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venerdì 19 maggio 2023

Bad Boys, la vera storia dei mitici Detroit Pistons

Bad Boys (2014, di Zak Levitt)

I formidabili Detroit Pistons, bicampioni NBA 1989 e 1990. Gli unici capaci di battere Bird, Magic e Jordan. ESPN ci racconta la loro ascesa su Disney+ nel documentario Bad Boys.

di Luca Ferrari

"Quando si aprono i libri di storia, non c'è modo di non vederli. Molte persone chiamano quello il periodo d'oro dell'NBA. Magic Johnson, Larry Bird, Michael Jordan tutti nell'NBA nello stesso momento. E per due anni splendenti, c'era una squadra che era una squadra da una città improbabile con il cast più improbabile che ha interrotto la festa glamour che stava avvenendo nell'NBA in quegli anni. E l'hanno fatto in un modo duro che metteva le squadre a disagio. ". In sintesi, i leggendari Detroit Pistons, raccontati nel documentario Bad Boys (2014, di Zak Levitt) per ESPN 30 for 30, disponibile in streaming online su Dinsey+.

Controcorrenti e spacca-forti. Per questo, ancora più meritevoli per ciò che hanno fatto. La loro storia è quella di molto di noi: passione, ostacoli e tanto sudore. Per capire questa squadra bisogna conoscere i suoi giocatori. Il documentario inizia agli antipodi, quando i Pistons sono una delle tante franchigie dell'NBA senza nessun reale obiettivo, neanche di playoff. Per vincere servono tre cose: grandi giocatori, un allenatore capace di valorizzarli e un general manager che metta queste componenti insieme. Nel giro di una decade tutto ciò è avvenuto, cominciando proprio dal nuovo GM Jack McCloskey. Forte di una seconda scelta al draft del 1981, prese Isiah Thomas, fresco del titolo NCAA per l'Università di Indiana. Insieme a lui, arriva da Seattle Vinnie Johnson. La rivoluzione è cominciata e l'inizio è dirompente. Thomas segna 31 punti nella prima partita e alla seconda, eccolo nella sua città natale, Chicago. Anche lì una super performance da 28 punti e vittoria.

Terzo pezzo del puzzle, un ragazzone di 211 cresciuto anch'esso a Chicago, Bill Laimbeer, in quel momento ai Cleveland Cavaliers, sbarcato a Detroit un anno dopo Thomas. Passano due anni e alla guida della squadra arriva l'uomo del cambiamento, Chuck Daly. I risultati galoppano. I Pistons conquistano i playoff. Al primo turno contro i Knicks, Thomas lascia il segno. Nella decisiva gara 5, segna 16 punti in 94 secondi. Qualcosa di unico. "I Pistons persero ai supplementari ma l'NBA fu avvisata". Fermati dagli eterni rivali Celtics nell'85, la stagione successiva vede un ulteriore step di rafforzamento. Due giocatori che saranno fondamentali per i futuri successi: il mite Joe Dumars e il possente Rick Mahorn. Il finale però è amaro e si esce subito ai playoff.

Il 1987 è l'anno della svolta. L'anno del cambiamento. L'anno del "noi contro il mondo". L'origine dei Bad Boys. All'inizio della stagione '87 l'asticella qualitativa si alza ancora grazie ad Adrian Dantley, navigata ala piccola proveniente dagli Utah Jazz. Insieme a questi, gli innesti di due ragazzi diversi da chiunque altro nella squadra, John Salley e Dennis Rodman, quest'ultimo definito "rimbalzista dall'incredibile ferocia". I Pistons devono segnare di più e migliorare la difesa. Quest'ultima in particolare, diventerà il loro marchio di fabbrica. La squadra inizia a volare. 52 vittorie, prime due serie consecutive vinte ai playoff e per la prima volta arrivano alle finali di Conference dove ad attenderli ci sono i Boston Celtics. In un mix di freschezza e maturità, la squadra è finalmente pronta a fare il definitivo salto di qualità.

In quella serie succede di tutto e le telecamere di ESPN non lesinano dettagli. Laimbeer Bird hanno un violento scontro in gara 3 (fallaccio del primo, reazione con schiaffone e palla lanciatagli contro del secondo) che finirà con l'espulsione di entrambi. Sul punteggio di 2 pari, a Boston, i Pistons stanno per fare il colpaccio nonostante un violento KO di Parish ai danni di Laimbeer, questa volta senza conseguenze. A un passo dal baratro, gli esperti Celtics risorgono grazie a un prodigioso recupero di Bird a 5 secondi dalla fine, e tornano in vantaggio di 1. La serie finirà con due risultati: l'ennesima finale per Boston (poi sconfitti dai Lakers) e un infelice commento a caldo di un inesperto Rodman ai danni del mito Larry (tanta attenzione solo perché è bianco). Si scatena l'inferno mediatico. Isiah gli viene in soccorso. Viene anche organizzata una conferenza stampa congiunta Bird/Thomas ma la situazione per i Pistons non migliora, anzi. Da lì, diventano i "nuovi cattivi"... se non peggio.

Qualcosa inizia a cambiare, dentro e fuori la squadra. Perché i "fallosissimi" Pistons fino all'anno prima erano tollerati e adesso d'improvviso tutti li odiano? La risposta è semplice. Perché hanno iniziato fare sul serio. Vogliono essere i migliori e cosa ancor più grave, bloccano le ambizioni della nuova stella dell'NBA, Michael Jordan. "Ci chiamarono delinquenti" ricorda amareggiato Isiah, "Ci sono due modi per reagire agli stereotipi: se non li usiamo a nostro vantaggio, possono esserci di grande intralcio. Avevamo cercato a lungo di combattere questa situazione. Alla fine la accogliemmo". La squadra si fa ancora più "sola contro il mondo". Ma dietro una facciata dipinta esageratamente dalla stampa, c'è una famiglia e legami profondi. Per dire, in principio invisi, Mahorn e Laimbeer diventano come fratelli mentre Rodman trova in coach Daly una figura quasi paterna. 

I Pistons vogliono dominare, fisicamente e mentalmente. Ci riescono e lo fanno! Il nostro motto era, "Say hello to the Bad Boys". Nel 1988 si accende la sfida contro i Chicago Bulls di Michael Jordan. I Pistons poi, si liberano poi del fantasma dei Celtics. Thomas è un uragano di simpatia nel ricordare la fatidica vittoria e nella finale Lakers-Pistons, ecco l'inimmaginabile accadere tra i due amicissimi Magic e Thomas. Qualcosa cambia. "L'amicizia non esisteva più". Johnson abbatte Isiah in modo scorretto, eppure quando è il turno dei Pistons, sono loro la feccia. Il titolo sfuma sul filo di lana ma in gara 6 sul 3-2 per Detroit, Isiah è soprannaturale. Infortunatosi al piede, torna eroicamente in campo zoppicando, e riuscendo a segnare 25 punti nel terzo quarto (un record per le finali NBA). Il verdetto però è fatto di lacrime, ma adesso basta, è tempo di chiudere i conti con la malasorte e qualsiasi altra cosa si frapponga tra i Pistons e il loro primo titolo. 

Di qui in poi, la storia la conosciamo e si tinge di leggenda. Spazzano via tutti, a cominciare dagli arrembanti Bulls, prendendosi prima la doverosa rivincita contro i Lakers in finale (4-0) nel 1989 e l'anno successivo, contro i Portland Blazers di Clyde Drexler (4-1) nel 1990. Per due anni consecutivi sono gl'indiscussi dominatori dell'NBA, vincendo in un modo che nessuno aveva fatto prima. Salley, Rodman e Laimbeer sono nati a distanza di 3 giorni l'uno dagli altri (in anni diversi), rispettivamente il 13, il 16 e il 19 maggio (auguri, Bill!). Un elemento che ha molto a che fare con il destino. Dopo essere stati ai massimi vertici del basket mondiale e aver raggiunto tre finali consecutive (di cui due vinte) condite da due finali Conference nell'87 e nel '91, inizia il loro (inevitabile) declino, passando il testimone proprio ai Bulls di Michael Jordan, Scottie Pippen e coach Phil Jackson,

Vedendo il documentario, e confrontandolo con The Last Dance (2020, di Jason Hehir) incentrato su Michael Jordan, appare fin troppo evidente che i Pistons abbiano avuto un'ascesa analoga a quella dei Bulls, eppure non sono considerati al modo analogo. Perché? Solo perché erano fallosi? Se fosse così, si dovrebbero biasimare gli arbitri e la Federazione che permetteva tutto questo. Un caso su tutti li condanna e allo stesso ne dimostra il trattamento differente. Bicampioni in carica e a pochi secondi dall'eliminazione, i Pistons stanno per essere spazzati via dai Bulls 4-0 nelle finali di Eastern 1991. Ecco la controversa  decisione allora: escono dal campo senza stringere la mano agli avversari a pochi secondi dalla fine di gara 4. Un gesto antisportivo? Decisamente, e di sicuro la squadra sbagliò a comportarsi così ma è curioso come per questo i Pistons furono messi alla gogna mentre quando furono loro ad annichilire i Celtics con il medesimo punteggio e questi se ne andarono a partita ancora in corso, Bird e McHale inclusi, mentre Dantley stava tirando un tiro libero, non furono usati per niente gli stessi toni.

In quella emblematica vicenda c'è poi un altro fattore da considerare, non raccontato da Jordan ma ben evidenziato da Thomas. In quelle gare, soprattutto quando il vento stava cambiando, MJ ammise candidamente che la fine dei Pistons sarebbe stato un bene per tutta l'NBA, attaccandoli in modo pesante. Ora mi chiedo: a questa persona che li aveva insultati sui media, i Pistons avrebbero dovuto stringere la mano? Come spesso succede nel mondo, quando ci si mette contro i poteri forti, ne si paga le conseguenze ed è innegabile che accadde anche alla squadra allenata da Chuck Daly. Daly, lo ricordiamo, allenatore del mitico Dream Team delle Olimpiadi di Barcellona '92. Daly, proprio lui. Curioso che non in quella squadra non ci fosse nessuno dei "suoi" meritevoli Pistons.

Curiosità. Isiah Thomas Bill Laimbeer compaiono nella parte di loro stessi nella divertente commedia Forget Paris (1995). In occasione della stagione di addio di Kareem Abdul-Jabbar, durante la sfida Pistons-Lakers, i due vengono ingiustamente espulsi dall'arbitro Mickey Gordon (Billy Crystal), sofferente d'amore per la bella Ellen (Debra Winger), e al quale Bill gli suggerisce di farsi visitare il cervello. Come racconta l'amico giornalista Andy (Joe Mantegna), finirà per espellere: "le due formazioni, un allenatore, un commissario tecnico, i genitori di Kareem e un venditore di noccioline". Nel film ci sono moltissime altre star dell'NBA tra cui Charles Barkley (Phoenix Suns) e David Robinson (San Antonio Spurs) che si beccano a vicenda, Patrick Ewing (New York Knicks), Chris Mullin (Golden State Warriors), Reggie Miller (Indiana Pacers) e altri.

I Bad Boys furono più forti di tutto e di tutti, anche di chi li voleva già sconfitti in partenza contro His Airness, che tutt'ora li odia, come ha candidamente ammesso nella sopracitata serie Netflix, ammettendo anche che "non avrebbero vinto quei campionati senza superare l'ostacolo di Detroit". A cavallo degli anni '80 e '90, a spezzare la dittatura dei Boston Celtics e dei Los Angeles Lakers, ritardando l'ascesa all'Olimpo dei Chicago Bulls, c'erano solo loro. I Pistons non dovevano vincere ma lo hanno fatto, e forse è per questo che ancora oggi la formidabile squadra dei Detroit Pistons viene relegata in un'ingiusta posizione marginale della Storia della NBA. Basta guardare anche i gruppi/pagine Facebook dedicate all'NBA, i grandi campioni di quella epoca sono menzionati in modo decisamente inferiore rispetto ai vari Bryant, Wade, Shak, Durant, Lebon & company.

Senza alcun tono vittimistico, Bad Boys (2014, di Zak Levitt) ricostruisce la loro epica parabola sportiva e umana, mostrando ciò che i Pistons furono capaci di fare sui parquet di tutta America, contando solo e unicamente sulle proprie forze e con un'indomabile voglia di vincere contro tutto e tutti, vertici NBA inclusi. E ci riuscirono! In mezzo a questa forza, ed è innegabile come alla fine del documentario Levitt lasci emergere anche un po' di amarezza e delusione per ciò che la Storia della pallacanestro non ha mai riconosciuto. Detto ciò, "[...] più di ogni altra cosa, c'è una cosa che dovete ricordare sui Bad Boys. Se ancora non li sopporti, ancora non li rispetti, beh, indovina un po'? Non gliene frega un...".
                                Say hello to the Bad Boys!


Un estratto di Bad Boys (di Zac Levitt)

Bad Boys - Jack McCloskey
Bad Boys - Joe Dumars
Bad Boys - Isiah Thomas
Bad Boys Bill Laimbeer
Bad Boys (2014)
Bad Boys - il pubblico di Detroit sbeffeggia Larry Bird
Bad Boys - il pubblico di Detroit irride Michael Jordan
Bad Boys - John Salley
Bad Boys - la stampa celebra il trionfo dei Detroit Pistons
Bad Boys - Chucl Daly premia un commosso Dennis Rodman come miglior rimbalzista
Bad Boys - Bill Laimbeer in trionfo
Detroit Pistons bicambpioni NBA
Bad Boys - la fine dell'epoca d'oro dei Detroit Pistons