Io pure!, la risposta decisa di Bud con tanto di cazzotto in testa!

Scegliere una scena da condividere da Youtube di ...altrimenti ci arrabbiamo! (1974, di Marcello Fondato) è un'impresa ardua e credo che la maggioranza avrebbe scelto il mitico coro dei pompieri dove il killer Paganini (Manuel de Blas) cerca di fare fuori Ben (Bud Spencere) e Kid (Terence Hill). E che dire dell'altrettanto leggendaria incursione al luna park dove Attila (Deogratias Huerta) viene ridicolizzato a più riprese, dapprima sugli autoscontri? Per non parlare della intramontabile sfida a birra e salsicce dove la posta in palio è il conto e soprattutto la dune buggy rossa con cappottina gialla, "motore" della pellicola.

Ben e Kid sono due meccanici specializzati (anche) in corse automobilistiche. Si conoscono e si sfidano spesso ma quando all'ennesimo gara arrivano entrambi primi, si sfidano all'ultimo sangue per decidere chi si terrà il premio: una dune buggy, per l'appunto. Tutto procede nel rispetto delle regole fino a quando non si ritrovano in mezzo all'ennesima azione malavitosa del boss (John Sharp), che coinvolge la loro amatissima macchinina che viene distrutta. Ben e Kid non ci stanno. La rivogliono. Affrontano a muso duro il capoclam e pretendono che gliene compri una nuova. Manco a dirla, la risposta non sarà gentile ma ancora non sapeva contro chi si stesse mettendo. Specie quando si arrabbiano.

Altrimenti ci arrabbiamo, la scazzottata in palestra

mercoledì 4 novembre 2020

I croissant al cioccolato di Meryl Streep

È complicato - Jane (Meryl Streep) e Adam (Steve Martin) infornano i croissant

Soffici e ripieni di cioccolato. Sono i croissant preparati da Meryl Streep e Steve Martin in È complicato (2009, di Nancy Meyers). Una brillante commedia tutta da gustare.

di Luca Ferrari

Da moglie tradita, a ex-moglie che ripaga con la stessa moneta colei che le soffiò l'amore di una vita. È la storia di Jane Adler (Meryl Streep), donna di mezza età dalla bellezza sfiorente, abbandonata dal rampante marito e avvocato Jake (Alec Baldwin), caduto nelle forme giovanili di Agness (Lake Bell), affamata di nuova maternità. Riprese le redini della propria vita col supporto anche dei tre figli, Jane incontra il timido architetto Adam Schaffer (Steve Martin), anch'esso divorziato. Di rientro da un evento serale, lei, eccellente pasticcera, si mette a preparare dei croissant al cioccolato. Una scena epica che vi faranno venire l'acquolina in bocca.

 È complicato - Meryl Streep prepara i croissant

È complicato - Jane (Meryl Streep) e Adam (Steve Martin) preparano i croissant
È complicato - Jane (Meryl Streep) e Adam (Steve Martin

lunedì 2 novembre 2020

Gigi Proietti, l'omaggio del Conte Uguccione

Il Conte Uguccione (Bebo Storti) e il Maresciallo Rocca (Gigi Proietti)

La travolgente ironia di Bebo Stori nei panni "granducali" toscani del Conte Uguccione, per omaggiare un grande artista della risata e della recitazione: Gigi Proietti (1940-2020). 

di Luca Ferrari

Un grande della recitazione se n'è andato. Non ne so abbastanza per scrivere qualcosa di serio su Gigi Proietti (2 novembre 1940 - 2 novembre 2020). Ciò che ricorderò per sempre però, è la recensione del Conte Uguccione (Bebo Storti) sulla rivista di settore "TV, Sorrisi e Uguccioni", dove parlando della fiction Il Maresciallo Rocca, così sentenziò dal piccolo schermo di Mai dire gol: "Eravamo riusciti a superare quegli stupidi preconcetti sui carabinieri... Gigi Proietti è riuscito a farceli ritornare!". Questo è il mio piccolo ma semplice tributo, certo che il buon Gigi (Febbre da cavallo, Il premio, Pinocchio) da lassù, si farà una fragorosa risata. RIP.

sabato 31 ottobre 2020

Fusi di testa, a tutta Bohemian Rhapsody

Fusi di testa – Wayne (Mike Myers) e Garth (Dana Carvey)

Il 31 ottobre 1975 i Queen pubblicarono il singolo "Bohemian Rhapsody". Qualche anno più tardi, Mike Myers e Dana Carvey la headbangiggarono cantandola scatenati in Fusi di tesa

di Luca Ferrari 

Ci sono scene cult che definiscono e segnano un film. È il caso di Wayne's World (Fusi di testa, 1992, di Penelope Spheeris) dove a inizio pellicola i giovani Wayne Campbell (Mike Myers) e Garth Algar (Dana Carvey) insieme ad altri amici, si sparano la mitica Bohemian Rhapsody dei Queen nell'autoradio di una sgangherata quattro ruote. Lo sketch è memorabile, apoteosi del quale l'headbanging scatenato è il non plus ultra. Quella era l'epoca d'oro di MTV e nulla come un gesto forsennato di capelli e testa al ritmo rock lo sapeva fotografare al meglio. E ora tutti insieme cantiamo Oh mamma mia, mamma mia, mamma mia let me go...

Wayne's World/Fusi di testa, la scena con Bohemian Rhapsody

Fusi di testa - headbanging selvaggio al ritmo di Bohemian Rhapsody
Fusi di testa - Wayne (Mike Myers)

martedì 22 settembre 2020

La vita è un biscotto - Armagedon Outa Here

Una settimana da dio - un senzatetto sotto mentite/divine spoglie (Morgan Freeman)
Chi non vorrebbe essere il padrone dell'universo. E che scoperta capire (davvero) che ciò che conta è accanto a noi. Alla riscoperta del cult Una settimana da dio (2003, di Tom Shadyac).


Ho sempre adorato il finale del film Bruce Almighty - Una settimana da dio (2003, di Tom Shadyac) con Jim Carrey, uno strepitoso Steve Carrell, Morgan Freeman e Jennifer Aniston). Genuinamente sincero e intriso di speranza. Dalla clip finale ARMAGEDON OUTA HERE, che liberamente mi sento di tradurre in "fottiti apocalisse", racchiudo in quel sostantivo tutto il peggio dell'essere umano. Un'umanità che è tempo torni a credere e lottare per valori come l'altruismo e il rispetto, le vere fondamenta di una società.

"La vita è un biscotto ma se piove, si scioglie" Bruce Nolan.

Una settimana da dio - il finale

mercoledì 16 settembre 2020

A scuola da "Lo chiamavano Trinità..."

Lo chiamavano Trinità... - Bambino (Bud Spencer) e Trinità (Terence Hill)
La prima lezione per i piccolissimi che mercoledì 16 settembre cominceranno l'inserimento alla Scuola Materna? Lo chiamavano Trinità... (1970, di Enzo Barboni).

di Luca Ferrari

"Non fidatevi di nessuno, nemmeno degli amici... Capito?" metteva in guardia Faina. "L'esperienza è la migliore maestra. Se non avete forza nelle braccia, potete sempre usare le gambe... Come me!" suggeriva invece Timido. "Visto cosa succede, è questione di riflessi" ammonisce il corpulento Bambino. "Ripeto: blocchi di sinistro, e parti di destro" aggiunge lo scaltro pistolero Trinità. Voi che dite, dovremmo attingere all'epica western bonacciona di Lo chiamavano Trinità... (1970, di Enzo Barboni)" per dare i nostri più saggi consigli a quelle creaturine che oggi, mercoledì 16 settembre 2020, iniziano l'inserimento della scuola materna?

L'avido e spietato Maggiore (Paolo Magalotti) si è alleato con la banda dei messicani di Mezcal (Remo Capitani), mettendo così la comunità degli agricoltori mormoni in serio pericolo. Nessuno li potrebbe salvare se non la più improbabile delle combriccole, pronta a calarsi nelle veste di docenti di sberloni & cazzotti (per legittima difesa). Ve li presentiamo. Uno sceriffo opportunista con tanto di taglia sulla testa, detto la mano sinistra del diavolo: Bambino (Bud Spencer). Insieme a lui, i suoi uomini Faina (Ezio Marano) e Timido (Luciano Rossi). Con loro, la mano destra del diavolo, fratello del primo. Uno che cerca rogne "perché non sa fare altro". Uno dal grilletto facilissimo, schierato però sempre dalla parte dei più deboli: Trinità (Terence Hill).

Una cosa è certa, presto o tardi i nostri pulcini incontreranno dei prepotenti sul loro cammino e la speranza è che nel frattempo qualcuno li abbia preparati a rispondere a dovere, e non si sia girato dall'altra parte sperando che le cose in qualche modo si sistemino (perché tanto non si sistemano). Il bullismo inizia con una merendina rubata e finisce con un gruppetto di vigliacchi che ti picchiano in una calle o vicolo che sia. OK, forse è un po' presto per chiamare in causa Bud Spencer e Terence Hill ma ehi, nulla vieta di imparare fin da piccol(issim)i qualche lezione che tornerà sempre utile, divertendosi insieme e incominciando proprio da Lo chiamavano Trinità... (1970, di Enzo Barboni).

Un ultimo consiglio, figliolo: devi bloccare di sinistro, non di destro!


Lo chiamavano Trinità - l'addestramento dei mormoni

Lo chiamavano Trinità... - da sx Trinità (Terence Hill), Timido (Luciano Rossi), Bambino (Bud Spencer), Faina (Ezio Marano)
Lo chiamavano Trinità... - Trinità (Terence Hill)
Lo chiamavano Trinità... - Bambino (Bud Spencer)
Lo chiamavano Trinità... - Faina (Ezio Marano)
Lo chiamavano Trinità... - Timido (Luciano Rossi), 
Lo chiamavano Trinità... - Bambino (Bud Spencer), Faina (Ezio Marano) e Trinità (Terence Hill)

sabato 5 settembre 2020

Venezia77, Padrenostro che sei l'Italia

Padrenostro - Alfonso Noce (Piefrancesco Favino)
 Dalle lacrime di Padrenostro (di Claudio Noce), in Concorso a Venezia77, ad amare riflessioni su un'Italia schiava di passati mai compresi, rivisitazioni storiche ed egoismi ideologici

di Luca Ferrari

Non sappiamo nulla del terrorismo di Destra. Non sappiamo nulla del Terrorismo di Sinistra. Troppo impegnati a vedere congiure ovunque. Troppo impegnati a spararci l'un contro l'altro. A Venezia77 Claudio Noce ci riporta negli Anni di Piombo con una storia vis(su)ta con gli occhi di un bambino. Lì, davanti a lui, suo padre, il magistrato Alfonso Noce, interpretato da Pierfrancesco Favino, scampato miracolosamente a un attentato dei Nuclei Armati Proletari (NAP). Una storia umana che mi ha tirato Venomamente fuori amare riflessioni su questo paese.

Oggi non parlo di cinema. Oggi scrivo qualcosa che mi esce da ogni fibra. Oggi parlo di una nazione ammalata di passato, che si guarda le ferite togliendosi lentamente la crosta e versandovi alcol scaduto sopra. Parto dal film Padrenostro, presentato in Concorso alla 77. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia (2-12 settembre) uscendo dal grande schermo, per testimoniare una nazione che sta ancora brindando per la vittoria della II Guerra Mondiale e allo stesso tempo meditando vendetta contro chi l'ha liberata dal fascismo.

I diciottenni che si avviano all'università sapendo poco o niente del Dopoguerra in poi. Non è da meno la mia generazione. Piccoli flash in Italia e nel mondo: Gandhi, Mandela, il Vietnam, le Torri Gemelle, il Ruanda (forse). I nostri anni di piombo sono in mano alla politica, riscritti e accartocciati a seconda di chi comanda. L'Italia è il paese dove le destre si sono appropriate della memoria delle foibe. L'Italia è il paese dove tutto è il contrario di tutto. L'Italia è il paese dose si onorano Falcone e Borsellino ma sotto sotto in troppi li chiamano infami.

Il cinema, come ogni forma d'arte, ha sempre avuto e ha tutt'ora l'ambizione di ispirare un cambiamento nel mondo. Ora mi chiedo, quante persone andranno a documentarsi davvero sul terrorismo italiani dopo aver visto, anche solo sentito parlare di questo film? L'Italia è il paese dove sappiamo già tutto di tutti. Il paese forgiato da una cultura che non vuole mai mettersi in discussione e dunque impossibilitato a evolversi su larga scala. Non posso rimanere in sala, mi intimano di uscire. Sono fuori e troppo di cui vedo non mi piace. Adesso però è tempo di elezioni e ogni candidato mi ha già promesso che migliorerà ogni cosa.

Venezia77 - l'attore Pierfrancesco Favino © La Biennale foto ASAC
Venezia77 - l'attrice Barbara Ronchi © La Biennale foto ASAC
Venezia77 - Il regista Claudio Noce e l'attore Pierfrancesco Favino © La Biennale foto ASAC
Padrenostro - Alfonso Noce (Piefrancesco Favino)

venerdì 4 settembre 2020

Venezia77, il leone Tilda Swinton

Venezia77. L'attrice Leone d'oro alla carriera 2020, Tilda Swinton © La Biennale foto ASAC
Sul red carpet blindato di Venezia77 si accendono i riflettori per la consegna del Leone d'oro alla carriera all'attrice Tilda Swinton, accompagnata dal regista Pedro Almodovar.

di Luca Ferrari

Il secondo giorno della 77. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia (2-12 settembre) ha visto risplendere Tilda Swinton (Burn After Reading, Io sono l'amore, Solo gli amanti sopravvivono), premiata con il Leone d'oro alla carriera. L'attrice britannica è sbarcata in laguna anche per l'anteprima del documentario, The Human Voice, scritto e diretto dal regista spagnolo Pedro Almodovar, anch'esso insignito del medesimo e prestigioso riconoscimento nella scorsa edizione del Festival.

Venezia77. L'attrice Tilda Swinton e il regista Pedro Almodovar al photocall © La Biennale foto ASAC
Venezia77. Il regista Pedro Almodovar e l'attrice Tilda Swinton al Photocall © La Biennale foto ASAC
Venezia77. Il regista Pedro Almodovar al photocall © La Biennale foto ASAC
Venezia77. L'attrice Leone d'oro alla carriera 2020, Tilda Swinton sul red carpet © La Biennale foto ASAC
Venezia77. Il regista Pedro Almodovar e l'attrice Tilda Swinton © La Biennale foto ASAC
Venezia77. Il regista Pedro Almodovar e il direttore del festival, Alberto Barbera © La Biennale foto ASAC

mercoledì 2 settembre 2020

Venezia77, le Molecole di Andrea Segre

Il regista Andrea Segre (al centro), alcuni dei protagonisti di “Molecole
posano insieme al Direttore della Mostra del Cinema di Venezia, Alberto Barbera © La Biennale foto ASAC
Venezia inaugura Venezia. Nella serata di preapertura della 77. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica (2-12 settembre), è stato presentato in anteprima Molecole di Andrea Segre.

di Luca Ferrari

C'è chi l'ha vista in televisione e chi l'ha vissuta durante il lockdown. Venezia solitaria. Venezia senza masse turistiche. Una Venezia così nemmeno i "vecchi" l'avevano mai vis(su)ta. Alla serata di preapertura della 77. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia (2-12 settembre), è stato presentato in anteprima il documentario Molecole, del regista veneto Andrea Segre (Mare chiuso, La prima neve, Il pianeta in mare). Il ritratto di una città unica al mondo. Un lavoro non previsto, esattamente come tutto ciò che abbiamo visto accadere in questi mesi.

Il trailer di Molecole

Molecole (di Andrea Segre)
Molecole (di Andrea Segre)
Molecole (di Andrea Segre)
Molecole (di Andrea Segre)
Molecole (di Andrea Segre)
Il Direttore del Festival, Alberto Barbera, e il regista Andrea Segre © La Biennale foto ASAC
Venezia77 - Il regista Andrea Segre (al centro), alcuni dei protagonisti di “Molecole” 
© La Biennale foto ASAC
Molecole (di Andrea Segre)

domenica 23 agosto 2020

Gli Infedeli, la cultura italiana del tradimento

Gli infedeli - Massimiliano Gallo, Valerio Mastandrea e Riccardo Scamarcio
Nel 2020 abbiamo ancora bisogno di raccontare i patetici tradimenti macho-italiani? Gli Infedeli (2020, di Stefano Mordini) è di un'altra, mediocre, opinione.

di Luca Ferrari

Maschi spregiudicati e tronfi di testosterone. Intellettuali dell'imbroglio coniugale. Il tradimento? Fa parte della vita, e non c'è nulla di cui vergognarsi, anzi, semmai vantarsi. La donna? Ok, concediamole i diritti ma se alla fine se ne sta a casa magari anche a cucire (volgarmente la calzetta), va anche meglio, e alla fine dovrà essere lei ad adattarsi ai bollori maschili. Remake dell'omonimo francese con strombazzati riferimenti alla commedia di decenni fa, Gli Infedeli (2020, di Stefano Mordini) è un film inutile, ennesimo prodotto di una cultura che ha stancato e i cui esemplari del sesso maschile sono qualcosa di più e meglio di quattro egocentrici e sempre arrapati da qualunque essere femminile respiri.

Un uomo (Riccardo Scamarcio) si vanta di tradire la moglie di fronte agli amici. La moglie dell'altro (Valentina Cervi), prima difende la propria fedeltà coniugale, poi al rientro a casa inizia a stuzzicare il marito (Valerio Mastandrea) convinta che anche lui abbia ceduto almeno una volta all'altro sesso (non suo). Insiste, insiste fino che questi non confessa e quando lo ammette, inizia ad arrabbiarsi. Va in scena così il classico "gioco" dei rancori alla - io non ti ho mai amato - e quando piagnucoloso, l'ometto invoca perdono inginocchiato, che cosa fa lei, gli confessa il medesimo tradimento mettendo così in scena la tipica scenetta macho-italiana più patetica in stile: se ti cornifico io, basta chiedere scusa, se lo fai tu donna, è tutto diverso.

E' questo uno degli episodi di Gli Infedeli (2020, di Stefano Mordini), remake dell'omonimo film francese (2012), diretto quest'ultimo da sette registi diversi. La coppia è un diversivo nell'inevitabile mission impossible di restare a fianco del/la proprio/a consorte o compagno/a che sia. La coppia è solo un impiccio nel desiderio sfrenato di libertà. La coppia è un impegno che bisogna comunque soddisfare, un po' come andare dal dentista, salvo poi ingozzarsi delle peggiori schifezze a qualsiasi ora del giorno. La coppia nella cultura italiana è ancora qualcosa da rispettare e aggirare, ma forse neanche più di tanto in apparenza come si faceva nei decenni addietro. Oggi si è spregiudicati vicini o lontani.

Gli Infedeli (2020, di Stefano Mordini) vorrebbe essere un "simpatico" tributo a una certa commedia italiana degli anni Settanta, ma il risultato è un prodotto noioso (per non dire nauseabondo) fin dalle prima battute. Il peggio, per non dire il ridicolo più assoluto, arriva dopo. Nel siparietto a dir poco squallido dove il maschietto dice che va alla partita alla e al contrario paga per lavoretti di mano, si rasenta il patetico quando va a infilare delle rose nel buco alla "solo tu mi puoi "capire", mancando a quel punto che compaia il direttore del bordello interpretato da Alvaro Vitali. Ma ancor più pateticamente banale, la scenetta che vede un'inferocita moglie presa in giro (Laura Chiatti ), che nell'inseguire il marito porco, sulla strada viene superata da un camion che trasporta, udite udite, cornetti, con la scritta grande in bella vista.

Ma che problema ha l'Italia con la famiglia? Dopo essermi confrontato nei mesi scorsi con Figli (2020, di Giuseppe Bonito con Paola Cortellesi e Valerio Mastandrea) e in ultima A casa tutti bene (2018, di Gabriele Muccino con Favino-Accorsi-Impaciatore, etc.), è ora il turno di Gli Infedeli (2020), disponibile su Netflix. Un concentrato di medioevo culturale che non si comprende come si abbia ancora voglia di raccontare, nonostante le lancette dell'orologio faccia segnare anno 2020. Ma perché sorprendersi di un paese che alla prima occasione se la sghignazza sempre alla grande e di gran gusto con le miserie di Fantozzi?

Gli Infedeli (2020, di Stefano Mordini) non aggiunge nulla a quanto è già stato raccontato. In tempi in cui le donne rivendicano diritti e combattono per una parità che ancora manca nella stragrande maggioranza di apparati e nazioni, l'Italia racconta ancora una volta una storia che sembra strizzare l'occhio ai tempi in cui il delitto d'onore era legge in Italia. Un film che in quelle conversazioni da spacconi smartphonizzati si richiama agli yuppies anni Ottanta. Gli Infedeli (2020, di Stefano Mordini) racconta una storia che poteva fare benissimo a meno di non raccontare, concentrandosi magari su qualcosa di più aggiornato all'epoca che stiamo vivendo, e che chiede qualcosa di più di un superficiale vantarsi di tradire la propria moglie.

Il trailer de Gli infedeli

Gli infedeli - Valerio Mastandrea

venerdì 24 luglio 2020

Jude Law ai confini della realtà

Nightmare at 20,000 - Abby Elliott e Jude Law
Il terrore è lì, sull'ala dell'aereo. Il terrore è lì, implacabile alla mia porta. Lo sento che sta per arrivare, come un'orrida canzone dei Pearl Jam. Jude Law, almeno tu, so che mi potrai capire.

di Luca Ferrari

Da Ai confini della realtà alla fabbrica di risate del Saturday Night Live. Un viaggio apparentemente tranquillo si trasforma in un incubo a 20mila piedi senza possibilità di fuga e ciò che è peggio, senza che nessuno ti creda. E' quanto accade al buon Bon Wilson (qui interpretato da uno strepitoso Jude Law), alle prese con un inquietante gormit (Bobby Moynihan) che continua ad apparirgli nelle pose più assurde sull'alettone del velivolo, preparazione barbecue incluso. Invano la fidanzata (Abby Elliott) e le hostess cercano di calmarlo, ma quando insieme alla creatura appaiono degli autentici mostri (del rock), i Pearl Jam al gran completo, il troppo stroppa davvero.

Buona visione allora con Nightmare at 20,000 feet. Una domanda: ma voi il gormit lo vedete?

La versione integrale di Nightmare at 20,000 feet

Nightmare at 20,000 - Abby Elliott e Jude Law
Nightmare at 20,000 - il gremlin Bobby Moynihan 
Nightmare at 20,000 - Jude Law
Nightmare at 20,000 - il gremlin Bobby Moynihan e i Pearl Jam
Nightmare at 20,000 - Abby Elliott e Jude Law

venerdì 26 giugno 2020

The Last Dance, il destino di Michael Jordan

The Last Dance - il pubblico di Detroit sbeffeggia Michael Jordan
The Last Dance (2020, di Jason Hehir), serie di dieci puntate sul più grande cestista di tutti i tempi, Michael Jordan. His Airness, il più grande dei perdenti capace di cambiare il destino

di Luca Ferrai

Michael Jordan, il miglior giocatore della NBA, per tre anni consecutivi fu rimandato a casa dai fisici Detroit Pistons di Thomas, Rodman e Laimbeer. Jordan le provò tutte ma non ci fu niente da fare. Poteva anche essere l'erede dei "bravi e belli" Magic Johnson e Larry Bird ma sul campo erano i Bad Boys Detroit Pistons a dettare legge. Su Netflix è sbarcata la serie The Last Dance (2020, di Jason Hehir). Dei tanti episodi narrati, la sfida per superare l'ostacolo Pistons è senza dubbio l'emblema del più grande cestista di tutti i tempi.

Michael Jordan non voleva solo vincere. Michael Jordan non si accontentava di vincere. Per lui era inconcepibile che altri venissero messi al suo stesso livello senza meritarlo. E chi osava tanto, doveva essere spazzato via. Fu il caso di Clyde "The Glide" Drexler, arrivato alla finale NBA 1992 con i suoi Portland Blazers, e schiacciato fin dalla prima partita con un Jordan deciso a dire al mondo che lui era di un livello superiore. Ogni gara, ogni finale fu una motivazione differente. Dall'agognato primo titolo strappato ai Lakers fino all'ultima sfida contro gli Utah Jazz di Stockton e Malone, quest'ultimo "colpevole" di avergli rubato il titolo di MVP nella Regular Season 1996-97, così come accadde anche al vulcanico Charles Barkley nel 1992-93 con i Phoenix Suns, e poi piegati dai Bulls in finale.

Jordan schiacciasassi per se stesso e per il fido compagno Scottie Pippen, cresciuto al suo fianco, e difeso a spada tratta contro il capace manager Jerry Krause, che voleva portare a Chicago il cestista croato Tony Kukoc. Alla prima sfida contro la neonata Croazia alle Olimpiadi di Barcellona '92, tutto il Dream Team e in particolare Jordan-Pippen, non lo fece arrivare a canestro. Jordan e il rapporto con l'amato coach Phil Jackson, il cui destino e permanenza nei Chicago Bulls andarono di pari passo. Ma queste sono storie che tutti conosciamo. Questo è il Jordan dominatore. Ampio spazio nell'avvincente The Last Dance anche per Dennis Rodman. Tanto border line nella vita privata, quanto ligio e decisivo a fianco di His Airness.

Due puntate uscite a scadenza settimanale, ogni lunedì. Un racconto avvincente per chi conosce il campione e chi no. A tenere separato il fuoriclasse dalla leggenda, loro i Detroit Pistons. Dopo la bruciante sconfitta in gara 7 nella finale di Eastern Conference nel 1990, era tempo di cambiare a cominciare da se stesso. Jordan iniziò un allenamento anche muscolare, capace di metterlo nelle condizioni di resistere e soprattutto rispondere ai colpi dei Pistons. Le famose "regole Jordan" fino a ora avevano funzionato ma quando i Bulls si presentarono nella nuova finale con i bi-campioni (consecutivi) di Detroit l'anno successivo, la storia cambiò perché un uomo piegò il destino al proprio volere.

Ecco allora i Pistons uscire dal campo addirittura prima della fine della partita senza nemmeno stringergli la mano sotto lo sguardo "inorridito" di Michael. Ecco, è lì che la storia di Michael Jordan diventa cinema. E' in quella serie che Michael Jordan diventò una star della settima arte (mondo nel quale comunque lasciò il segno nel divertente Space Jam insieme ai Looney Tunes). Molto più del suo incredibile e trionfale ritorno dopo la parentesi "esistenziale" nel baseball, è nella sfida con chi lo aveva sempre battuto che Michael Jordan iniziò davvero a volare.

The Last Dance, il trailer

The Last Dance - Michael Jordan