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lunedì 13 agosto 2012

Gérald Morin, "Io e Federico Fellini”

La dolce vita (1960), la celebre scena nella Fontana di Trevi tra Marcello Mastroianni e Anita Ekberg
Quattro chiacchiere con un pezzo di storia della settima arte: Gérald Morin, assistente del maestro Federico Fellini dal 1971 al 1977.

di Luca Ferrari
 

“Mentre da un Luchino Visconti si sono formati aiuto-registi che divennero grandi registi come Giuseppe Patroni Griffi, Francesco Rosi o Franco Zeffirelli, da Federico Fellini non c’è scuola. Il suo è un pianeta a se stante. Non c’è una trasposizione della società come tale. È uno sguardo su lui stesso vivente all’interno di un mondo”. Inizia così il racconto di Gérald Morin, assistente del regista italiano negli anni ’70.

Nella capitale del Canton Vaud, sulle sponde del lago di Ginevra, c’è di che rimanere deliziati dalla placida quiete a misura d’uomo che si può respirare. Dalle passeggiate nel Parco Mon-Repos insieme a qualche scoiattolo tra sequoie e tulipani, a quattro chiacchiere con cigni e gabbiani nei presso della Tour Haldimand.

Gérald Morin, assistente di Fellini dal 1971 al 1977, nacque a Losanna. Pur rimasto solo per i primi quattro anni di vita, l’imprinting fu fatale. E in età adulta continuò a tornarci. Molte volte, anche insieme all’amico regista italiano. E nel 2011 la capitale del Canton Vaud e dell'omonimo distretto ha tributato alla Cineteca una grande retrospettiva integrale dei 24 film del Maestro e nel Museo della Fotografia un’esposizione in omaggio al regista di Amarcord.

Un viaggio attraverso fotografie, disegni, locandine, giornali, documenti ma anche spezzoni di film inediti, provini, scene tagliate, filmati amatoriali, making of, attualità d’epoca e interviste.

Il XX secolo è stato definito la Fabbrica delle Immagini. Un universo rivoluzionario. E nessuno meglio di un cineasta ha potuto attraversare da protagonista questa realtà. Entrare nella mente di un grande regista, ma soprattutto artista, è un’impresa ardua. È come passare in un’altra dimensione. Pago dell’esperienza Dantesca, mi affido anch’io a una guida.

Gerald Morin, il cinema e Losanna. Cosa vi unisce? 
È una piccola città provinciale che non si prende più di quello che è, anche se ha una presenza internazionale notevole e allo stesso momento c’è un ricco mondo naturale. Un luogo dove poter coltivare rapporti umani. Lo stesso Fellini amava molto questo suo aspetto.

Se dovesse scegliere un’immagine del suo rapporto lavorativo con Fellini, cosa le viene in mente? 
Se non sapeva come girare bene una scena, Federico chiamava in causa tutti. Al truccatore diceva che così l’attore non andava bene, allo scenografo faceva cambiare il fondo della scena, al direttore della fotografia la luce, e quando tutti erano occupati, chiamava il direttore di produzione sostenendo che non potesse girare perché non c’è nessuno sul set.

Chi era Federico Fellini? 
Un uomo di relazioni. Lui non girava non tanto per fare un film. Con molta gente instaurava rapporti privilegiati. Lui decideva che cosa condividere e che cosa no, ma quando aveva davanti qualcuno, dava sempre la sua presenza completa. Per Fellini la cosa importante era preparare il film per essere in relazione con un’equipe. Per scoprire la gente. Se la preparazione durava vent’anni era l’ideale. Anche senza girare il film. Era un uomo più legato alla gente che ai luoghi, che per lui era fondamentale fossero luoghi abitati.

Cinema, luoghi e ispirazione. 
Pensando a celebri pellicole come Vacanze romane (1953) di William Wyler, Stromboli terra di Dio (1949) di Roberto Rossellini, fino ai più recenti Vicky Cristina Barcelona (2008) di Woody Allen, si capisce che il posto è molto importante. Il luogo diventa personaggio. E quando ciò avviene, diventa qualcosa che trasforma le persone come il deserto o l’alta montagna (vedi anche il recente The burning plain, di Guillermo Arriaga con Charlize Theron, ndr). Molto dipende dal modo di narrare. Nel caso di Fellini, quando girò La dolce vita (1960), Satyricon (1969), Roma (1972) e Intervista (1987), fece quattro film parlando della città abitata. I casi più interessanti sono quando i personaggi sono legati ai luoghi e a una cultura.

Esiste un’eredità felliniana? 
Fellini era un concentrato di sensibilità creativa molto personale. Un’autobiografia permanente. Aveva un passo troppo personale in cui nessuno poteva entrare nei suoi panni. Certi registi come Martin Scorsese o Emir Kusturica hanno carpito l’essenza felliniana nel modo di raccontare. Ci mettono il loro essere.

fotografi attendono il Maestro Fellini 
ciak,, si gira
Marcello Mastroianni 
Giulietta Masina
La dolce vita (1960), il bacio tra Marcello Mastroianni e Anita Ekberg 
Fellini e Morin sul set del film Casanova (1976)

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