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mercoledì 24 ottobre 2018

Julia Roberts a letto con il nemico

A letto con il nemico - Martin (Patrick Bergin) e Laura (Julia Roberts)
Negli anni Novanta non si parlava ancora di femminicidio e la violenza domestica era pratica tollerata che raramente usciva di casa, come nel caso del drammatico A letto con il nemico.

di Luca Ferrari

Angoscia. Violenza fisica e psicologica. A letto con il nemico (1991, di Joseph Ruben). Un thriller dal sapore ancora troppo contemporaneo a più di 25 anni dalla realizzazione del film. Basato sull'omonimo romanzo di Nancy Price, "Sleeping With the Enemy", è la storia di Laura (Julia Roberts) alle prese con un marito possessivo, Martin Burney (Patrick Bergin), che al minimo sguardo, timore che interceda coi suoi piani, fa scendere in campo la prepotenza più manesca. La donna subisce fino al momento in cui la misura è colma e agisce.

Escape is never the safest path, cantavano i Pearl Jam nella tonante "Dissident". Una lezione questa, che come accadde anche alla Erin Miller (Jennifer Lopez) di Via dall'incubo, così dovrà imparare Laura, costi quel che costi. Non si può avere paura tutta la vita. Non si deve provare paura per un'intera esistenza guardandosi sempre le spalle. Non si può passare un'intera vita a fuggire perché prima o poi il nemico tornerà a bussare alla porta e pretenderà tutti gli arretrati. Non importa quanto tempo ci vorrà, lui prima o poi arriverà e a quel punto la violenza si scatenerà con tutta l'irruenza possibile.

Allora ventiquattrenne e reduce dal successo planetario di Pretty Woman (1989), la giovane Julia Roberts dimostrò subito di avere le idee chiare sul proseguo della propria carriera non facendosi incastrare in ruoli scontati né da fidanzatina d'America. E così fece, alternando con saggezza film di spessore a commedie più leggere. Da Il rapporto Pelican a Notting Hill; da Il matrimonio del mio migliore amico a Erin Brockovic, film di denuncia sociale col quale vinse premio Oscar, Golden Globe e BAFTA come Miglior attrice protagonista, fino ai più recenti Mona Lisa Smile (2003), i corali La guerra di Charlie Wilson (2007) e I segreti di Osage County (2013) fino al commovente Wonder (2017).

Allora, a inizi anni novanta, di femminicidio non si parlava. Bisognerà aspettare il terzo millennio e il dramma messicano di Ciudad Juarez denunciato da Amnesty International e portato poi sul grande schermo da Antonio Banderas e Jennifer Lopez in Bordertown (2007) perché la questione inizi a diventare di dominio pubblico. Nemmeno si poteva immaginare cosa fosse, eppure esisteva e non abitava nei quartieri degradati ma aveva dimora fissa nelle case borghesi. Una cultura che ancora oggi non si è sradicata. Un film, A letto con il nemico, che non ebbe l'attenzione che avrebbe meritato. Oggi, con gli occhi di un mondo cambiato ancora troppo poco, andrebbe rivisto per continuare di più e meglio, un percorso.

Il trailer di A letto con il nemico

La locandina in lingua originale di A letto con il nemico

martedì 16 ottobre 2018

Africani... immigrati, per noi siete immondizia

Hotel Rwanda (2004, di Terry George)
La gente dirà che è terribile e poi continuerà a mangiare. Succedeva in Ruanda durante il genocidio  Succede oggi in Italia e nel resto d'Europa, con altri esseri umani lasciati a morire.

di Luca Ferrari

"Io credo che la gente guarderà il servizio, dirà oh è terribile e poi continuerà a cenare". È l'amara confessione del cameraman Jack (Joaquin Phoenix) dinnanzi alla mattanza umana appena filmata, e ora trasmessa al telegiornale. Paul Rusesabagina (Don Cheadle), direttore dell'Hotel des Mille Collines di Kigali, capitale del Ruanda, non poteva credere a quelle parole ma è esattamente ciò che accadde. Vennero abbandonati. Vennero lasciati liberi di massacrarsi. Questo è Hotel Rwanda (2004, di Terry George). Non è tanto diverso ciò che avviene ogni giorno, oggi, in Italia. Ogni giorno centinaia di persone fanno viaggi impossibili con la speranza di ricominciare a vivere ma ciò che li aspetta non è una carezza, ma un foglio di via con tanto di beceri insulti.

Sono passati più di vent’anni dal genocidio ruandese. Un massacro che portò alla morte di quasi un milione di persone. È stato scritto di tutto ed è stato girato anche un ottimo film: Hotel Rwanda (2004, di Terry George). Tante nomination ricevute tra premi Oscar, Golden Globe, BAFTA e tre Satellite Award conquistati per il Miglior film drammatico, Miglior attore in un film drammatico a Don Cheadle e Miglior canzone (Million Voices) a Wyclef Jean, Jerry "Wonder" Dupressis e Andrea Guerra. Un premio quest'ultimoo, assegnato da giornalisti membri della International Press Academy (IPA).

Ruanda, 1994. Paul Rusesabagina conduce una vita tranquilla. Sposato con Tatiana (Sophie Okonedo), ha due figli e un ottimo lavoro. Qualcosa però sta brulicando da un pezzo. Sembrano un gruppetto di esaltati che inneggiano al potere e la supremazia Hutu, di cui lo stesso è appartenente. L’assassinio del presidente (hutu) ruandese Juvénal Habyarimana colpito da un missile è la tanica di cherosene che scatena il macello. L’ordine è perentorio: tagliare gli alberi (riferimento ai Tutsi più alti e meno neri degli hutu, una differenziazione voluta dalla feroce dittatura belga chiamata nei libri di storia, colonialismo). Ammazzare ogni singolo Tutsi presente in Ruanda, bambini inclusi.

Ha inizio il genocidio. Paul fa l’impossibile per salvare più vite umane che può. L’albergo diventa un rifugio. Grazie ai suoi ottimi rapporti con il colonnello delle Nazioni Unite, Peter Oliver (Nick Nolte) e la responsabile della Croce Rossa Internazionale, Pat Archer (Cara Seymour), mette al riparo chi può. Non si tira indietro nemmeno dinnanzi al generale ruandese Augustin Bizimungu (Fana Mokoena) che compra con soldi e alcolici. Chiama perfino il presidente della Sabena Airlines (Jean Reno), titolare della struttura.

Paul fa il proprio dovere di essere umano per salvare la vita umana. Il suo atto eroico salverà la vita di oltre 1200 persone. Uomini, donne e bambini strappati alla propaganda di morte guidata con sprezzo da George Rutagunda (Hakeem Kae-Kazim) e altri invasati omicidi. La formula è sempre la stessa: una razza cui imputare tutte le colpe, un mezzo di diffusione di massa e l’ignoranza delle persone. È una formula vincente. Accadeva nell’antica Roma e nel Medioevo. È proseguito nei campi e le colline di tutta Europa nel XX secolo. Lo vediamo fuori dalle nostre porte mentre l’indifferenza miete nuove vittime. Gl’imbonitori dell’etere (oggi del web) non mancano mai e ancora meno le mandrie di pecore saccenti che credono ancora alla favola dei puri dalla loro parte.

Bisogna imparare dal passato. Basta. Non la voglio più sentire questa frase ipocrita. Bisogna avere la cruda onestà di ammettere che il mondo non ne vuole sapere di voltare pagina e scegliere l’umanità. È vorace e crudele. Lo è sempre stato. La pietà e compassione sono virus buonisti da debellare, questa volta si con qualche vaccino di produzione nazionale su larghissima scala. L’umanità continua a seguire gli sproloqui di bugiardi facendo pagare agli ultimi le colpe del proprio menefreghismo e le azioni che si sono rifiutati di vedere e combattere, preferendogli qualche erudito talk show o commentando l’ennesima manifestazione sportiva. Questo è il mondo. Questa è anche l’Italia. Questa è la politica italiana del tanto atteso cambiamento nel XXI secolo.

Italia, 2018 – Non-so-bene-quale-Repubblica. Un governo atteso e voluto da molti più italiani di quelli che l’hanno effettivamente votato. Privatasi dell’aggettivo "Nord" per raccogliere consensi tra i meridionali (dopo averli insultati per decenni), il partito politico della Lega passa ogni giorno alla cassa, conquistando nuovi adepti con le armi più banali: il facile razzismo e la xenofobia più ignorante, fornendo un capro espiatorio come fecero gli Ottomani-turchi con gli armeni nella prima guerra mondiale e i nazisti con gli ebrei nella seconda. E in tutto questo cosa fanno gli altri?

Dopo aver insultato per anni chiunque osasse proporre loro un’alleanza, il sedicente Movimento 5 Stelle è salito al Colle insieme alla falange più estrema, anti-europeista e razzista d’Italia, trincerandosi sempre dietro la parola “collaborazione” ogni qual volta il klan di Matteo Salvini faccia qualcosa non gli garbi abbastanza. Un comportamento che ha solo tre appellativi possibili: vigliaccheria, opportunismo e collaborazionismo (rif. Governo di Vichi). La “presunta” sinistra italiana poi, è al limite del piattume encefalico. Inesistente. Senza mordente. Senza una vera ideologia. Un insulto alla storia.

E in tutto questo ci stanno loro. Bambini, donne e uomini che cercano solo un posto per vivere. Tutti etichettati nei modi peggiori. Tutti etichettati come “migranti”. Tutti etichettati come “rubalavoro”. Tutti etichettati come negri e terroristi islamici. Ecco, come mi è successo durante la visione al cinema del recente BlacKkKlansman (2018, di Spike Lee), mentre riguardavo Hotel Rwanda (2004, di Terry George) il mio pensiero si schiantava sul presente nostrano. Un presente vergognoso. Un presente che mi fa ogni giorno di più vergognare di essere italiano.

Un presente che non riguarda solo le persone in arrivo sulle coste italo-elleniche ma tutta l'Europa, troppo distratta dal voler offrire un altro saggio della propria sanguinaria storia illuministica. Oggi sempre di più è il quotidiano figlio di certi pensieri e logiche a inquietare. Dai bambini di colore rifiutati alla mensa scolastica a clienti di bar che non accettano di fari servire dai camerieri di colore, passando per l'arresto politico del sindaco di Riace, Mimmo Lucano, senza contare le aggressioni costanti di chiaro stampo razzista. Ultima news in ordine temporale, un bambino a Bari aggredito con schiuma spray dai coetanei al grido “Adesso ti facciamo diventare bianco. Ma il nostro Governo del Cambiamento ci ha voluto rassicurare: "Non c’è nessun allarme razzismo in Italia!".

E invece la realtà è di ben altro spessore. Sta accadendo di nuovo come già successe nella ex-Jugoslavia e appunto nel Ruanda. Da un giorno all’altro i nostri vicini di casa sono diventati l'insopportabile emblema del nostro fallimento sociale. I nostri vicini sono il facile recipiente dove vomitare le nostre frustrazioni e incapacità. Siamo stati ammorbiditi dalla democrazia della rete e delle televisioni private. Il nostro cervello era pronto. Ci siamo. Si può dare il via alla pulizia. Che differenza c’è tra un proiettile, una lama tagliente e un foglio di espulsione? Nessuna. Stiamo condannando il mondo. Stiamo condannando il futuro dei nostri figli a nuove guerre fratricide.

80 anni esatti fa, lungo le strade di Vienna, nel marzo 1938 ebbe luogo il drammatico Anschluss durante il quale la popolazione salutò entusiasta l’annessione dell’Austria alla Germania di Hitler (vedi anche film, Woman in Gold con la premio Oscar, Helen Mirren). Oggi il nostro Vicepresidente del Consiglio, Matteo Salvini, in vista delle elezioni europee del 2019, cerca alleanze con le peggiori falangi fasciste del vecchio continente: la destra francese di Marine LePen e il nazionalismo esasperato del Primo Ministro ungherese, Viktor Orban. Ma non sono gli unici. C’è tutta un’Europa silente a preoccupare. In apparenza disgustata, ma ben felice che qualcun altro ci stia mettendo la faccia (e il proprio mandato) per questo tipo di operazioni umane.

Hotel Rwanda (2014, di Terry George) è una lezione troppo grande per il mondo contemporaneo. A chi crede ancora nella fratellanza, si prepari. Non ci sarà. Le mani tese sono state mozzate con il machete e il sangue sta sgorgando ancora, e ancora. Non ci sarà nessun contingente a mettersi di mezzo tra noi e la morte. Ci lasceranno spartirci i resti dei resti delle carcasse. Forse allora sarete tutti soddisfatti. Forse allora la vostra sete di potere sarà placata e i vostri sostenitori potranno brindare alla supremazia del vostro pensiero senza che nessuno osi contraddirvi. Senza che nessuno possa pensarla diversamente.

Paul Rusesabagina compie il suo dovere ma è da solo. Se la sua azione è al limite della disperazione, chi potrebbe fare qualcosa è l'uomo dell’ONU sul campo, ispirato alla figura del generale canadese Romeo Dallaire. Lui vorrebbe intervenire ma gli viene intimato di non fare nulla. Lui sa come va il mondo, specie quello occidentale. Gli africani non hanno mai contato nulla. Dinnanzi all'ormai inevitabile, le sue parole rabbioso-esauste rivolte a Rusesabagina sanno di condanna a morte. E sarà esattamente così. Il massacro non verrà fermato. A chi tocca il prossimo? Sta già accadendo di nuovo. Adesso tocca a te.


Una drammatica scena di Hotel Rwanda
Hotel Rwanda (2014, di Terry George
Hotel Rwanda - il cameraman Jack (Joaquin Phoenix) e Paul Rusesabagina (Don Cheadle)
Hotel Rwanda - il cameraman Jack (Joaquin Phoenix) e Paul Rusesabagina (Don Cheadle)
Hotel Rwanda - il cameraman Jack (Joaquin Phoenix) e Paul Rusesabagina (Don Cheadle)
Hotel Rwanda - il cameraman Jack (Joaquin Phoenix) e Paul Rusesabagina (Don Cheadle)
Hotel Rwanda - il generale canadese delle Nazioni Unite, Peter Oliver (Nick Nolte)
Hotel Rwanda - il generale canadese delle Nazioni Unite, Peter Oliver (Nick Nolte)

venerdì 12 ottobre 2018

Venom odia i vaccini

clip da Venom odia i vaccini © Fuori Sync.
Può un film non interessarti e poi esserne risucchiato grazie a un trailer-parodia capace anche di toccare un tema delicato? La risposa è si, se ti chiami Fuori Synch. e maneggi Venom.

di Luca Ferrari

Supereroi al cinema? Anche no. Anche basta. Anche troppi. Questo almeno è ciò che pensavo prima di imbattermi in Venom (2018, di Ruben Fleischer), adattamento cinematografico di uno degli storici antagonisti dell'Uomo-Ragno, e prima d'ora comparso un'unica volta sul grande schermo nell'ultimo fiacco capitolo (20017) della trilogia di Sam Raimi, Spider-Man 3, allora interpretato da Topher Grace (quest'ultimo visto nei recenti panni del Gran Maestro del Ku Klux Klan in BlacKkKlansman).

Un momento, fermate le rotatorie. Venom di Ruber Fleischer ho detto? Calma, non esageriamo. Si, la base è quella ma i contenuti non appartengono certo alla sceneggiatura originale. A metterci mano, i novelli artigiani della risata di Fuori Sync., che come riportato sulla loro pagina Facebook, "è un progetto di intrattenimento nato nell’ottobre 2017 da un’idea di Alberto Pigliapochi, aspirante doppiatore e diplomato all’Accademia Nazionale del Cinema di Bologna". Insieme a lui, altri quattro suoi amici, anch’essi doppiatori in erba: Gianluca, Andry, Samuele e Salvatore.

Il loro obiettivo? "Farsi conoscere al grande pubblico attraverso parodie umoristiche pubblicate su internet (canale Youtube inclusondr) per arrivare un giorno a entrare nel mondo professionistico sfruttando la viralità del web. I loro lavori spaziano dall’attualità ai grandi problemi quotidiani in cui tutti possono rispecchiarsi e sono scritti, doppiati e realizzati con la medesima cura di adattamenti cinematografici originali, dando ai contenuti un marchio di fabbrica ormai riconoscibile in tutta Italia, contenuti che generano regolarmente sulle piattaforme social milioni di click".

Fino a pochi giorni fa non avevo idea di chi fossero, esattamente come non mi sarei mai sognato di andare a vedere Venom al cinema, cosa che al contrario ho intenzione di fare a breve al Rossini di Venezia ma lo ammetto, sarà dura. Quando vedrò i protagonisti Tom HardyRiz Ahmed (Il fondamentalista riluttanteLo sciacallo - NightcrawlerJason Bourne) e Michelle Wlliams (MarilynManchester by the SeaTutti i soldi del mondo), sarà davvero impossibile non ripensare al video realizzato da Fuori Synch., Venom vs vaccini. È raro che ceda ai suggerimenti di Facebook, questa volta l'ho fatto. Sarà stata la controversa parola "vaccini", ho voluto provare e ne sono stato invaso.

Londinese classe '77, Tom Hardy è un attore straordinario capace di passare dalla commedia pulp e commerciale (RocknRollaUna spia non basta) a ruoli da villain memorabili (BronsonLegendRevenant - Redivivo) mettendoci nel mezzo anche incursioni eroiche (Mad Max: Fury RoadDunkirk) e ruoli inediti (LockeChild 44 - Il bambino n. 44). Un ruolo come quello interpretato in Venom però non lo aveva ancora acchiappato, e che non mi venga citato il mal riuscito Bane "Nolaniano" de Il cavaliere oscuro - Il ritorno.

Chissà se Tom è al corrente di cosa gli hanno combinato quei mattacchioni dei Fuori Synch. Io intanto me lo rivedo ancora una volta. Fatelo pure voi... prima che sia troppo tardi!


Venom vs vaccini, di Fuori Sync.

clip da Venom odia i vaccini © Fuori Sync.
clip da Venom odia i vaccini © Fuori Sync.
clip da Venom odia i vaccini © Fuori Sync.
clip da Venom odia i vaccini © Fuori Sync.
clip da Venom odia i vaccini © Fuori Sync.
clip da Venom odia i vaccini © Fuori Sync.
clip da Venom odia i vaccini © Fuori Sync.

lunedì 8 ottobre 2018

Nine Months, il nuovo e vero amore

Nine Months Imprevisti d'amore - il ballo notturno
di Samuel (
Hugh Grant) e Rebecca (Julianne Moore) sotto il tenero sguardo del figlioletto
Basta con lo stereotipo del maschio immaturo. Il tempo de L’ultimo bacio è finito. Oggi i mariti & neo-papà sono i redenti Hugh Grant nel finale di Nine Months - Imprevisti d'amore.

di Luca Ferrari

Felici di amare la donna che hanno scelto per trascorrere il resto della loro vita. Maturi e decisi a prendersi cura della prole, incluso cambio di pannolini, pappe e sveglie notturne. Tirate un sospiro di sollievo mie care fanciulle, il maschio de L'ultimo bacio (2001, di Gabriele Muccino) è una razza in via di estinzione. Siamo in una nuova epoca. Oggi si parte direttamente dalla felice redenzione di Hugh Grant nel dolce Nine Months - Imprevisti d'amore. E che la vita allora trionfi sulla più commerciale depressione-sciupafemmine "Belpaesotta".

Questa non è una recensione. Questo è uno spaccato di vita vissuta. Questa è una storia che riguarda  il cinema e l'esperienza della vita vera. Nei giorni scorsi sono stato a un matrimonio. Era da parecchio tempo che non partecipavo a simili eventi e si, insomma, qualcosa nel frattempo è cambiato anche nella mia vita. Fino al momento del (lungo) pranzo in una masseria fuori Matera, non avevo idea che avrei potuto scrivere un simile articolo. Lì qualcosa è successo. Lì ho visto qualcosa che mi ha fatto davvero piacere constatare. La generazione de L’ultimo bacio di Gabriele Muccino è davvero al tramonto.

Anno 2001. Sul grande schermo arriva il generazionale L’ultimo bacio. Il regista romano scatta una drammatica istantanea nazionale dei trentenni. Sono immaturi. Poco propensi a mantenere una relazione e/o aprirsi ad avere una propria famiglia. Si avanza, ma col freno a mano tirato a tutta forza. A parte Marco (Pierfrancesco Favino), il resto del gruppetto di amici formato da Carlo (Stefano Accorsi), Paolo (Claudio Santamaria), Adrian (Giorgio Pasotti) e Alberto (Marco Cocci) è un insieme di desolanti stereotipi maschili.

Oggi invece, nel mezzo del festante salone nuziale, l'atmosfera era di tutt'altro genere. C’erano tanti maschietti che si divertivano coi propri figlioli. Ballavano insieme a loro. Tutti diversi e con la propria personalità. Dalla classica faccia da bravo ragazzo inquadrato al capellone barbuto passando per i manager comunque affettuosi. Età variegata poi. Si andava dai più giovani primi trentenni a e persone già membri del club degli anta. Tutti in sintonia con l’Ed Mackenzie (Adam Scott) della grandiosa serie televisiva Big Little Lies.

A rivedere film sul genere con donne in dolce attesa, raramente si trovano ruoli in cui i maschietti non fanno o la parte degli smidollati cagasotto come l'iniziale Hugh Grant di Nine Months - Imprevisti d'amore (poi dolcemente redento) o i menefreghisti bastardi come il Dylan Bruno di Qui dove batte il cuore che abbandona Natalie Portman incinta. La realtà oggi è molto diversa e forse sarebbe ora che anche la cinematografia italiana iniziasse a darci un taglio con lo stereotipo del maschio italiano Felliniano/Mucciniano perché non esiste davvero più.

Oggi siamo tutti più cresciuti e non aspettiamo altro che svegliarci nel cuore della notte per ballare un lento con le persone più importanti della nostra vita.


La dolcezza familiare di Nine Months - Imprevisti d'amore
La dolcezza familiare di Nine Months - Imprevisti d'amore

martedì 2 ottobre 2018

Tintoretto: Artista del Rinascimento Veneziano

Il documentario dedicato al grande pittore veneziano Jacopo Tintoretto
Mercoledì 3 ottobre, presso il Cinema Multisala Rossini di Venezia, si terrà una doppia proiezione straordinaria del documentario Tintoretto: Artista del Rinascimento Veneziano.

di Luca Ferrari

L'ars pittorica seduce la settima arte. Nell’ambito delle celebrazioni per il cinquecentenario della nascita di Jacopo Robusti detto il Tintoretto (Venezia, 1519-1594) e della collaborazione tra la Fondazione Musei Civici di Venezia e la National Gallery of Art di Washington, è stato prodotto dal museo statunitense il cortometraggio Tintoretto: Artista del Rinascimento Veneziano, con la consulenza scientifica di Frederick Ilchman e Robert Echols, curatori della mostra a Palazzo Ducale, e Susannah Rutherglen, ricercatrice associata della National Gallery of Art di Washington: un documentario che percorre in trenta minuti, la straordinaria carriera del Maestro al culmine del Rinascimento.

Doppiato dalle voci dell’attore americano Stanley Tucci (Shall We Dancce?, Il diavolo veste Prada, Il caso Spotlight) per la versione inglese e del critico d’arte e storico Renato Miracco per quella italiana, intoretto: Artista del Rinascimento Veneziano completa il percorso delle mostre Tintoretto 1519–1594 a Palazzo Ducale (7 settembre 2018 - 6 gennaio 2019) e Il giovane Tintoretto alle Gallerie dell’Accademia (stesso periodo), entrambe a Venezia, con i capolavori non esposti perché presenti, ancora oggi, nei luoghi per cui furono realizzati.

Dalle sale espositive sarà dunque possibile vedere la casa di Tintoretto nel sestiere della Madonna dell’Orto o ammirare, con la lente della macchina da presa, i dipinti della relativa chiesa, i cicli superbi della Scuola Grande di San Rocco o le opere della chiesa di San Giorgio Maggiore. Nel film anche brani di interviste a Gabriella Belli, Direttore della Fondazione Musei Civici di Venezia; Paola Marini, Direttore delle Gallerie dell’Accademia di Venezia; Maria Agnese Chiari della Scuola Grande di San Rocco; all’artista Jeorge Pombo e ai co-curatori Robert Echols e Frederick Ilchman.

Tintoretto: Artista del Rinascimento Veneziano. Mercoledì 3 ottobre. Cinema Multisala Rossini. Evento gratuito, fino a esaurimento posti disponibili. Questo il programma:
  • h. 17 - primo appuntamento. Introduzione al film alla presenza di Paola Marini e Robert Echols
  • h. 17.30 inizio film
  • h. 18 - secondo appuntamento. Introduzione al film alla presenza di Gabriella Belli, Paola Marini e Frederick Ilchman
  • h. 18.30 inizio film

...Buona visione. Silenzio in sala.