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venerdì 31 gennaio 2020

Pizza, Coca-Cola e The Big Bang Theory

Pizza, coca-cola e The Big Bang Theory con Sheldon Cooper © Luca Ferrari
Non c'è niente di meglio di un placido venerdì sera a gustarsi pizza, coca-cola e una succulenta puntata di The Big Bang Theory, magari con l'ennesimo scontro tra Sheldon e Will Wheaton.

di Luca Ferrari

C'era un tempo, in una galassia lontana senza internet né smartphone, dove l'innocente gioia perfetta era incarnata dal guardare la televisione fino a tardi, avvolto nell'amorevole calore familiare. Mangiando insieme la pizza e bevendo coca-cola, menù casalingo questo che nei primi anni Ottanta non era certo la prassi. Gli anni sono passati e ora che mi ritrovo dall'altra parte della barricata, la pizza c'è ancora (fattomi consegnare direttamente a casa) e la bibita idem, incredibilmente ritornata in bottiglia di vetro (grazie Conad di Cannaregiondr) e ritrovando così quel sapore quasi-davvero di un'altra epoca.

TV e cibo da festa. Scenette come queste mi riportano a La storia infinita (1984, di Wolfgang Petersen), Guerre Stellari (1977, di George Lucas) e addirittura a L'orca assassina (1977, di Michael Anderson). Anche se la mia attuale compagnia è ancora troppa piccina per simili cult movie, trova parecchio diletto nelle (dis)avventure dei quattro scienziati nerd della sitcom americana The Big Bang Theory, a cominciare dalla divertente sigla iniziale fino mia personale imitazione del Dott. Sheldon Cooper (Jim Parsons) nell'atto di inveire contro Will Wheaton (se stesso), gridando il suo nome a squarcia gola.

Avere a che fare con Sheldon è un'impresa tutt'altro che facile, per non dire disperata. Come il fido compagno di appartamento, Leonard Hofstadter (Johnny Galecki) ci riesca, è davvero un mistero. Ci vuole un niente per entrare o uscire dalle sue grazie, e così diventare uno dei suoi arci-nemici. Ne sa qualcosa Will Wheaton. Da iniziale motivo di odio del buon Sheldon causa mancata presenza a convention dove l'attore di Stand By Me gli aveva dato buca (stagione 3, episodio 5), alla riabilitazione, fino all'ennesimo sgarbo rifilato al geniale fisico. Motivo dello strappo questa volta (stagione 11, episodio 6), l'avergli "rubato" il ruolo del Prof. Proton (Bob Newhart) nel sequel di quello che era il suo programma scientifico preferito da bambino.

Da qualche tempo il canale 20 trasmette tutte le stagioni di The Big Bang Theory (12 in tutto, finite nel 2019) a un orario ideale: le 20.15. Starsene spaparanzati sul divano con un po' di sano zapping sull'altrettanto mitica Vita da strega (1964-72, con Elizabeth Montgomery e Dick York) è quanto di più rilassante ci possa essere in questo momento dell'anno, ancora lontano dalle corse primaverili e l'incessante su-e-giù estivo. Quando però arriva il venerdì sera, l'indomani si può dormire (...) e nelle due puntate di Big Bang Theory, compare il pacioso Will Wheaton, il divertimento più innocente è assicurato. Attento a quello che dici Will, Sheldon potrebbe avere qualcosa da obiettare e lo sappiamo bene come la prenderebbe: Wheeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeaton!!!!!!!!

L'urlo di Sheldon Cooper contro Will Wheaton

The Big Bang Theory - Sheldon Cooper (Jim Parsons) ha qualcosa da dire a Will Wheaton
Pizza, coca-cola e The Big Bang Theory con Sheldon Cooper e Will Wheaton © Luca Ferrari
Pizza, coca-cola e The Big Bang Theory con Sheldon Cooper © Luca Ferrari
The Big Bang Theory - Will Wheaton ha qualche problema con Sheldon Cooper (Jim Parsons

lunedì 27 gennaio 2020

La stella di Andra e Tati

La stella di Andra e Tati (2019, di Rosalba Vitellaro)
Un cartone animato per spiegare la Shoah ai bambini. Il 27 gennaio, Giornata della Memoria è sbarcato sul piccolo schermo La stella di Andra e Tati (2019, di Rosalba Vitellaro).

di Luca Ferrari

Il cancelliere tedesco Adolf Hitler arringa la folla. Il duce Benito Mussolini promulga le leggi razziali. Il virus dell'odio si stava diffondendo in tutta Europa. "Tutto iniziò come in una giornata come tante", dice la voce fuori campo di La stella di Andra e Tati (2019, di Rosalba Vitellaro) prima animazione europea ad aver affrontato e raccontato il dramma della Shoah, vincendo il Rockie Award quale miglior produzione in animazione per ragazzi al prestigioso Banff World Media Festival, in Canada.

Una mamma è uscita per fare le compere insieme alle sue due figlie. Una mamma è uscita ma ormai tutti i negozi espongono il cartello "vietato l'ingresso agli ebrei." Ma torniamo a casa senza fare la spesa? chiede innocente una bambina. Passano ancora pochi giorni e il collaborazionismo fascista spinge l'ennesima famiglia sui vagoni della morte di Auschwitz. Andra e Tati, insieme alla mamma, la nonna, la zia e il cuginetto. Destinate agli atroci esperimenti del dott. Menghele, riusciranno a evitare quella fine grazie alla compassione di una delle guardie dei lager.

La stella di Andra e Tati scorre sui binari del passato e del presente. La vera storia di Alessandra e Tatiana Bucci, di 4 e 6 anni, deportate e marchiate, e il viaggio di una classe nei luoghi dell'Olocausto tra ragazzi che ascoltano e altri che minimizzano, sbeffeggiando pure: "Dicono che dobbiamo ricordare, ma cosa che dobbiamo ricordare?" scherza il bulletto di turno, "Sempre che siano cose successe davvero." Parole che si sentono ripetere sempre più spesso. Parole che ogni giorno di più cercano di minimizzare la portata di quei fatti.

"Mettiti il maglioncino", dice la mamma alle sue due figliole poco prima di essere portate via dalle urla naziste... "Mamma, ho paura"... "Ma non sapevamo che ciò che ci attendeva, sarebbe stato anche peggio. D'ora in poi saremmo state questo al campo: un numero." ... "Non mi lasciare, mamma." .. Che cosa avevamo fatto? Non lo capivamo allora e non lo capiamo ancora oggi." Dialoghi estratti da La stella di Andra e Tati. Parole e immagini che ti scorticano l'anima nel vedere ciò che è accaduto e che ancora oggi, nel 2020, qualcuno si permette di mettere in discussione con superficialità e insopportabile ignoranza.

Non esiste peggiore tragedia del nazifascismo per l'Europa del XX secolo. Un orrore inaudito. Un atto di disumanità che voleva l'annientamento totale non solo degli ebrei. Le camice nere italiane volevano la stessa cosa. "La gente crede ancora che il fascismo sia diverso dal nazismo" raccontava Luca Miniero nel remake italiano dell'omonimo tedesco Sono tornato (2018). Senza concedere nulla al fiabesco, in poco più di venti minuti La stella di Andra e Tati (2019, di Rosalba Vitellaro)  racconta i lager dagli occhi innocenti di due bambine che quasi per caso riusciranno a sopravvivere, ricongiungendosi poi con la propria mamma e papà.

E tutti noi genitori, che abbiamo messo al mondo dei figli, abbiamo il sacrosanto dovere di tramandare quello che è successo, in Germania come in Italia, così come per tutte quelle altre tragedie dell'umanità. E vorrei che provassimo tutti a pensare anche solo per un istante all'idea di vederci separare con la forza da queste piccole creature, e cosa proveremmo a quel punto. Un dolore straziante. Inimmaginabile. L'idea che i nostri mariti, mogli e prole, siano uccisi, patendo sofferenze disumane. Ecco, ogni qual volta assistiamo impotenti voltandoci dall'altra parte di fronte all'ennesimo abuso/aggressione, un altro bambino muore in un campo di concentramento.

La stella di Andra e Tati, il trailer

La stella di Andra e Tati - la svastica nazista
La stella di Andra e Tati - il duce Benito Mussolini
La stella di Andra e Tati - le sorelline durante la prigionia
La stella di Andra e Tati - le sorelline liberate dall'Armata Rossa
La stella di Andra e Tati - la prigionia nazista

martedì 21 gennaio 2020

Piccole Donne, la nostra storia

Piccole Donne - Meg (Emma Whatson), Jo (Saoirse Ronan), Amy (Florence Pugh) e Beth (Eliza Scanlen)
Una storia di coraggio, evoluzione e legami. Una storia che è la nostra storia. Di tutti noi, femmine e maschi. Il grande schermo plaude Piccole Donne (2020, di Greta Gerwig).

di Luca Ferrari

Quattro sorelle. Una madre amorevole. Un papà ancora al fronte. Le sorelle March. Jo, la scrittrice ribelle. Amy, l'artista votata al matrimonio agiato. Meg, la maggiore pronta al debutto in società e già alle prese con la durezza della vita lavorativa. Beth, la più piccina con la passione della musica. La loro storia è stata immortalata nel libro Piccole Donne (1868, di Louisa May Alcott). Sua legittima erede artistica del terzo millennio, Greta Gerwig ha raccontato questa storia imprimendola sul grande schermo in modo originale e furiosamente poetico. Piccole Donne (2019, di Greta Gerwig) inizia da qui. Piccole Donne inizia dentro ciascuno di noi.

Josephine March (Saoirse Ronan) detta Jo è un'emancipata giovane donna del Massachusetts con la passione della scrittura. Da qualche tempo si è trasferita nella più moderna New York e si mantiene facendo l'insegnante. Non è interessata all'amore. Il suo cuore appartiene alla propria libertà e alla sua famiglia cui continua a provvedere inviando il denaro guadagnato con la vendita delle sue novelle alla casa editrice del sig. Dashwood (Tracy Letts). Sulla sua strada incontra spesso l'elegante e schietto Friedrich Bhaer (Louis Garrel), invaghito con moderazione della fanciulla ma senza troppe ambizioni nel fare il fatidico primo passo.

Ha inizio il viaggio. Inizia la storia. Le lancette temporali saltano da un tempo a un altro, da quando la famiglia viveva sotto lo stesso tetto a quando la vita le ha condotte verso i propri binari. Margaret (Emma Watson) detta Meg si fa strada con difficoltà. Come tutte le altre, patisce l'esuberanza di Jo ma non sembra interessarle più di tanto. Nel tepore del proprio sguardo si cela la convinzione/speranza di un happy end ma non intende svenderlo al miglior offerente. Vorrebbe fare l'attrice ma la vita la mette in una condizione di dover pensare ad altro. Fa le sue scelte, e sebbene patisca il confronto con le amiche più ricche, trova la forza di guardare il proprio amato facendosi ispirare dal loro stesso e autentico sentimento.

Elizabeth (Eliza Scanlen) detta Beth è un po' l'anima candida della famiglia. Sarà per la giovane età, sarà per il candore con cui si cimenta col pianoforte. Al contrario Amy (Florence Pugh) è la figlia perennemente in competizione con Joe. I suoi scontri con la suddetta hanno segnato intere generazioni di lettrici. E' un po' quella viziata di famiglia, e la cosa non è troppo gradita proprio alla sua dirimpettaia. Dentro di lei si nascondono inquietudini, nulla che l'amorevole mamma Marmee (Laura Dern) non sappia a tenere a freno, magari con la collaborazione della ricca e sola zia March (Meryl Streep).

Le mura domestiche familiari sono il trampolino per la vita, con tutte le sue sfaccettature. A fianco della loro casa, c'è la villa dei Laurence dove abitano il saggio capofamiglia (Chris Cooper) e lo svogliato nipote Theodore (Timothée Chalamet) detto Laurie, seguito nell'educazione dal più umile John Brooke (James Norton). Le due famiglie si legano in modi differenti, ma sempre nel segno del rispetto e dell'affetto sincero senza (quasi) mai andare oltre le righe, fatta eccezione per una certa irruenza giovanile. I March e i Laurence sono lì. A distanza di staccionata. Destini differenti li attendono, questa almeno dovrebbe essere la facile storia ma così non è. Soprattutto se sarà la volitiva Joe a scriverla e raccontarla.

"Sono andata a vederlo perché Piccole Donne è un libro che da sempre è molto discusso" racconta la giovane Emma, "Questo film è fatto con attori che ci hanno accompagnato fin dall'infanzia (Emma Watson in Harry Potter, Meryl Streep in Mamma mia, Timothy Chalamet che è il belloccio del momento....). In una delle quattro sorelle ti ritrovi per forza come carattere e pensi a come reagiresti tu in quelle situazioni e a come reagiresti in famiglia. Comunque nessuna di loro è una santa e hanno tutti i difetti che abbiamo anche noi. Anche se è un film in costume è sempre attuale. Anche adesso le persone si valutano per i soldi che hanno ma le sorelle si sposano con persone che amano (anche la mamma)."

Anche se è un film in costume è sempre attuale, sottolinea l'adolescente veneziana e non si può che darle ragione. Più attuale "Piccole Donne" di molte altre pellicole la cui ambientazione riguarda il XX o il XXI secolo. Più attuale per un messaggio che va ben oltre la lotta di classe spostando il discorso sull'identità personale e concedendosi incursioni nella solidarietà, che in questo caso si chiama sincero amore verso chi non ha la fortuna e la forza di avere una tavola imbandita. Piccole Donne è un mondo aperto dove un gesto di attenzione si può trasformare in un bagliore per un domani dalle fattezze del tutto diverse.

Minore (inevitabilmente) ma comunque significativa la presenza maschile, a cominciare dal drammaturgo Premio Pulitzer nonché attore Tracy Letts (La grande scommessa, The Post, Le Mans '66 - La grande sfida), papà di Saoirse Ronan in Lady Bird, vincitore quest'ultimo di due Golden Globe per il Miglior film e la Miglior attrice in un film commedia o musicale, e candidato a cinque premi Oscar. Volto arcinoto anche quello di papà March, interpretato da Bob Odenkirk, anch'esso nel cast "Postiano", ma sopratutto star del piccolo schermo nelle serie cult Breaking Bad prima e lo spin-off a lui dedicato poi, Better Call Saul.

Mattatore del cast maschile, ovviamente lui, il giovane newyorchese classe '95, Timothée Chalamet (Chiamami col tuo nome, Hostiles - Ostili, Un giorno di pioggia a New York). Faccia perfetta da bello e impossibile, eppure in questa vicenda sarà lui quello che insegue. "Paga" il fatto di avere la vita facile, ma le donne di casa March sapranno insegnargli, in modo differente e variegato, cosa significhi essere davvero un uomo. Già alla corte della regista nell'acclamato Lady Bird, una nuova e convincente prova a dispetto della mancata candidatura ai vari premi cinematografici.

Greta Gerwig è tornata. Regista dell'acclamato Lady Bird, in questa nuova prova cinematografica si è portata con sé gran parte di quella squadra (vincente) aggiungendo generazioni di strepitose attrici (Dern e Streep su tutte), da far impallidire anche quei registi di più lunga data che amano dirigere i propri film sempre con grandi nomi (Wes Anderson e Martin Scorsese, solo per citarne alcuni). Ancor più convincente la performance del suo "primo violino", quella Saoirse Ronan (Hanna, Grand Budapest Hotel, Maria Regina di Scozia), 26 anni ancora compiere e già arrivata alla 4° nomination agli Oscar dopo Espiazione (2008), Brooklyn (2016) e Lady Bird (2018).

Dopo la delusione per la mancata assegnazione dei Golden Globes nonostante le 5 nomination, ora Piccole Donne è atteso ai BAFTA (5 nomination il prossimo 2 febbraio a Londra) e gli Oscar (Los Angeles, 9 febbraio) dove la pellicola è candidata per il Miglior film, Attrice protagonista (Saoirse Ronan), Attrice non protagonista (Florence Pugh), Sceneggiatura non originale (Greta Gerwig), Colonna sonora (Alexandre Desplat) e Costumi (Jaqueline Durran). È raro trovare registi capaci di stare sia davanti alla telecamera sia con la penna in mano a scrivere testo e dialoghi. Greta Gerwig appartiene a questo ristretto club.

Piccole Donne, lo dice il titolo stesso, tenderebbe a essere una lettura (visione in questo caso) prettamente femminile. A dispetto di una nettissima predominanza di pubblico del gentil sesso alla proiezione in lingua originale del cinema Rossini di Venezia, non si capisce in che cosa i maschietti potrebbero peccare col cimentarsi in una simile opera, ritrovando nella vita delle protagoniste moltissimi di quei sentimenti ammirati lì dove domini il testosterone. Greta Gerwig consegna  a memoria imperitura una pellicola (per certi versi) senza sesso, riuscendo nel mostrare la donna non in perenne lotta per l'emancipazione ma incarnando la normalità di un'esistenza alla ricerca di ciò che la realizzi e la renda una persona in costante evoluzione verso la felicità, diventando così una creatura migliore per sé e per gli altri.

Il trailer di Piccole Donne

Piccole Donne - Marmee (Laura Dern), zia March (Meryl Streep) e Amy (Florence Pugh)
Piccole Donne - Jo (Saoirse Ronan) e Laurie (Timothée Chalamet)

lunedì 13 gennaio 2020

Peppone non voterebbe mai Lega

Il compagno Don Camillo - il sindaco Peppone (Gino Cervi)
Senatore Salvini, se ne faccia una ragione e ci risparmi la sua propaganda, Peppone non avrebbe mai votato né voterebbe mai Lega. Si metta comodo, ora le spiego perché.

di Luca Ferrari

Peppone votare Lega? Peggio di una bestemmia, o meglio una calunnia. Una bugia bella e buona. Ad alzare l'ennesimo (voluto) social-media-polverone, il senatore Matteo Salvini che a zonzo per l'Emilia Romagna in vista delle imminenti elezioni regionali, ha ben pensato di fermarsi a Brescello e così farsi immortalare a fianco della statua bronzea di Peppone postandola poi sui social con le parole: "Scommetto che Peppone oggi voterebbe Lega!." Gent.mo Matteo Salvini, mi consenta di spiegarle che lei ha clamorosamente torto e se avesse visto i film, forse lo avrebbe capito da solo, cosa che sono sicuro ha fatto perché stupido non è. Quindi?

Gli episodi in cui Peppone le dimostrerebbe coi fatti (e non con le parole né coi post) che mai sarebbe arrivato a (s)vendersi al partito che lei rappresenta, sono innumerevoli ma ce n'è uno in particolare che sembra proprio fatto per smentirla clamorosamente. Le faccio allora un piccolo ripasso con il film Il compagno Don Camillo (1965, di Lugi Comencini), l'ultimo purtroppo con i grandiosi protagonisti dei romanzi ideati dalla penna di Giovannino Guareschi.

Anni Sessanta. Il piccolo comune reggiano di Brescello guidato da anni dalla giunta "rossa" di Giuseppe Bottazzi detto Peppone (Gino Cervi) è in procinto di gemellarsi con una cittadina dell'Unione Sovietica. La sola idea che ciò avvenga per l'altra faccia del paese, Don Camillo (Fernandel), è puro orrore. Cosa fare? Riuscito nel tentativo di far indire un referendum, come vincere se la gran parte dei cittadini vota comunista? Il caso vuole che alla sua porta si presentino un uomo e una donna: Sonia (Rosemarie Lindt) e Sasha (Mirko Valentin). Dicono di essere in visita in Italia come esperti agricoli. Lasciato il gruppo internazionale di cui fanno parte, vogliono chiedere asilo politico tradendo la madrepatria Russia.

Un colpo anti-URSS così Don Camillo non se lo lascia sfuggire e promettendogli vitto, alloggio e silenzio, li manda in giro dai contadini del posto dove i due raccontano di tutte le angherie subite in Unione Sovietica (unghie strappate e pipistrello da mangiare, incluso). La bomba mediatica ha il suo effetto sulla coscienza della gente ed eccoli che al momento di votare il Sì o il No per il gemellaggio, il consenso precipita a zero. Alla fine però Peppone riesce a scoprire cosa si nasconde dietro il rifiuto, e senza perdere tempo si precipita come un treno dal parroco del paese, pretendendo in qualità di Pubblico Ufficiale, che "gli vengano consegnati" i due fuggiaschi.

Don Camillo è alle strette ed è costretto a cedere. O almeno così fa credere al rivale. Ma non è l'unico. Quello che il Compagno intende fare non sempre va a braccetto con ciò che l'uomo sente nel proprio cuore. Ed eccolo il buon Peppone fare dietrofront e proporre un piano per garantire la libertà ai due "rinnegati sovietici." Ha capito senatore Salvini? Peppone va contro il suo stesso Partito pur di proteggere due persone. Peppone va contro i suoi stessi interessi. Peppone va contro la sua stessa fede (politica) per un valore supremo: l'umanità. Lei invece, il suo partito e il suo ex-governo, quando avete fatto soffrire oltre modo persone in mare per quale altrettanto nobile valore lo avete fatto? No, sig. Matteo Salvini, Peppone non avrebbe mai votato né voterebbe mai Lega.

Il ritorno di Don Camillo - I due fuggiaschi russi

Il compagno Don Camillo - un arrabbiato Don Camillo (Fernanded)
Il compagno Don Camillo - Don Camillo (Fernanded) a colloquio col Cristo,
e a fianco i due "russi" Sonia (Rosemarie Lindt) e Sasha (Mirko Valentin)
Il compagno Don Camillo - Don Camillo (Fernanded), Sonia (Rosemarie Lindt) e Sasha (Mirko Valentin)
Il compagno Don Camillo - Don Camillo (Fernanded) e Peppone (Gino Cervi)
Il compagno Don Camillo - Peppone (Gino Cervi) fa ritorno da Don Camillo (Fernandel)
per far fuggire i
 due "russi" Sonia (Rosemarie Lindt) e Sasha (Mirko Valentin)
Il compagno Don Camillo - Peppone (Gino Cervi) fa ritorno da Don Camillo (Fernanded)
per far fuggire i
 due "russi" Sonia (Rosemarie Lindt) e Sasha (Mirko Valentin)

giovedì 9 gennaio 2020

Tolo Tolo, vivere e sognare

Tolo Tolo - Checco Zalone in fuga insieme al piccolo Doudou (Nassor Said Birya)
In fuga dall'Africa a bordo dei barconi per ritornare (mal volentieri) in Italia. L'odissea di Checco Zalone, Tolo Tolo, è un viaggio nell'umanità e nel coraggio di pensare anche agli altri.

di Luca Ferrari

La vita dell'essere umano contemporaneo è una costante ricerca di una terra da chiamare casa. I sogni di chiunque venga al mondo sono gli stessi dalla notte dei tempi: felicità e amore. Non tutti lo capiscono. Non tutti lo realizzano. Moltissimi di noi partono svantaggiati. Moltissimi di noi vengono da lontanissimo. Ci può essere un ponte a dividerci, una strada o un mare. Come bambini in un risiko anarchico e dai confini ben delimitati, corriamo su e sempre più su, saltando tra torri pericolanti in precaria comunicazione di miseria e sopravvivenza. Questa è la storia di uno di noi. Questa è la loro e la nostra storia. Tolo Tolo (2020), di Checco Zalone).

Fallito nel giro di un mese il proprio ristorante sushi nell'entroterra pugliese, Checco Zalone ripara in Africa, lasciandosi alle spalle ex-mogli e debiti (parecchi), passando da imprenditore a cameriere in un villaggio turistico in Kenya. Il "ragazzo" si trova a suo agio con la clientela spocchiosa e opportunista, dispensando consigli su come aggirare le maglie fiscali (...), e così  tutto sembra procedere per il meglio fino a quando non si ritrova nel mezzo di una guerra civile. Ha inizio così la fuga insieme al collega Oumar (Souleymane Sylla). Sullo stesso cammino, anche la bella Idjaba (Manda Touré), per cui Checco ha una bella cotta per niente ricambiata dalla donna, insieme al piccolo Doudou (Nassor Said Birya).

Ha inizio il viaggio. In autobus. Su quei pullman degli anni Trenta (nostri) nel tentativo di raggiungere un porto sicuro e di lì poi sperare di imbarcarsi per qualche accogliente (...) destinazione europea. Oumar è innamorato della cultura cinematografica italiana. Vorrebbe diventare un regista come Federico Fellini. Lui, come tutti gli altri, non ha idea di quali siano le reali condizioni, e soprattutto umori, del nostro Paese. I fuggitivi intanto sono tutti in marcia. Si lasciano alle spalle origini, amici e familiari. La loro strada sarà in salita per anni, se non per decenni. Con tutta probabilità, per tutto il tempo in cui vivranno. Per moltissimi di loro sarà un viaggio di sola andata o alla peggio, senza ritorno, e lo sanno bene, ma ci credono.

Tutti hanno chiaro in testa cosa potrebbe succedere a parte lui, Checco. Più preoccupato di essere rintracciato dal Fisco Italiano che non del trovarsi faccia a faccia con spietati aguzzini che trattano le persone come merce da ricatto, usando (ovviamente) anche le maniere forti se non dovessero arrivare i dollaroni o gli euro. Con la sua tipica ingenuità egoistica, Checco Zalone punta solo a una via d'uscita. Non fa nessuno sforzo di capire i cingoli arrugginiti di un mondo che alla fine ha il solo difetto di non indossare una giacca e cravatta, ma è ancora fermo alla legge della pistola alla tempia. Qualcuno accanto a lui però, la vede diversamente e così lo guiderà. Lui, Checco, si farà guidare.

Tolo Tolo (2020, di Checco Zalone) era un film attesissimo e non ha deluso le aspettative. Gli è bastato un weekend per demolire tutti i record del cinema italiano, andando a sfondare il muro degli otto milioni di euro nel primo giorno di programmazione. Numeri a parte, Tolo Tolo si è presentato al pubblico con il trailer-video Immigrato che ha volutamente dato un'idea differente da ciò che si sarebbe visto sul grande schermo. Ma questo non era che un accenno di una storia capace di toccare tematiche difficili e drammatiche, concentrando sul regista-attore, com'è tipico del suo stile cinematografico, gli egoismi e le ignoranze di quell'italiano incapace di andare oltre slogan e stomaco (intestino), ma senza mai cedere alla volgarità, come al contrario sapevano solo fare "gli ormai neo-intellettuali fratelli Vanzina."

Delle oltre mille sale cinematografiche dove l'ultima fatica Zaloniana è sbarcata, non ha fatto eccezione la città di Venezia (a quando un'anteprima al Festival del Cinema?, ndr), nella cui ampia sala 1 del Rossini Tolo Tolo resterà anche in questa nuova settimana. Nel corso della proiezione si è vista una varietà umana davvero notevole. Dalla coppia con lo sconto anziani ai gruppetti un po' casinisti di adolescenti, per poi vedere anche famiglie con figli piccoli e piccolissimi. Un film per tutti. Un film, Tolo Tolo, che è davvero di tutti.  Impossibile restare (re)sil(i)enti a fine proiezione. Si parla. Si ragiona. Si comprende. Si sorride, ma soprattutto: si domanda.

Senza concedere neanche un millimetro alle anemiche e agonizzanti bandiere dei post politici, Checco Zalone sceglie l'umanità di un pensiero che va ben oltre l'immediatezza di una battuta. Come aveva già fatto in modo esemplare sul fronte del lavoro nel precedente Quo Vado? (2015), dove però la regia era ancora in mano a Gennaro Nunziante, questa volta plana sul dramma dei flussi migratori, guardando in faccia la morte ed entrando nell'inferno dei carceri di frontiera. Luca Medici non regala facili ironie, lacrime caritatevoli o accuse contro gli aguzzini di qualsiasi bandiera, credo e colore. Luca Medici racconta una storia universale. Checco Zalone la consegna al pubblico tramutata in una visione, Tolo Tolo (2020). A tutti noi l'arduo compito di ragionare e poi parlarne.

Tolo Tolo, la cicogna strabica

Tolo Tolo - Idjaba (Manda Touré), Checco Zalone e il piccolo Doudou (Nassor Said Birya)
Tolo Tolo - Checco Zalone in un momento di risveglio fascio-italico

venerdì 3 gennaio 2020

Sorry We Missed You, il lavoro strangola la vita

Sorry We Missed You - Ricky Turner (Kris Hitchen) e sua figlia Liza Jane (Katie Proctor)
Andare al lavoro, costi quel che costi. Famiglia? Benessere? Malattia? Non conta più nulla. Spiacente, siamo tutti inesorabilmente all'inferno. Sorry We Missed You (2019, di Ken Loach).

di Luca Ferrari

Famiglie allo stremo. Genitori sequestrati dal mondo del lavoro. Fatica e sacrifici. Neanche il tempo di vedere i figli andare a scuola e poi giusto il tempo di salutarli la sera. Lì nel mezzo, tante telefonate e preoccupazioni. Lì nel mezzo, l'angoscia conficcata in un'esistenza umanamente faticosa e il dramma di non poter offrire nulla di meglio ai propri cari. Giorno dopo giorno la speranza di un domani diverso si affievolisce sempre di più. Nel 2020 il tanto agognato miglioramento di vita per qualsiasi classe al di sotto dei ricchi, è peggio di un'utopia. Spiacenti, così è il mondo. Spiacenti, così ci hanno incatenato. Spiacenti, così li abbiamo lasciati fare. Sorry We Missed You (2019, di Ken Loach).

Ricky Turner (Kris Hitchen) è uno dei tanti lavoratori inglesi passato da un impiego all'altro dopo la crisi che ha colpito il settore edilizio. Deciso a mettersi in proprio, sceglie la via delle consegne in franchising, aumentando il già considerevole carico di sacrifici per sé e la sua dolce metà. Ma dietro la fantomatica indipendenza c'è un sistema spietato che concede appena due minuti per mangiare e non prevede nemmeno pause per fare pipì. Il sistema detta le condizioni e l'agenda. Bisogna correre e correre ancora. I giorni perduti non sono concessi se non pagando di tasca proprio il sostituto. Turni da 14 ore consecutive senza alcuna concessione. Chi resta indietro, è perduto. Anzi, viene scaricat

Abbie Turner (Debbie Honeywood) è un assistente domiciliare pagata a presenza, costretta a spostarsi sugli autobus per raggiungere i clienti. A complicare la vita già difficile, il figlio maggiore Sebastian (Rhys Stone), adolescente inquieto alle prese con la propria voglia di emancipazione e qualche assenza di troppo da scuola. A chiudere il quadretto, la figlia piccola Liza Jane (Katie Proctor), anima ancora innocente. Spugna inesorabile di tutti i discorsi e litigi tra le mura domestiche.

Abbie si prende a cuore i pazienti. Non si limita a pulirli e prepare loro da mangiare, ci parla. Ci entra in contatto, anche se le rigide direttive non glielo consentirebbero. E la giornata di otto ore? le chiede esterrefatta una signora cui presta servizio. Un ricordo. Le nuove leggi sulla regolamentazione del lavoro hanno reso tutto flessibile a discapito di chi deve portare a casa il companatico. Non pensavo fosse così difficile, l'amara confessione di un marito a una moglie, entrambi sfiniti dopo l'ennesima e infinita giornata di lavoro. Un qualunque imprevisto rappresenta un problema. Un qualsiasi imprevisto diventa un debito che non si può saldare.

Io devo andare al lavoro. Io devo andare al lavoro. Io devo andare al lavoro, grida un esausto Ricky. Ricky deve andare al lavoro. Sarebbe peggio se non andasse. Ricky deve andare al lavoro anche se i suoi familiari lo supplicheranno in lacrime di non andare poiché malato. Si, Ricky Turner non può permettersi di perdere un giorno di lavoro rischiando il licenziamento. Ricky Turner vuole un futuro diverso per la sua famiglia e non importa se nei prossimi mesi (anni) si dovrà sacrificare. Questa è l'illusione. Questo è il grande inganno delle multinazionali. Questa è l'esca per un mondo abbandonato a se stesso senza alleati né supereroi in suo (e nostro) aiuto.

Venezia, 2 gennaio 2020. cineluk - il cinema come non lo avete mai letto inizia l'anno con Ken Loach, accomodatosi nel sempre accogliente Cinema Giorgione il primo giorno di programmazione della pellicola. A dispetto del periodo di festività, a mancare sono stati soprattutto i giovani, quelli ancora ignari (o forse rassegnati) di ciò che li aspetta. Un futuro dove la gran parte delle maglie tentacolari dei contratti continueranno a evolversi con il solo obiettivo di metterli ai margini, sfinendoli fino a toglier loro qualsiasi idea di un lavoro che li possa soddisfare e sfamare (parliamo ovviamente delle grandi masse e non dei singoli privilegiati, ndr). Farebbero bene a venire e iniziare a preparare strategie per cambiare le cose.

Al giorno d'oggi in Italia come in gran parte del Pianeta si perde il posto di lavoro senza nessuna conseguenza per i "padroni". Monta la protesta. Si guadagna spazio su qualche pagina della cronaca locale per poi sparire nell'oblio. E noi, dall'altra parte dello schermo, vediamo questi volti e le loro dichiarazioni salvo poi non saperne più nulla. Come pagheranno le bollette? Quanti chilometri dovranno fare per trovare un altro impiego e quanto tempo gli ci vorrà? Come staranno i loro figlioli? Non ci sono risposte. Non ci sono più lacrime. Non c'è più tempo. L'obiettivo della super-produttività non ammette contrattempi umani. L'iper-produzione vuole ancora di più. L'umanità è un orpello irrilevante.

Sembra passato un secolo da quando ci facevamo grasse risate col magnate Carcarlo Pravettoni interpretato da un grandioso Paolo Hendel. Noi, negli anni Novanta, ridevamo di gran gusto quando il patron della Carter & Carter parlava dell'utilizzo degli immigrati come mangiatori di plastica, o di come sostenesse l'idea di pagare i lavoratori "quando ci va." Gag che al giorno d'oggi ci farebbero al massimo emergere qualche smorfia di acida bile, e subito dopo arrabbiare in modo incontrollato per come siamo stati stupidi nel fidarci di persone di qualsiasi bandiera che non hanno fatto nulla per impedire il fagocitare più spietato della globalizzazione.

Vedi Sorry We Missed You (2019, di Ken Loach) e poi senti un fortissimo desiderio di tornare a casa. Il passo è veloce. Il cuore caldo e fuori tempo. Sempre di più. Hai voglia di sicurezze. Hai voglia di stringerti accanto a chi ami e chi ti ama. Pensi/speri dentro di te che ciò che è successo alla famiglia Turner non debba mai accaderti. Forza propria a parte, siamo così sicuri che sia tutto nelle nostre mani? Non lo è e lo sappiamo tutti molto bene. Continuiamo a ripetere che l'unione fa la forza ma uniti non lo siamo mai. Cammini veloce con una voglia ancora più forte di guardare negli occhi i propri cari e giurargli che la disperazione resterà fuori dalla porta. Non è così. Qualcuno potrebbe aver già deciso diversamente e a quel punto che si fa?

Sorry We Missed You (2019, di Ken Loach) non lascia respirare. Fin dalle prime battute cinque scomposte dita meccaniche si attorcigliano dentro e fuori lo stomaco facendo temere sempre il peggio. Il regista inglese (My name is Joe, Il vento che accarezza l'erba, Io Daniel Blake) non fa sconti né concede nulla all'immaginazione (speranza). Mostra il mondo esattamente per quello che è. Illustra la disperazione della porta accanto e ciò che è peggio, senza nessun lembo di solidarietà. Viviamo l'epoca della condivisione a distanza, abbandonati a un regime che studia ogni giorno nuove tecniche per velocizzare la produzione a discapito dell'umanità. Le famiglie sbranate restano sole e sconsolate. Le famiglie indebitate restano prede dei più facili canini. Spiacenti, ci potevate pensare prima...


Il trailer di Sorry We Missed You

Sorry We Missed You - la famiglia Turner: papà Kris (Kris Hitchen),
mamma Abbie (Debbie Honeywood) e i loro figli Sebastian (Rhys Stone) e Liza Jane (
Katie Proctor)