Wonder – Auggie (Jacob Tremblay) e Jack (Noah Jupe) |
Il piccolo Auggie è fin’ora sempre uscito di casa con un casco spaziale in testa per coprirsi il viso.
Ha una vistosa malformazione facciale ed entro pochi giorni, per la prima volta, si farà vedere dal mondo esterno facendo il suo ingresso in 1° media. I suoi genitori sanno che sarà dura ma è arrivato il tempo di abbandonare l’ombra e affrontare la vita. Adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo scritto da R. J. Palacio, è sbarcato al cinema Wonder (2017, di Stephen Chbosky).
Auggie Pullman (Jacob Tremblay) è un ragazzino di 10 anni affetto dalla sindrome di Treacher Collins. Fin dalla sua nascita ha subito numerosi interventi chirurgici per sopravvivere. Anche se al giorno d’oggi è in grado di fare ciò che ogni normalissimo bambino fa (tv, consolle, adora StarWars), il suo viso è palesemente deformato. Un aspetto questo che non può passare inosservato e dunque capace di tirare fuori il peggio delle persone (grandi e piccini) quando lo incontrano per la prima volta.
Dopo avergli fatto da maestra privata, la madre Isabel (Julia Roberts) è pronta per il grande passo. D’accordo col marito Nate (Owen Wilson), Auggie viene mandato in una vera scuola. Viene così accolto dal gentile sig. Tushman (Mandy Patinkin), preside della Beecher Prep School. Con acume e delicata intelligenza, affida il compito di introdurlo nell’edificio scolastico a tre studenti: Julian (Bryce Gheisar), Charlotte (Elle McKinnon) e Jack Will (Noah Jupe, visto di recente in Suburbicon, 2017, di George Clooney).
Com’è inevitabile, la stragrande maggioranza delle attenzioni della famiglia Pullman sono per il piccolo Auggie. Lui è il secondogenito, fratello di Olivia (Izabela Vidovic) detta Via, “la ragazza più comprensiva del mondo” come l’ha definita sua madre. È un’adolescente e maturità a parte, anche lei prova dolori e paure senza però farne mai parola con i genitori. Sa che Auggie ha più bisogno di mamma e papà ma anche lei, come lui, sta per iniziare un nuovo mondo scolastico alla high school. L’impatto non è dei migliori anche perché la sua amica del cuore, Miranda (Danielle Rose Russell), è cambiata e la degna a stento di uno sguardo.
La vita è dura per Auggie. A peggiorare le cose, l’apparentemente amichevole Jack, presto rivelerà qualcosa di inaspettato, e proprio quando il neo-arrivato stava iniziando a fidarsi. A complicare le cose, l’esasperato bullismo verbale di Julian, che dietro la facciata del bravo ragazzo davanti agli adulti, è un misero prepotente capace solo di umiliare i più fragili. Auggie però non è solo. Ha una vera famiglia alle spalle e presto la sua capacità di resistenza farà breccia ovunque, anche senza l’aiuto diretto dei grandi, incluso il suo attento insegnante, il prof. Browne (Daveed Diggs).
Wonder (2017, di Stephen Chbosky) è un film che non ha età. Potranno passare gli anni e potremo anche nasconderci sotto barbe, rughe o tinte, ma le debolezze rimangono e tutti nella vita abbiamo una parte di noi stessi che si sente ancora “non normale”. Non tutti hanno la forza di farla uscire, anzi. La maggior parte di noi la nasconde, se ne vergogna ancora, non ne fa parola a nessuno o magari non ha mai incontrato alcuno con cui aprirsi e condividerla.
Auggie è un bambino fortunato. Ha una famiglia forte alle spalle. Sanno bene in che modo il proprio figliolo verrà guardato appena varcherà le porte della scuola, “è come mandare un agnello in un pascolo di lupi” dice preoccupato papà Nate. “Più tardi comincerà, peggio sarà” replica la saggia mamma Isabel, preoccupata anche più del marito ma non per questo rassegnata a nascondere Auggie al mondo, perché dietro quei lineamenti facciali anomali c’è una persona e un cuore.
“Non ti puoi nascondere se sei nato per distinguerti” dice decisa la mamma a Auggie. È una frase che seduce e tocca l’anima ma c’è di più. Dentro Wonder c’è il rapporto tra fratello e sorella. C’è la forza sostenuta di un marito e una moglie. C’è un’amicizia di lunga data che troverà la strada per rinnovarsi e rinascere. C’è la normalità dell’amore giovanile. C’è la spensieratezza di “due amici per la pelle” pronti ad aiutarsi l’un l’altro. In Wonder ci sono le lacrime per capire che il mondo è più grande della “nostra” stanza e un giorno dovremo uscire anche noi.
Ho scelto di cominciare il mio anno cinematografico al cinema Rossini di Venezia con un film che sapevo mi avrebbe toccato e in tutta onestà posso dire che durante la proiezione ho pianto così tanto solo con Les Miserables (2012, di Tom Hooper) e The Search (2015, di Michel Hazanavicius). Non è solo la vicenda di Auggie a toccare. È tutto il mondo che gli ruota attorno a far vibrare i sentimenti, come gli stessi coetanei quando iniziano a cambiare atteggiamento nei suoi confronti. Il tema della diversità riguarda ciascuno di noi e Wonder (2017, di Stephen Chbosky) è qui a ricordarcelo.
L'undicenne canadese Jacob Tramblay (Room, Shoot In, Il libro di Henry) lascia il segno. Owen Wilson (Zoolander, Io & Marley, Gli stagisti) è un distinto gregario, mentre Izabela Vidovic è fragile e allo stesso tempo rassicurante. A salire in (cima alla) cattedra c'è lei, Julia Roberts (Erin Brockovic, La guerra di Charlie Wilson, I segreti di Osage County). Tanto dolce quanto energica. Non è una super-mamma né si piange addosso. La sua Isabel è una donna che non si lascia intimorire dalla vita, al contrario l'affronta con le sue due più grandi risorse: se stessa e la propria famiglia.
Si piange. Si cresce. Si ricorda. Wonder è un mondo che si rinnova. Wonder è un invito a essere gentili “perché tutti combattiamo una battaglia dura”. Wonder è un cerotto che bisogna strapparsi dal sangue ormai coagulato di una ferita visibile al mondo e al nostro silenzio. Come l'epidermide, anche la vita ha bisogno di respirare. Wonder risponde a tutto questo. Wonder è un invito ad avanzare nella bolgia degli sguardi superficiali. Wonder non è solo la storia di un bambino. Wonder (2017, di Stephen Chbosky) racconta la storia più difficile di una parte di ciascuno di noi.
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