Femme de la rue (2012, di Sofie Peeters) |
di Luca Ferrari
Cagna. Prostituita. Sgualdrina. Inviti ad andare a consumare rapporti sessuali in case o stanze d’albergo. Nel 2012 succede ancora questo. In Belgio come altrove. Ancora oggi la donna può essere presa a parole gratuite senza la benché minima conseguenza per chi agisce in questo riprovevole modo. Non Sophie Peeters. Ha smesso di fare finta di nulla. Non è tollerabile che una donna possa essere etichettata in modo così osceno nel vivere quotidiano. Così, la giovane realizza il documentario Femme de la Rue.
Il lavoro viene presentato al pubblico in un cinema della capitale belga. Qualcosa cambia. Per chi molesta verbalmente una donna scatta una multa di 250 euro. E la speranza adesso è che analoghe misure vengano prese ovunque nel mondo. "A 11 anni passai un'estate all’estero. Ero con un'amica. Entrambe cicciottelle, con codini e magliette di Michael Jackson e Batman, eppure già allora abbiamo iniziato a sentire commenti poco edificanti quando passavamo, magari non offendendoci pesantemente, però ci spaventavano" ricorda Arianna, "un giorno eravamo su delle altalene e dei ragazzi molto più grandi di noi si avvicinarono approcciandoci con dialoghi piuttosto espliciti. Scappammo via. Scappammo proprio a gambe levate".
Il lavoro viene presentato al pubblico in un cinema della capitale belga. Qualcosa cambia. Per chi molesta verbalmente una donna scatta una multa di 250 euro. E la speranza adesso è che analoghe misure vengano prese ovunque nel mondo. "A 11 anni passai un'estate all’estero. Ero con un'amica. Entrambe cicciottelle, con codini e magliette di Michael Jackson e Batman, eppure già allora abbiamo iniziato a sentire commenti poco edificanti quando passavamo, magari non offendendoci pesantemente, però ci spaventavano" ricorda Arianna, "un giorno eravamo su delle altalene e dei ragazzi molto più grandi di noi si avvicinarono approcciandoci con dialoghi piuttosto espliciti. Scappammo via. Scappammo proprio a gambe levate".
Il lavoro di Sofie Peeters ha portato all'attenzione il problema. Adesso è da vedere quanto si farà nel concreto. Perché quando un fatto attira l'attenzione, tutti si scoprono interessati salvo poi tornare alla quotidianità fatta di disagi ignorati. E un dato su cui bisognerebbe iniziare a riflettere è che la stragrande maggioranza delle violenze domestiche non venga mai denunciata, logica e inevitabile conseguenza di un permissivismo nei confronti del “maschio” che inizia dalle parole. Ogni volta che succede un episodio di molestia, fisica o verbale che sia, la domanda che viene sempre rivolta alla persona che ha subito, è la stessa: com’eri vestita? Come se la risposta potesse giustificare un’eventuale avance sboccata o peggio.
“A Londra andavamo in giro più infagottate possibile. Ampi bomber, pantalonacci militari larghissimi e sempre con i capelli dentro berretti da basket. Poi ci si cambiava nei locali. Sembra un'esagerazione ma era l'unico modo per girare da sole a tutte le ore, ed era davvero pratico. Più maschio sembravi, più avevi libertà di girare indisturbata” ricorda ancora la giovane, “i molestatori verbali vestono ogni bandiera. Quante volte avrei voluto controbattere per le rime. Quasi tutte le volte, ma il rischio poi diventa fisico. È una segno di inciviltà. Anche se ci si abitua, anche se è normale, anche se come ti dicono certi - dovremmo esserne contente -".
Le istituzioni, politiche, scolastiche e religiose, si facciano un esame di coscienza. Troppo spesso la loro indifferenza ha permesso che certi comportamenti potessero mettere solide radici e reiterarsi con il beneplacito della comunità. È ora di finirla. “Un giorno ero seduta in terrazza e uno si fermò, mostrandomi il pene. Crescendo, peggio che mai: schiocchi di lingua, hey bella fermati, dove vai, vieni qui, puttana etc”, conclude Arianna, “Il giorno che non dimenticherò mai fu quando, semplicemente perché sostai un minuto davanti al portone di casa, un vecchio mi chiese – quanto volessi –. E comunque guarda, tutte le donne avrebbero decine e decine di aneddoti di questo tipo da raccontarti”. Appunto, è proprio questo il problema.
Il servizio su Femme de la Rue
Femme de la rue (2012, di Sofie Peeters) |
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