The Post - il direttore Ben Bradlee (Tom Hanks) |
di Luca Ferrari
L'America ha mentito agli americani. Il Governo degli Stati Uniti ha mentito ai propri cittadini. Fin dal primissimo coinvolgimento alle bugie più eclatanti sul Vietnam, tutto questo adesso sta per diventare di dominio pubblico. Un'autentica bomba capace di ridisegnare non solo la politica a stelle e strisce, ma lo stesso pensiero del cittadino medio. E chi poteva fare tutto ciò se non "i controllori del loro potere", e cioè la stampa? Diretto da Steven Spielberg con sceneggiatura scritta da Liz Hannah e Josh Singer, è uscito al cinema The Post (2017).
1971. La guerra nel Sudest Asiatico è ancora in corso. Ciò che trapela dalla Casa Bianca non potrebbe essere più lontano dalla verità. La farsa prosegue fino a quando qualcuno parla. Migliaia di pagine dei cosiddetti Pentagon Papers, finiscono in mano al primo quotidiano d'America, il New York Times. La bomba esplode ma la reazione dalla presidenza Nixon è immediata. Al rivale Washington Post intanto, da qualche tempo si è insediato un nuovo editore capo, una donna. Il suo nome è Catherine "Kay" Graham (Meryl Streep).
A guidare il giornale della capitale, è il roccioso Ben Bradlee (Ton Hanks). Alla rivelazione dello scoop, lui e i più scafati giornalisti della redazione, su tutti Ben Bagdikian (Bob Odenkirk), si mettono alla ricerca di questi rapporti segreti. La Corte Federale però ha bloccato qualsiasi ulteriore pubblicazione del NY Times. Che cosa potrebbe mai fare dunque il Post ammesso che li trovasse? Dovrebbe sfidare Richard Nixon stesso. E se poi perdesse? Sarebbe la fine per la libera informazione.
Squadra che vince non si cambia. Dopo aver raccontato scambi di agenti segreti dentro e fuori il muro di Berlino della Guerra Fredda ne Il ponte delle spie (2015), la coppia Spielberg-Hanks torna insieme e il risultato è ancor più potente. Sebbene la storia fosse chiara (e nota) fin dalle prime battute del trailer così come l'esito, il film è un crescendo di emozioni lasciando lo spettatore col fiato sospeso fino a quando le macchine non si mettono in funzione e il Washington Post fa il suo dovere di giornale: pubblica tutta la verità nient'altro che la verità.
Se il Ban Bradlee interpretato da Jason Robards in Tutti gli uomini del Presidente era un osso duro, impeccabile e battagliero, quello incarnato da Tom Hanks (Forrest Gump, Salvare il soldato Ryan, Saving Mr Banks) è più mastino. Un ruolo, quello del due volte Premio Oscar, che resterà tra le sue migliori interpretazioni. Lady Graham-Streep invece è una donna timorosa ma capace di combattere le sue paure. A darle la forza necessaria, oltre a se stessa, il suo coraggioso direttore, animato tanto dalla voglia di fare del Post un quotidiano di primissimo livello, quanto di difendere la sacrosanta libertà di stampa.
Ban Bradlee sa cosa fare, per lo meno adesso. Amico dei Kennedy e dunque più attento a cosa scrivere un tempo, oggi è un leone nella giungla. Kay Graham è più combattuta. Il giornale è stato appena quotato in Borsa e mettersi contro la Casa Bianca potrebbe far volatilizzare molti investitori. Il suo fido braccio destro finanziario, Fritz Beebe (Tracy Letts), è schietto e sincero a metterla in guardia dalle possibili conseguenze ma allo stesso tempo non indietreggia né si comporta da codardo quando il cielo sopra Washington DC minaccia tempesta.
Già giornalista nel politico Leoni per agnelli (2007), questa volta Meryl Streep (Il diavolo veste Prada, The Iron Lady, Florence) passa ai comandi di una istituzione della carta stampata d'oltreoceano. In principio sembra quasi volersi tenere in disparte da uno scontro che presto o tardi dovrà decidere se affrontare o meno. Le sue amicizie altolocate poi, a cominciare dal vecchio amico Robert McNamara (Bruce Greenwood), Segretario della Difesa durante le presidenze di John Kennedy e Lyndon Johnson, la mettono in una posizione molto scomoda.
Autentico ariete in questa battaglia storica dove dice Bradlee, "Se perdono loro (NY Times, ndr), perdono tutti!", è Ben Bagdikian, ottimamente interpretato da Bob Odenkirk, il noto avvocato Saul Goodman delle (grandiose ) serie televisive Breaking Bad prima e Better Call Saul dopo. Curioso che nella pellicola Spielberghiana abbia ritrovato l'ex-compagno di set breakingbadiano, Jesse Plemons, qui nei panni del giovane avvocato Roger Clark.
Doveroso infine spendere qualche parola anche sul regista. È difficile (se non impossibile) immaginare la settima arte senza Steven Spielberg (Lo squalo, Schindler's List, Lincoln). Il suo cinema ha segnato e sta segnando intere generazioni di cineasti e cinefili. Di recente è tornato al suo primo grande amore, la fantasia, realizzando il toccante Il GGG - Il grande gigante gentile (2016). Oggi è tornato con l'altra sua grande passione: la libertà.
Il giornalismo di The Post è una razza morente se non già estinta del tutto. Difficile immaginare oggigiorno e nel domani più ravvicinato che accada qualcosa di simile. Il sistema è cambiato. Il mondo è cambiato. Nell'epoca di internet chiunque si crede un giornalista, senza tra l'altro saper scrivere in italiano corretto. Si apre un sito o blog che sia, facendo mera propaganda delle proprie idee e vomitando opinioni senza alcuna verifica dei fatti. Il gioco è fatto. Per la massa le notizie si fanno così. Vere o false, non ha nessuna importanza. E questo l'autorità lo ha capito fin troppo bene.
Se Quarto Potere (1941, di Orson Welles) e Tutti gli uomini del Presidente (1976, di Alan J. Pakula) hanno segnato il cammino del giornalismo al cinema, il terzo millennio non è stato per nulla avaro sul questo fronte, anzi. Tra i titoli più significativi, Good Night and Good Luck (2005, di George Clooney), ambientato nel periodo nero del Maccartismo, quindi il poco valorizzato La regola del gioco (2014) con protagonista Jeremy Renner nei panni dell'indomito giornalista Gary Webb che riuscì a collegare (e rivelare) i legami CIA e Contras nicaraguensi.
Nell'ultimo biennio, a catalizzare l'attenzione è stato in primis Il caso Spotlight (2015, di Tom McCharty) vincitore del Premio Oscar per il Miglior film e la Miglior sceneggiatura, incentrato sull'inchiesta del Boston Globe che rivelò al mondo lo scandalo dei preti pedofili. L'anno successivo fu la volta di Truth – Il prezzo della verità (2016, di James Vanderbil). Altra inchiesta e altro Presidente (George W. Bush), la cui reazione alle rivelazioni trasmesse da Mary Mapes (Cate Blanchett) e Dan Rather (Robert Redford) fu a dir poco distruttiva.
Se non gli facciamo noi le domande scomode, chi gliele farà? Si domanda un sempre più preoccupato Bradlee. Le macchine da scrivere battono. I telefoni squillano. Il Washington Post a caccia di gloria? Ovviamente si, ma in ballo non c'è una insipida notiziola da rotocalco. Sul banco degli imputati c'è un diritto sacrosanto, anzi c'è il Primo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti che sancisce, tra gli altri, la libertà di parola e di stampa.
La stampa serve chi è governato. Non chi governa. Dovrebbe essere così. Dovrebbe essere sempre così. The Post (2017, di Steven Spielberg) ci riporta a un'epoca dove si poteva osare, anche se in pochi lo fecero davvero. Rispettando il reciproco lavoro, Katharine Graham e Ben Bradlee fecero qualcosa di storico. Qualcosa che sarebbe poi proseguito sulle pagine del Washington Post con lo scandalo del Watergate. Oggi più che la mai il mondo ha bisogno di una stampa libera e audace. Steven Spielberg e The Post sono qui a ricordarcelo.
The Post - l'editore capo Kay Graham (Meryl Streep) |
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