Hotel Rwanda (2004, di Terry George) |
di Luca Ferrari
"Io credo che la gente guarderà il servizio, dirà oh è terribile e poi continuerà a cenare". È l'amara confessione del cameraman Jack (Joaquin Phoenix) dinnanzi alla mattanza umana appena filmata, e ora trasmessa al telegiornale. Paul Rusesabagina (Don Cheadle), direttore dell'Hotel des Mille Collines di Kigali, capitale del Ruanda, non poteva credere a quelle parole ma è esattamente ciò che accadde. Vennero abbandonati. Vennero lasciati liberi di massacrarsi. Questo è Hotel Rwanda (2004, di Terry George). Non è tanto diverso ciò che avviene ogni giorno, oggi, in Italia. Ogni giorno centinaia di persone fanno viaggi impossibili con la speranza di ricominciare a vivere ma ciò che li aspetta non è una carezza, ma un foglio di via con tanto di beceri insulti.
Sono passati più di vent’anni dal genocidio ruandese. Un massacro che portò alla morte di quasi un milione di persone. È stato scritto di tutto ed è stato girato anche un ottimo film: Hotel Rwanda (2004, di Terry George). Tante nomination ricevute tra premi Oscar, Golden Globe, BAFTA e tre Satellite Award conquistati per il Miglior film drammatico, Miglior attore in un film drammatico a Don Cheadle e Miglior canzone (Million Voices) a Wyclef Jean, Jerry "Wonder" Dupressis e Andrea Guerra. Un premio quest'ultimoo, assegnato da giornalisti membri della International Press Academy (IPA).
Ruanda, 1994. Paul Rusesabagina conduce una vita tranquilla. Sposato con Tatiana (Sophie Okonedo), ha due figli e un ottimo lavoro. Qualcosa però sta brulicando da un pezzo. Sembrano un gruppetto di esaltati che inneggiano al potere e la supremazia Hutu, di cui lo stesso è appartenente. L’assassinio del presidente (hutu) ruandese Juvénal Habyarimana colpito da un missile è la tanica di cherosene che scatena il macello. L’ordine è perentorio: tagliare gli alberi (riferimento ai Tutsi più alti e meno neri degli hutu, una differenziazione voluta dalla feroce dittatura belga chiamata nei libri di storia, colonialismo). Ammazzare ogni singolo Tutsi presente in Ruanda, bambini inclusi.
Ha inizio il genocidio. Paul fa l’impossibile per salvare più vite umane che può. L’albergo diventa un rifugio. Grazie ai suoi ottimi rapporti con il colonnello delle Nazioni Unite, Peter Oliver (Nick Nolte) e la responsabile della Croce Rossa Internazionale, Pat Archer (Cara Seymour), mette al riparo chi può. Non si tira indietro nemmeno dinnanzi al generale ruandese Augustin Bizimungu (Fana Mokoena) che compra con soldi e alcolici. Chiama perfino il presidente della Sabena Airlines (Jean Reno), titolare della struttura.
Paul fa il proprio dovere di essere umano per salvare la vita umana. Il suo atto eroico salverà la vita di oltre 1200 persone. Uomini, donne e bambini strappati alla propaganda di morte guidata con sprezzo da George Rutagunda (Hakeem Kae-Kazim) e altri invasati omicidi. La formula è sempre la stessa: una razza cui imputare tutte le colpe, un mezzo di diffusione di massa e l’ignoranza delle persone. È una formula vincente. Accadeva nell’antica Roma e nel Medioevo. È proseguito nei campi e le colline di tutta Europa nel XX secolo. Lo vediamo fuori dalle nostre porte mentre l’indifferenza miete nuove vittime. Gl’imbonitori dell’etere (oggi del web) non mancano mai e ancora meno le mandrie di pecore saccenti che credono ancora alla favola dei puri dalla loro parte.
Bisogna imparare dal passato. Basta. Non la voglio più sentire questa frase ipocrita. Bisogna avere la cruda onestà di ammettere che il mondo non ne vuole sapere di voltare pagina e scegliere l’umanità. È vorace e crudele. Lo è sempre stato. La pietà e compassione sono virus buonisti da debellare, questa volta si con qualche vaccino di produzione nazionale su larghissima scala. L’umanità continua a seguire gli sproloqui di bugiardi facendo pagare agli ultimi le colpe del proprio menefreghismo e le azioni che si sono rifiutati di vedere e combattere, preferendogli qualche erudito talk show o commentando l’ennesima manifestazione sportiva. Questo è il mondo. Questa è anche l’Italia. Questa è la politica italiana del tanto atteso cambiamento nel XXI secolo.
Italia, 2018 – Non-so-bene-quale-Repubblica. Un governo atteso e voluto da molti più italiani di quelli che l’hanno effettivamente votato. Privatasi dell’aggettivo "Nord" per raccogliere consensi tra i meridionali (dopo averli insultati per decenni), il partito politico della Lega passa ogni giorno alla cassa, conquistando nuovi adepti con le armi più banali: il facile razzismo e la xenofobia più ignorante, fornendo un capro espiatorio come fecero gli Ottomani-turchi con gli armeni nella prima guerra mondiale e i nazisti con gli ebrei nella seconda. E in tutto questo cosa fanno gli altri?
Dopo aver insultato per anni chiunque osasse proporre loro un’alleanza, il sedicente Movimento 5 Stelle è salito al Colle insieme alla falange più estrema, anti-europeista e razzista d’Italia, trincerandosi sempre dietro la parola “collaborazione” ogni qual volta il klan di Matteo Salvini faccia qualcosa non gli garbi abbastanza. Un comportamento che ha solo tre appellativi possibili: vigliaccheria, opportunismo e collaborazionismo (rif. Governo di Vichi). La “presunta” sinistra italiana poi, è al limite del piattume encefalico. Inesistente. Senza mordente. Senza una vera ideologia. Un insulto alla storia.
E in tutto questo ci stanno loro. Bambini, donne e uomini che cercano solo un posto per vivere. Tutti etichettati nei modi peggiori. Tutti etichettati come “migranti”. Tutti etichettati come “rubalavoro”. Tutti etichettati come negri e terroristi islamici. Ecco, come mi è successo durante la visione al cinema del recente BlacKkKlansman (2018, di Spike Lee), mentre riguardavo Hotel Rwanda (2004, di Terry George) il mio pensiero si schiantava sul presente nostrano. Un presente vergognoso. Un presente che mi fa ogni giorno di più vergognare di essere italiano.
Un presente che non riguarda solo le persone in arrivo sulle coste italo-elleniche ma tutta l'Europa, troppo distratta dal voler offrire un altro saggio della propria sanguinaria storia illuministica. Oggi sempre di più è il quotidiano figlio di certi pensieri e logiche a inquietare. Dai bambini di colore rifiutati alla mensa scolastica a clienti di bar che non accettano di fari servire dai camerieri di colore, passando per l'arresto politico del sindaco di Riace, Mimmo Lucano, senza contare le aggressioni costanti di chiaro stampo razzista. Ultima news in ordine temporale, un bambino a Bari aggredito con schiuma spray dai coetanei al grido “Adesso ti facciamo diventare bianco”. Ma il nostro Governo del Cambiamento ci ha voluto rassicurare: "Non c’è nessun allarme razzismo in Italia!".
E invece la realtà è di ben altro spessore. Sta accadendo di nuovo come già successe nella ex-Jugoslavia e appunto nel Ruanda. Da un giorno all’altro i nostri vicini di casa sono diventati l'insopportabile emblema del nostro fallimento sociale. I nostri vicini sono il facile recipiente dove vomitare le nostre frustrazioni e incapacità. Siamo stati ammorbiditi dalla democrazia della rete e delle televisioni private. Il nostro cervello era pronto. Ci siamo. Si può dare il via alla pulizia. Che differenza c’è tra un proiettile, una lama tagliente e un foglio di espulsione? Nessuna. Stiamo condannando il mondo. Stiamo condannando il futuro dei nostri figli a nuove guerre fratricide.
80 anni esatti fa, lungo le strade di Vienna, nel marzo 1938 ebbe luogo il drammatico Anschluss durante il quale la popolazione salutò entusiasta l’annessione dell’Austria alla Germania di Hitler (vedi anche film, Woman in Gold con la premio Oscar, Helen Mirren). Oggi il nostro Vicepresidente del Consiglio, Matteo Salvini, in vista delle elezioni europee del 2019, cerca alleanze con le peggiori falangi fasciste del vecchio continente: la destra francese di Marine LePen e il nazionalismo esasperato del Primo Ministro ungherese, Viktor Orban. Ma non sono gli unici. C’è tutta un’Europa silente a preoccupare. In apparenza disgustata, ma ben felice che qualcun altro ci stia mettendo la faccia (e il proprio mandato) per questo tipo di operazioni umane.
Hotel Rwanda (2014, di Terry George) è una lezione troppo grande per il mondo contemporaneo. A chi crede ancora nella fratellanza, si prepari. Non ci sarà. Le mani tese sono state mozzate con il machete e il sangue sta sgorgando ancora, e ancora. Non ci sarà nessun contingente a mettersi di mezzo tra noi e la morte. Ci lasceranno spartirci i resti dei resti delle carcasse. Forse allora sarete tutti soddisfatti. Forse allora la vostra sete di potere sarà placata e i vostri sostenitori potranno brindare alla supremazia del vostro pensiero senza che nessuno osi contraddirvi. Senza che nessuno possa pensarla diversamente.
Paul Rusesabagina compie il suo dovere ma è da solo. Se la sua azione è al limite della disperazione, chi potrebbe fare qualcosa è l'uomo dell’ONU sul campo, ispirato alla figura del generale canadese Romeo Dallaire. Lui vorrebbe intervenire ma gli viene intimato di non fare nulla. Lui sa come va il mondo, specie quello occidentale. Gli africani non hanno mai contato nulla. Dinnanzi all'ormai inevitabile, le sue parole rabbioso-esauste rivolte a Rusesabagina sanno di condanna a morte. E sarà esattamente così. Il massacro non verrà fermato. A chi tocca il prossimo? Sta già accadendo di nuovo. Adesso tocca a te.
Una drammatica scena di Hotel Rwanda
Hotel Rwanda (2014, di Terry George) |
Hotel Rwanda - il cameraman Jack (Joaquin Phoenix) e Paul Rusesabagina (Don Cheadle) |
Hotel Rwanda - il cameraman Jack (Joaquin Phoenix) e Paul Rusesabagina (Don Cheadle) |
Hotel Rwanda - il cameraman Jack (Joaquin Phoenix) e Paul Rusesabagina (Don Cheadle) |
Hotel Rwanda - il cameraman Jack (Joaquin Phoenix) e Paul Rusesabagina (Don Cheadle) |
Hotel Rwanda - il generale canadese delle Nazioni Unite, Peter Oliver (Nick Nolte) |
Hotel Rwanda - il generale canadese delle Nazioni Unite, Peter Oliver (Nick Nolte) |
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