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venerdì 18 gennaio 2019

Saoirse Ronan regina di Scozia

Maria regina di Scozia - la monarca scozzese Maria Stuart (Saoirse Ronan)
Due donne. Due cugine. Due nazioni vicine. In un mondo dominato da uomini e sotterfugi, due regine provarono a riscrivere la Storia. Maria regina di Scozia (2018, di Josie Rourke).

di Luca Ferrari

Elisabetta Tudor d'Inghilterra e Maria Stuart di Scozia. Nel XVI secolo, dopo la riforma di Enrico VIII e lo strappo col Papato, l'antica terra di Albione ha due regine. Protestante la prima, cattolica la seconda. Entrambe hanno sangue reale nelle vene. Elisabetta e Maria sono cugine. Maria ed Elisabetta sono amiche. Rivali. Sorelle. Due donne al comando supremo di due nazioni in un'epoca dove l'uomo ordiva e tramava. Due donne protagoniste in un mondo che le vuole l'una contro l'altra. Tratto dal libro biografico "Queen of Scots: The True Life of Mary Stuart" di John Guy, è uscito sul grande schermo Maria regina di Scozia (2018, di Josie Rourke).

Maria Stuart (Saoirse Ronan) è la regina di Francia. Due anni dopo le nozze con Luigi XII di Francia, il suo consorte spira il suo ultimo respiri. Potrebbe rimanere lì, accettando la corte di principi di mezza Europa. Lei però ha deciso. Farà ritorno nella natia Scozia. L'Inghilterra però ha già la sua regina, Elisabetta Tudor (Margot Robbie). A complicare le cose, la religione. Una è cattolica e l'altra è protestante. Gli equilibri potrebbero saltare ma allo stesso tempo però, due donne e per di più parenti, potrebbero trovare la strada per un'insolita quanto anomala alleanza. Al contrario i consiglieri sembrano volere tutt'altro, in particolare il fidato William Cecil (Guy Pearce) che vede in Maria solo una minaccia per la monarca stessa e l'Inghilterra protestante.

La diplomazia fa il suo corso. Per Elisabetta c'è un problema di eredi e mariti che non ha né vuole avere. Maria appare più propensa e convola a nozze con Lord Darnley (Jack Lowden), inglese, come aveva richiesto la stessa regina Tudor. Alla corte della donna però, l'ambiguo fratellastro James Stewart (James McArdle) non sembra gradire troppo il panorama che si è andato a creare, cosa condivisa anche alla parte più estrema scozzese che vede nell'essere femminile la rovina della nazione. Fortuna che a fianco di Maria ci sia Lord James Hepburn (Martin Compston), sempre pronto a schierarsi in sua difesa, sommosse incluse, almeno fino a quanto non scoprirà di poter ottenere di più dal vicinanza reale.

C'è tanta sofferenza nella vita di queste due donne, nemiche loro malgrado, e forse più vicine di quello che le parti in causa vorrebbero far credere. In gran segreto arriva l'atteso e quanto mai audace momento di un faccia a faccia (non documentato storicamente, ndr). Le due regine sono vicine e separate. Metafora perfetta delle loro rapporto fino a quel momento fatto di lettere e bisbiglii. Ora sono l'una davanti all'altra. Ignari, i popoli aspettano. Una regina chiede un gesto coraggioso. Una regina risponde con un altro tipo di offerta. Troppo sangue è già stato versato ed è ancora in ballo, e alla fine com'è noto, una testa verrà fatta cadere e l'altra manterrà salda la corona. 

Maria regina di Scozia (2018, di Josie Rourke) è un film importante a cominciare dalla presenza di due delle migliori attici in circolazione. Reduce dalla formidabile performance in Tonya, la cui interpretazione avrebbe meritato qualcosa di più di semplici nomination, Margot Robbie (The Wolf of Wall StreetLa grande scommessaSuicide Squad) alterna passioni represse e la maschera di una Lady che deve anteporre lo Stato a qualsiasi emozione, anche la più elementare. Sempre più lanciata Saoirse Ronan. Fattasi conoscere al grande pubblico fin da giovanissima con Hannah (2011) e Grand Budapest Hotel (2014 di Wes Anderson), si è definitivamente consacrata con Brooklyn (2015), il recente e poetico Lady Bird (2017 di Greta Gerwig) e Chesil Beach - Il segreto di una notte (2018).

La monarca scozzese da lei incarnata è un trionfo di fermezza, passionalità e dolcezza, il tutto ben incarnato dalla lunga chioma rossa, alle volte rigida e impeccabile, e in altre morbida e libertina. E' una donna sola, e sa bene di esserlo, forse anche più della cugina che almeno qualche consigliere leale ce lo ha per davvero. Ha contro tutti, famiglie passata e presente incluse. Le sono fedeli sono le ancelle giunte con lei dalla Francia e l'effeminato cantastorie italiano, poi nominato anche segretario privato, Davide Rizzio (Ismael Cruz Córdova). Maria lotta per cambiare un copione che sembra già scritto, ma è sola. Metafora di un mondo femminile ancora oggi, nel XXI secolo, troppo chiuso dalle maglie di una cultura distorta e di stampo maschilista.

Distribuito da Universal Pictures e prodotto da Focus Features, la pellicola, in questi giorni in moltissime sale italiane, incluso il Multisala Rossini di Venezia, è ora attesa dalle sfide dei premi ufficiali. In attesa dell'annuncio delle cinquine agli Oscar, Margot Robbie è candidata come Migliore attrice non protagonista agli AACTA International Awards, i BAFTA - British Academy Film AwardsSatellite Award e Screen Actors Guild Award. Non poche perplessità sull'assenza di Saoirse Ronan. Ancor più che nel sopracitato Lady Bird, non a caso vincitrice del Golden Globe e candidata agli Academy come Miglior attrice protagonista, la giovane attrice newyorchese classe '94 ha dato ulteriore prova di essere una grandissima artista, regalando a Maria di Scozia una tale forza e incisività da far impallidire anche la l'Elizabeth guerriera Blanchettiana.

Fino a oggi poi, il grande schermo ci aveva  abituato a mostrarci Elisabetta come un po' quella dalla parte del giusto e sempre la più forte. Qui la prospettiva è differente, e la telecamera si sofferma sulla vicenda della monarca scozzese, mostrando una Elisabetta fragile e dubbiosa, non di meno gelosa della forza e dell'aspetto della cugina scozzese. Merito dell'ottima riuscita della pellicola va dato alla regista, la britannica Josie Rourke, alla sua prima incursione sul grande schermo ma con una lunga e solida carriera nel mondo teatrale. Al suo fianco, il navigato sceneggiatore Beau Willimon, esperto di intrighi del potere, vedi la sua mano dietro Le idi di marzo (2011, di George Clooney) e la serie House of Cards.

Maria regina di Scozia (2018, di Josie Rourke) va ben oltre la storia antica, uscito l'indomani della bocciatura della Brexit da parte del Parlamento e la momentanea conferma di Theresa May come Primo Ministro. Giorno dopo giorno il Regno Unito, di cui fanno parte Inghilterra e Scozia, si trova a un bivio cruciale della propria Storia. Come ai tempi delle vicende di Elisabetta e Maria, al timone di comando c'è una donna. Come allora, Inghilterra e Scozia hanno una visione in parte simile e in parte differente. Oggi come allora, ai tempi di Maria regina di Scozia, le decisioni da prendere potrebbero segnare (e segneranno) per sempre il destino di milioni di persone al di qua e aldilà della Manica.

Il trailer di Maria regina di Scozia

Maria regina di Scozia - Elisabetta Tudor d'Inghilterra (Margot Robbie)
Maria regina di Scozia - il consorte reale Lord Darnley (Jack Lowden),
Maria Stuart di Scozia (Saoirse Ronan) e il fratellastro James Stewart (James McArdle)

martedì 15 gennaio 2019

Wikipedia - The Tourist non è girato a Venezia

The Tourist - Angelina Jolie e Johnny Depp a Venezia e sul Canal Grande
Secondo l'enciclopedia online Wikipedia, The Tourist non è un film girato a Venezia. Un po' difficile da credere. E non è l'unico esempio di errore madornale. Ma dove sono i controlli?

di Luca Ferrari

Si, avete letto proprio bene. Secondo l'eminente enciclopedia online Wikipedia, nella categoria "Film girati a Venezia", non risulta The Tourist (2010, di Florian Henckel von Donnersmarck) così come nemmeno Youth - La giovinezza (2015), quest'ultimo diretto a Paolo Sorrentino e in laguna in questi giorni per le riprese della serie televisiva The New Pope. Ma se per il regista Premio Oscar l'errore, anche se madornale (scena iniziale girata a Piazza San Marco), potrebbe anche considerarsi una "svista", è a dir poco imperdonabile l'assenza della pellicola con protagonisti Angelina Jolie e Johnny Depp, in quanto girato quasi integralmente sull'isola della Serenissima. Ora la domanda: ma chi scrive su Wikipedia?

Il web è la terra di tutti. Al giorno d'oggi qualsiasi analfabeta può creare un blog e spacciarlo per chissà quale cornucopia di verità, pompandolo poi sui social network e diventando un influencer senza nessuna qualifica di scrittura e sull'argomento trattato. Questa d'altronde è l'epoca dove chiunque in rete è medico, architetto, ingegnere e ovviamente maestro di vita. Non appartenendo poi a nessun Ordine, non rischia alcuna sanzione dunque può spacciare pollo arrosto per colonne corinzie. Sarebbe utile a questo punto, che lo scriba specificasse quale scuola ha frequentato e dove ha lavorato/sta lavorando per poter giustificare il suo sito e dunque capire se i contenuti che si decideranno o meno di leggere, abbiano una base di professionalità o siano solo frutto di opinioni personali.

Nel caso in esame poi, l'aspetto paradossale di Wikipedia è che il corrispettivo inglese della suddetta pagina, Films shot in Venice, presenta entrambe le pellicole, dimenticandosi però di un altro e recentissimo film girato integralmente tra i sestieri della Repubblica Marinara, la brillante commedia Pitza e datteri (2015, di Faribor Kamkari), con protagonista un travolgente Giuseppe Battiston; stesso destino per la pagina francese Film tourné à Venise. Ora la domanda sorge spontanea: ma è possibile che non ci sia un minimo di controllo? In quanto giornalista (attivo sul fronte dai media dal 2002 e regolarmente iscritto all'Ordine dal 2009, ndr), se io dovessi scrivere un articolo sui film girati a Venezia e dimenticassi le tre opere in questione, il mio caporedattore mi suggerirebbe (a ragione) di cambiare mestiere.

Nessuno ci obbliga a leggere Wikipedia, è indubbio, ma bisogna rendersi conto che questa enciclopedia è visitata ogni giorno da migliaia di persone e ci vorrebbe un'Autorità che tutelasse i suddetti. Con tutto il rispetto per la settima arte, il cinema è di sicuro uno dei problemi minori su questo fronte. Sempre più spesso emeriti ciarlatani giocano con le vite altrui sproloquiando di qualsiasi argomento, malattie & vaccini inclusi, senza averne basi e competenze. Se cominciamo a negare che The Tourist (2010, di Florian Henckel von Donnersmarck) sia stato girato a Venezia, allora, guardate domani apro un blog di fisica e scrivo che Einstein è un cialtrone e la sua formula per la relatività è in realtà un'ottima trappola per le pantegane.

Un servizio durante le riprese veneziane di The Tourist

Screenshot della pagina italiana "Film girati a Venezia" di Wikipedia 
The Tourist - Angelina Jolie a bordo di un motoscafo sul Canal Grande, a Venezia

venerdì 11 gennaio 2019

Benvenuti a Marwen - Io sono vivo

Benvenuti a Marwen - Mark (Steve Carell) sostenuto da
"La vita che avevo mi è stata portata via, adesso però sono qui. Ho speranza. Ho le mie amiche che mi coprono le spalle. Io ce la farò". Benvenuti a Marwen (2018, di Robert Zemeckis).

di Luca Ferrari

Una mano sulla spalla. Un abbraccio. Una sincera promessa di restarti accanto nella difficoltà. Un sentimento battagliero e deciso. Il dire, "Io ti guardo le spalle". Comincio da qui. Parto da questa immagine per addentrarmi nell'incubo (reale) di un uomo che è anche quello di moltissimi di noi. Un incubo che per molti è stata la fine e per altri una morte interiore che li ha spinti a dover ricominciare nel silenzio abbandonato delle proprie macerie. La realtà comune di una vita che d'improvviso è mutata per sempre. Basato sulla vita e i lavori dell'artista-fotografo Mark Hogancamp, è uscito sul grande schermo il toccante Benvenuti a Marwen (2018, di Robert Zemeckis).

Mark Hogancamp (Steve Carell) era un brillante fumettista. Un bicchierino di troppo lo porta a rispondere in sincera onestà a cinque balordi che spinti dall'odio, lo aggrediscono alle spalle e senza pietà. Lo picchiano pesante prendendolo a calci alla testa ripetendogli nel furore vigliacco e più volgarmente testosteronico, l'appellativo di checca. Mark giace a terra più morto che vivo e col tempo, attraverso una dura riabilitazione fisica, riprende a camminare. A causa dei colpi subiti alla tempia però, ha perso tutti i suoi ricordi antecedenti all'aggressione. La sua psiche risulta compromessa. Ha incubi. Si rifugia allora nella fotografia, creando un mondo fittizio fatto di bambole dove il suo alterego affronta i nazisti ed è sempre aiutato dalle cinque indomite donne armate di tutto punto.

Per le sue amiche, Mark s'ispira alla sua vita reale. C'è la fisioterapista Julie (Janelle Monae), l'infermiera Anna (Gwendoline Christie), l'attrice Suzette (Leslie Zemeckis), la collega di lavoro Caralala (Eiza González), la negoziante Roberta (Merritt Wever) e in ultima, la sua nuova vicina di casa, Nicol (Leslie Mann). Mark viene sempre ferito dai nemici, alle volte torturato ma alla fine vengono sempre uccisi, eppure tornano in vita. C'è anche un'altra donna, in effetti. La cosiddetta strega belga Deja Thoris (Diane Kruger). Dice di amare Mark ma allo stesso tempo uccide chiunque gli si avvicini troppo.

Mark è un uomo traumatizzato. Si è costruito una dimensione parallela. Esce di casa il giusto necessario e ogni volta che il suo avvocato gli parla di processo e di condanna dei suoi aggressori, lui rimanda o fugge via. S'imbottisce di pastiglie. Evita di confrontarsi con quel lacerante dolore che lo porterebbe far ricominciare a vivere. Allo stesso tempo però, le sue foto di questo villaggio (belga) chiamato appunto Marwen, e ambientato nella II Guerra Mondiale, stanno avendo successo e stanno per essere esposte a New York. Per ricominciare a vivere però, occorre fare quel passo per certi versi inimmaginabile. Bisogna prendere il proprio trauma, guardarlo diritto negli occhi e voltare pagina una volta per tutte. 

Benvenuti a Marwen (2018, di Robert Zemeckis) non è un film facile. A dispetto del regista arcinoto e l'attore protagonista, non sarà mai una pellicola commerciale. Un plauso al Circuito Cinema di Venezia Mestre che ha scelto di collocarlo nella sua sala (1) a maggior capienza, al cinema Rossini. Una scelta decisamente controcorrente visto che avrebbe potuto piazzarvi i più popolari e probabilmente redditizi, Non ci resta che il crimine con Marco Giallini, Edoardo Leo e Alessandro Gassmann, o anche Vice - L'uomo nell'ombra di Adam McKay, sulla controversa figura del politico americano Dick Cheney, qui interpretato da Christian Bale (fresco di Golden Globe per la suddetta performance). Film che vede protagonisti anche Amy Adams, Sam Rockwell e di nuovo Steve Carell. Il pubblico però ha subito iniziato a rispondere, a cominciare dalla nota attrice Ottavia Piccolo.

Con l'avvicinarsi delle cerimonie dei vari Globe, BAFTA e Oscar, si parla spesso di attori e attrici che non hanno mai vinto il tal premio e quando ciò avviene, in pochi menzionano un "mostro di trasformismo" come è Steve Carell, qui all'ennesima prova superlativa  Dal laido anchorman di Una settimana da Dio al fianco di Jim Carrey ai pluripremiati 40 anni vergine, il cult Litte Miss Sunshine e la serie The Office (remake dell'omonimo britannico) dove interpreta l'incompetente capoufficio Michael Scott. Un radicale cambio di pelle, ed eccolo sadico trainer in Foxcatcher - Una storia americana (al momento l'unica nomination agli Academy ricevuta), quindi un'incursione Alleniana (Woody, ndr) in Cafè Society (2016) e l'ancor più recente e inedito qui in Italia, Last Flag Flying (2017) insieme a Bryan Cranston e Laurence Fishburne.

Negli ultimi anni poi, Carell è stato un pacato psicologo specializzato nel lenire i dolori di coppia dinnanzi a Meryl Streep e Tommy Lee Jones ne Il matrimonio che vorrei (2012). Qualche anno dopo, eccolo sprizzare entusiasmo nei panni di un combattivo ebreo omosessuale nel commovente Freeheld – Amore, giustizia, uguaglianza (2015, di Peter Sollett con Julianne Moore, Ellen Page e Michael Shannon). E' lui il broker incazzato Mark Baum deciso a fare piazza pulita della merda di Wall Street nel grandioso La grande scommessa (2015, di Adam McKay) e infine presta misoginia e basettoni all'ex-numero 1 del mondo del tennis mondiale Bobby Riggs, oggi, incallito scommettitore ne La battaglia dei sessi (2017) contro Emma Stone/Billy Jean King.

Benvenuti a Marwen (2018, di Robert Zemeckis) scorre su due binari paralleli, disfunzionali e perpendicolari nello steso istante: la sofferenza e l'arte come cura per le proprie ferite. Fare arte però, che si tratti di foto, poesie o che altro, significa vivere, rivivere e vivere ancora i propri demoni peggiori senza venirne mai davvero fuori. Un lenitivo si, ma allo stesso tempo un costante richiamo alle proprie e peggiori sofferenze. E se in parte Mark trova soddisfazione nell'essere aiutato a farsi giustizia, allo stesso tempo precipita con facilità nella melma della propria fragilità. E vivere troppo fuori dalla vita reale, alla fine ti porta a essere ancora più debole e non poter resistere dinnanzi a quelle persone, anche se incarcerate, nemmeno per un secondo.

E' colpa mia, arriva a dire uno sconsolato Mark. Le stesse parole che prima o poi si dice anche l'adolescente bullizzato o la donna stuprata. Ci si prende la colpa di tutto ciò che è accaduto. Ci si prende la colpa per non essere stati in grado di difendersi, o nel caso di Hogancamp, di aver ammesso la sua passione per le scarpe da donna a quegli uomini e dunque aver fornito loro il pretesto per fargli del male. E' colpa mia, dice un Mark in lacrime, alla disperata ricerca di una via d'uscita che alla fine può e dovrà essere una e una unica. Quella più difficile. Quella che gli permetterà di mandare giù fino all'ultima goccia di veleno, e ricominciare da un normale sushi in amichevole compagnia.

Non c'è solo arte e l'ottima resa cinematografica umano-fantastica in Benvenuti a MarwenRobert Zemeckis racconta una storia universale fatta di agnelli e animali rabbiosi. Chiunque abbia subito violenza, fisica e/o psicologica, non dimentica e non dimenticherà mai. La sensazione di abuso scortica la mente come un virus impazzito e senza cura, pronto a riemergere costante e improvviso in tutto il suo più atroce tormento. Talvolta è sufficiente una parola. Un nome, o perfino una persona che ti viene sbattuta sotto il naso da chi avrebbe dovuto proteggerti, come se niente fosse, e in un amen si rivede tutto. Si rivive il dolore. L'umiliazione. Le risate di scherno. Ad accentuare queste sensazioni, la solitudine. Il sentirsi completamente e inesorabilmente in balia dell'oscurità.

Dal dolore non c'è rifugio, solo confronto. Si può perdere o vivere. Qualche giorno fa è stato l'anniversario della drammatica morte di un ragazzo. Era l'8 gennaio 1991 quando un adolescente, bullizzato e ignorato dalla propria famiglia, entrò nella propria classe e si sparò un colpo alla testa, suicidandosi. La sua tragica storia è stata consegnata all'immortalità dai Pearl Jam con la canzone Jeremy. Quel ragazzino non ha avuto nessuno che lo avesse difeso. Quel ragazzino, lui come tantissimi altri coetanei e più grandi, si è fatto inghiottire dal silenzio dell'ignoto senza ritorno. Jeremy W. Delle non è riuscito a costruire la propria Marwen e ritrovare una strada alternativa per ricominciare a vivere.

"Jeremy ha parlato in classe oggi", cantava la rock band americana la cui storia è stata portata sul grande schermo dal regista premio Oscar, Cameron Crowe, nell'intenso documentario Pearl Jam Twenty (2011). Forse Jeremy avrebbe voluto parlare di più e confidarsi ma nessuno lo volle ascoltare. Nessuno volle capire l'incubo che stava vivendo e così oggi lui non c'è più. Jeremy e Mark, due come noi. Potrebbero essere seduti accanto a noi. Taciturni. Chi è la persona seduta accanto a te? Sarà anche lui/lei un Mark Hogancamp? Dovrebbe avere delle cicatrici. Magari ne ha più di una. Forse la persona che ora mi sta guardando negli occhi ha subito qualcosa ed è tempo che il mondo inizi a (ri)conoscerlo e ascoltarlo.

Scritto e sceneggiato dalla medesima mente sopraffina, Robert Zemeckis è tornato a unire attori in carne e ossa con l'elemento fantastico, qualcosa di cui il suo cinema grandioso non può (quasi) mai prescindere. Dall'ormai mitica trilogia di Ritorno al futuro al grandioso Chi ha incastrato Roger Rabbit, passando per gli altrettanto leggendari La morte ti fa bella e Forrest Gump, fino a sbarcare nell'animazione più pura e natalizia di Polar Express (2004) e A Christmas Carol (2009), ritornando poi alla cronaca di Flight (2012), The Walk (2015) e Allied - Una spia nascosta (2016). Adesso è però è tempo di una nuova storia.

Benvenuti a Marwen (2018) ci parla anche del diverso. Il diverso come viene visto l'omosessuale, l'immigrato, il musulmano, la donna in un posto di lavoro a maggioranza maschile o anche e più semplicemente, chi non si comporta come il gregge. Il diverso va eliminato. Il diverso deve essere punito. Non importa cosa sia, in cosa creda, come si vesta, cosa gli piaccia. Deve soccombere. Deve arretrare. Deve conformarsi, con le buone o con le cattive. Con una storia vera e d'innocente riscatto, Robert Zemeckis utilizza tutta la propria ars e poetica cinematografica per imprimere nella sua narrazione il dolore umano della realtà, investendo lo spettatore di riflessioni e combattiva speranza.

Adesso basta con le lacrime. Adesso è tempo di farsi dare il benvenuto a Marwen, guardare in faccia i nostri assassini e dire al mondo intero un'ultima cosa prima di ricominciare davvero: Io sono vivo!


Il trailer di Benvenuti a Marwen

Benvenuti a Marwen - Mark Hogancamp (Steve Carell)
Venezia - Cinema  Rossini, critico cinematografico in azione © Luca Ferrari
Benvenuti a Marwen - Arrivano i nostri!

giovedì 10 gennaio 2019

Giù le mani da Ghostbusters (2016)

Ghostbusters - le acchiappafantasmi sono pronte ad entrare in azione: Abby (Melissa McCarty),
Erin (Kristen Wiig), Patty (Leslie Jones) e Holtzmann (Kate McKinnon)
Massacrato ancor prima che uscisse. Il suo trailer? Uno dei video su Youtube col maggior numero di dislike. Ma fa davvero così schifo Ghostbusters (2016, di Paul Feig)? Io dico di no.

di Luca Ferrari

Un film (fin) troppo criticato puzza sempre di fregata al contrario. Magari non resterà negli annali della settima arte ma poi scopri che la gente che lo massacra senza pietà sono gli stessi che inneggiano ai cinecomic di qualità pessima, continuano a ridere sulle miserie di Fantozzi e sparano giudizi eruditi senza averne manco le competenze. E c'è pure chi lo fa senza averlo visto, esattamente come accade per i film di Gabriele Muccino o il Daredevil con Ben Affleck e Jennifer Garner. La logica del "siccome lo dicono in tanti, lo dico anche io" trionfa. E' questo il caso di Ghostbusters (2016, di Paul Feig), uno dei film più demoliti della storia della settima arte.

Ghostbusters (2016, di Paul Fieg) è un film da sufficienza. Nulla di trascendentale. Ti fai pure qualche risatina. Lontano anni luce dall'essere un capolavoro, ma neanche così inguardabile come vorrebbe far credere la critica dei nerd da popcorn. Già diretta da Fieg in Le amiche della sposa, Corpi da reato e il cazzutissimo Spy, Melissa McCarthy è Abby Yates, scienziata esiliata e da tempo in rotta con l'amica Erin Gilbert (Kristen Wiig), oggi lanciata verso la carriera universitaria e improvvisamente stoppata da una comune pubblicazione.

Al fianco di Erin c'è da tempo ormai la genialoide Holtzmann (Kate McKinnon). Il terzetto diventa un quartetto con l'arrivo (casuale) di Patty Tolan (Leslie Jones). Ma per cominciare l'attività di acchiappafantasmi è necessario coordinare gli appuntamenti. Per il posto di segretario dunque, ecco farsi avanti l'aitante e imbranato Kevin Beckham a cui presta muscoli e idiozia, il dio del tuono Avengeriano, Chris Hemsworth.

Ma qual è la grande colpa del Ghostbusterss di Paul Fieg? Essere un remake di un cult degli anni Ottanta che ha fatto epoca, Ghostbusters - Acchiappafantasmi (1984, di Ivan Reitman) ma di cui, stranamente, tre degli originali protagonisti hanno tutti accettato di buon grado di partecipare a questo nuovo film. I loro nomi? Bill Murray, Ernie Hudson e Dan Aykroyd. A memoria non mi risulta che Keanu Reeves abbia partecipato a quella mostruosità che è il remake del cult anni '90 Point Break, o Arnold Schwarzenegger sia di nuovo sceso in campo per rifare Total Recall al fianco di Colin Farrell. Film questi due, neanche lontanamente massacrati come è accaduto al Ghostbusters versione femminile.

Uno strano destino, davvero, quello di Ghostbusterss di Paul Fieg. Un destino che non lo accomuna a prodotti scadenti di nuova generazione e riportati a nuova vita nel terzo millennio, ma al contrario incensati come opere cult. Su tutti, Mad Max - Fury Road diretto dallo stesso George Miller (in crisi), che ha ripreso la sua storia meglio riuscita e l'ha inzuppata di femmine ed effetti speciali. A dir poco insignificante poi, la versione "moderna" di Assassinio sull'Orient Express di Kenneth Branagh. Un film che non dice né aggiunge nulla al capolavoro degli anni Settanta. Non entro neanche nel merito dell'ex-colossal Ben-Hur. Tutti remake. Tutti film che si potevano evitare eppure neanche lontanamente bistrattati come Ghostbusterss di Paul Fieg. 

Il trailer di Ghostbusters (2016)

Ghostbusters - le acchiappafantasmi in azione: Abby (Melissa McCarty), Erin (Kristen Wiig),
Holtzmann (
Kate McKinnon) e Patty (Leslie Jones)

domenica 6 gennaio 2019

La notte dei Golden Globe 2019

And the Golden Globe goes to...
La 76° edizione dei Golden Globe è arrivata. I premi del cinema e della televisione saranno assegnati questa notte in California. In attesa dei vincitori, cineluk li assegna già.

di Luca Ferrari

Ci siamo. Il primo grande appuntamento dei riconoscimenti della settima arte comincia coi Golden Globe. Come spesso feci già in passato, in attesa dei classici ... and the winner is, cineluk - il cinema come non lo avete mai letto si piazza al posto delle giuria e li assegna lui i globi d'oro. Non avendo una conoscenza approfondita per la televisione, mi limiterò a fare questo "sporco lavoro" solo per la settima arte, e pertanto ecco qua. Più tardi poi, pubblicheremo anche i nomi degli effettivi votati dalla Hollywood Foreign Press Association. E così...
  • Miglior film drammatico: BlacKkKlansman, regia di Spike Lee
  • Miglior film commedia o musicale: Il ritorno di Mary Poppins, regia di Rob Marshall
  • Miglior film straniero: Un affare di famiglia (di Hirokazu Kore'eda), Giappon
  • Miglior film d'animazione Gli Incredibili 2, regia di Brad Bird
  • Miglior regista: Adam McKayVice - L'uomo nell'ombra
  • Migliore sceneggiatura: Deborah Davis e Tony McNamaraLa favorita 
  • Migliore attrice in un film drammatico: Rosamund Pike A Private War
  • Migliore attore in un film drammatico: Willem Dafoe – Van Gogh - Sulla soglia dell'eternità
  • Migliore attrice in un film commedia o musicale: Emily Blunt Il ritorno di Mary Poppins
  • Migliore attore in un film commedia o musicale: John C. ReillyStanlio & Ollio
  • Migliore attrice non protagonista: Claire FoyFirst Man - Il primo uomo 
  • Migliore attore non protagonista: Adam DriverBlacKkKlansman
  • Migliore colonna sonora originale: Marc Shaiman, Scott WittmanIl ritorno di Mary Poppins
  • Migliore canzone originale: Shallow A Star Is Born

Una sola nota. Spero vivamente non vinca Lady Gaga per la sua performance autobiografica nel tanto decantato remake, A Star Is Born. Arrivederci a stanotte con l'assegnazione dei Golden Globe 2019.

...

E la notte dei Golden Globe è passata. Il ritorno di Mary Poppins e BlackKklansman sono rimasti a bocca asciutta. Indiscussi trionfatori della serata, Green Book (Miglior film commedia o musicale, Migliore attore non protagonista, Migliore sceneggiatura), Bohemian Rhapsody (Miglior film drammatico, Migliore attore in un film drammatico) e Roma (Miglior regista, Miglior film straniero). Trionfi per Christian Bale (Vice - L'uomo nell'ombra, Migliore attore in un film drammatico o musicale) e Glenn Close (The Wife, Migliore attrice in un film drammatico).

Bocciatura sonora per A Star Is Born, che a dispetto delle 5 nomination ha saputo solo conquistare solo la Miglior canzone. Come sempre Miss Germanotta ha fatto parlare più del suo look che per altro.

Emily Blunt in Il ritorno di Mary Poppins 
John C. Reilly in Stanlio e Ollio
Claire Foy in First Man - Il primo uomo

sabato 5 gennaio 2019

Creed II, voglio riscrivere la storia

Creed II - Adonis Creed (Michael B. Jordan) a viso aperto contro Viktor Drago (Florian Munteanu)
"Ripresa dopo ripresa impari a conoscerti meglio e quando sono salito su quel ring, non era solo per me". Ogni grande sfida è una scelta. Creed II (2018, di Steven Caple Jr.).

di Luca Ferrari

Il momento è arrivato. Il momento di riscrivere la storia. Il nemico è davanti a te, a me. I nostri demoni. Le nostre paure. E' tutto qui. Il mio nome scritto bene in vista. Il cuore pronto anche a sospendere le operazioni prima di rialzarsi. Mi hai voluto e sono dinnanzi a te. Ho lasciato tracce del mio sangue ferito e adesso l'arena è pronta. Non userò metamorfosi. Non userò scale antincendio. Non farò del mio nome nascosto un'arma per rimandare a un imprecisato domani. Ho in testa ogni tua singola parola. Adesso sono finalmente pronto per riscrivere la storia. Creed II (di Steven Caple Jr.) non sarà mai un semplice film.

Sono arrivato a questo punto della mia vita e lo avevo capito da un pezzo. Il pugno rimbalza sull'altro. Secondo dopo secondo. Il tempo delle scelte riguarda un'epoca che il mondo d'ora in avanti non potrà più ignorare. Il tempo delle scelte è intriso di quell'assordante complicità che il mondo ha voluto riempirsi fino a negarne la stessa esistenza. Sono morto e sono tornato. Sono tornato e non morirò mai più. Quale che sia l'odio che grava nella tua mente, non hai idea di quale fine io stia parlando. Non ho mai davvero saputo per cosa stavo combattendo fino a quando non ho pensato non ci fosse più un vero domani. Adesso l'ho capito. Adesso tocca a noi.

Il nuovo trailer di Creed II

Creed II - Ivan Drago () e il possente figlio Viktor ()

venerdì 4 gennaio 2019

Paola Cortellesi, la "mignotta" viene tutto l'anno

L'attrice Paola Cortellesi parla della donna sul palco dei David di Donatello
La violenza sulle donne comincia dalle parole. Ma si, dai. Cosa vuoi che sia. Il problema semmai sarebbe se a codeste seguissero pensieri e azioni. La "parola" allora, a Paola Cortellesi.

di Luca Ferrari

"Buonasera, questa sera ho un piccolo elenco di parole preziose. E' impressionante vedere come nella nostra lingua alcuni termini che al maschile hanno il loro legittimo significato, se declinati al femminile, assumono improvvisamente un altro senso. Cambiano radicalmente. Diventano un luogo comune. Un luogo comune un po' equivoco. Che poi, a guardar bene, è sempre lo stesso. Ovvero, un lieve ammiccamento alla prostituzione". Iniziava così il monologo di Paola Cortellesi al galà dei David di Donatello. Un discorso intelligente che fa cultura. Un tipo di cultura sempre più morente. La cultura del rispetto della persona, della donna in questo caso. Ed è da qui che voglio iniziare il 2019 di cineluk - il cinema come non lo avete mai letto.

Il primo articolo del 2019 non è una recensione né un fatto di cronaca recente. Perché allora? Ve lo spiego subito. Lo avevo promesso a un'amica e così ho fatto. Mi era sfuggito questo discorso dell'attrice romana. E' stata la condivisione del video di questa mia amica su Facebook che mi ha permesso di scoprirlo e dunque di poterlo poi raccontare e analizzare. Fare dei social network un loco di violenza, insulti gratuiti e discriminazione, non è un obbligo imposto da Mark Zuckerberg ma una scelta personale. Per iniziare il mio 2019 cinematografico dunque, ho scelto le parole di Paola Cortellesi (Nessuno mi può giudicare, Un boss in salotto, Gli ultimi saranno gli ultimi).

"Vi faccio un esempio" comincia la talentuosa attrice dal palco dei DD2018 dove era in corsa come Miglior Attrice in Come un gatto in tangenziale, premio poi vinto dalla collega Jasmine Trinca con Fortunata, e in sala in questi giorni con La Befana vien di notte (2018, di Michele Soavi), "Un cortigiano maschile. Un cortigiano: un uomo che vive a corte. Una cortigiana... una mignotta. Un massaggiatore, un terapista. Una massaggiatrice... una mignotta. Un uomo disponibile, un uomo gentile e premuroso. Una donna disponibile... una mignotta. Un uomo con un passato è un uomo che ha avuto una vita, in qualche caso non particolarmente onesta ma che vale la pena di raccontare. Una donna con un passato... Una mignotta!".

Va avanti così Paola, tra il serio e l'ironico, riportando ciò che tutti conosciamo ma che sembra andarci bene. Tanto, sono solo parole. "Certo, se le parole fossero la traduzione di pensieri, allora sarebbe grave. Un incubo" ammonisce la Cortellesi, "Un bambino maschio all'asilo potrebbe maturare l'idea che le bambine siano meno importanti di lui. Da ragazzo crescere nell'equivoco che siano in qualche modo di sua proprietà, e poi da adulto ... è solo un'ipotesi, eh?! Ma se fosse così, potrebbe pensare che sia giusto che sul lavoro le sue colleghe vengano pagate di meno.

E a quel punto non gli sembrerebbe grave neppure offenderle, deriderle, toccarle, palpeggiarle. Come si fa con la frutta matura o per controllare le mucche da latte. Se fosse così, potrebbe anche diventare pericoloso, eh? Una donna adulta, o anche giovanissima, potrebbe essere aggredita, picchiata, sfregiata dal'uomo che la ama. Uno che la ama talmente tanto da pensare che lei e anche la sua vita sono roba sua e quindi può farne quello che vuole. Ma sono solo parole, eh?". Il monologo prosegue. Paola Cortellesi viene raggiunta sul palco dalle colleghe Jasmine Trinca, Isabella RagoneseClaudia Gerini, Giovanna Mezzogiorno, Serena Rossi e Sonia Bergamasco che chiudono con un laconico e collettivo: se l'è cercata! 

La donna in Italia nel 2018 è ancora (parecchio) discriminata. Non ce ne accorgiamo (non lo vogliamo, ndr) perché in caso contrario andrebbero riscritti troppi libri di storia. Bel paese ma non solo. Basterebbe dare un occhio al drammatico documentario Femme de la rue (2012) della giovane cineasta belga Sonia Peeters per rendersi conto di quanto la situazione sia grave. A parole c'è l'appoggio di molti, nei fatti molto meno. Tutti in prima fila ad attaccare il mostro Harvey Weinstein e aderire sui social al movimento #MeToo, eppure così bravi a girarci dall'altra parte quando accade nella vita quotidiana a chi ci sta accanto.

Pensare poi che un programma dove si raccontato storie di donne picchiate e uccise, si chiami Amore criminale, ha dell'incredibile. Ma questo è il mondo, anzi. Questa è l'Italia. Ancora comodamente succube del retaggio cattolico dove queste... mignotte... sono streghe senz'anima e ogni qual volta si arrivi alla violenza, beh dai, diciamolo, un po' se la sono cercata! La donna in Italia ha ancora paura di denunciare e sia ben chiaro, non lo dice cineluk, lo dicono le associazioni che seguono da tempo immemore questi casi. In Italia la maggioranza delle donne che subisce violenza non denuncia.

Una donna ancora oggi, nella sedicente Italia occidentale dei diritti, non si sente sicura nel denunciare chi l'aggredisce. Voce della mamma nella versione animata de Il piccolo principe (2015, di Mark Osborne)Paola Cortellesi ci mostra come anche nel semplice parlare quotidiano ci sia un trattamento differente tra uomo e donna. Un trattamento che etichetta le donne come PUTTANE. Quelle stesse che nessuno ha il coraggio di aiutare lasciandole in mano ai maschietti della porta accanto.

Inutile pensare di cambiare l'Italia se ancora oggi siamo a questo punto. Basterebbe leggere certi commenti sul monologo dell'attrice per comprendere il livello retrogrado e misogino che sguazza imperterrito e volgare. E no, non sono in pochi. Esattamente come la violenza negli stadi, se va avanti da decenni (millenni nel caso delle donne), significa che non sono proprio in pochi. Non lo sono mai stati. Forse non saranno la maggioranza assoluta, ma sono un grossa porzione che vota e dunque decide chi governa una nazione. Persone per cui va bene che le donne abbiano un trattamento differente. Una moltitudine che va bene etichettare le donne come mignotte, anche solo per farsi una risatina.

Ma non c'è da preoccuparsi, vero Paola? Sono solo parole, no? Se fossero pensieri seguiti da azioni, allora si che ci dovremmo preoccupare e ancora peggio, dovremmo agire. Tutti lo dovremmo fare. Non solo le donne, ma donne e uomini insieme.  Buon 2019 a tutti!

Il monologo di Paola Cortellesi
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