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venerdì 25 gennaio 2013

Pearl Jam Twenty: We're All Still Alive

Pearl Jam Twenty (2011, di Cameron Crowe)
La storia di una delle rock band più importanti e coerenti. Per il ventennale della loro carriera, il regista premio Oscar Cameron Crowe racconta i Pearl Jam.

di Luca Ferrari

"Una comunità differente sono le mie emozioni. Fato orfano di quella sabbia decisa a ingaggiare troppe battaglie. Sono stato abbandonato come qualcuno che non è più potuto tornate indietro. Vediamo se mi resta ancora un po’ di tempo per dire qualcosa…". “Vedere Pearl Jam Twenty al cinema è stata un’esperienza di condivisione totale” esordisce il trevigiano Omar Nizzetto, "Vissuta in mezzo a sconosciuti a cui non dover spiegare o giustificare il perché di quella musica, o come mai le storie personali di quei ragazzi, all’apparenza così lontani, ti sembrassero in realtà così nitide nel comprendere il tuo stato d’animo. 

Essere stato in quella sala del Cinecity di Silea con altre 200 persone era come sentirsi tutti parte, causa e conseguenza delle stesse emozioni. Il film era il contorno. Il pretesto. Avremmo potuto avere una chitarra da due soldi o un vecchio mangiacassette con le note di Ten o Vs, tanto sarebbe bastato per farci venire un nodo in gola cantando sulle note di Release o Indifference”.

In occasione del ventennale della rock band Pearl Jam, il regista premio Oscar Cameron Crowe si è (ri)messo dietro la telecamera, riprendendo materiale d’archivio che già possedeva quando a metà degli anni ’80 si trasferì a Seattle da giornalista per seguire l’evolversi della scena musicale locale, e lo aggiorna con la storia presente. 

I primi due ragazzi che all'epoca conobbe si chiamano Stone Gossard e Jeff Ament. Suonavano nei Green River. Scioltisi, diedero vita insieme insieme al carismatico cantante Adrian Wood, ai Mother Love Bone. Pearl Jam Twenty (2011) può iniziare..

“Andy era molto libero, non correggeva niente di ciò che scriveva. Non gl’importava” racconta Chris Cornell, cantante dei Soundgarden, “Si lanciava nel processo creativo senza preoccuparsi di niente. Io invece analizzavo tutto troppo”. 

Wood è un’anima fragile. Cade, si rialza e cade ancora. Non ne uscirà più. Fa in tempo a registrare una album con la sua band, Apple, e a contagiare una micro-generazione. Crowe racconta il tragico lutto della fine di quel giovane ragazzo spentosi ad appena 24 anni. La cinepresa riprende gli occhi ancora tristemente commossi dell’amico Chris nel rievocare quanto accaduto. 

E a dispetto dei nuvoloni grigi, Seattle si fa interiormente buia senza il contagioso trasporto di quell’estroverso cantante. 

“Fino a quel momento la vita era stata molto buona con noi musicisti di quell’ambiente, attivamente impegnati a fare musica. Il mondo era nostro. Ci sostenevamo a vicenda e lui era un po’ il faro che indicava la strada a tutti” ricorda Chris, “Vederlo attaccato a quelle macchine ha determinato la fine dell’innocenza del nostro ambiente musicale. Solo dopo la gente a iniziato a dire che la nostra innocenza fosse finita con il suicidio di Kurt (Cobain, ndr). Ma non è così. Era stato quello. Entrare in quella stanza di ospedale”.

"…C’è stato un momento nella mia vita in cui tutti sembravano essersi già ambientarti alla caduta delle lanterne... Le competizioni artificiali del giorno dopo furono la pioggia a cui ormai non potei più aggiungere alcuna correzione... Fino ad allora avevo solo imparato ciò che nessuno poteva insegnarmi... Adesso e ieri ripensavo ogni volta a quando mi sono/ero messo nella condizione di dover aspettare…" l.f.

È la fine di un’epoca. Stone e Jeff sono lì per mollare. Poi, insieme a una vecchia conoscenza adolescenziale, il chitarrista Mike McCready, il combo senza nome incide delle musiche. La cassetta finisce in mano all’ex-batterista dei Red Hot Chili Peppers, Jack Irons, amico di un cantante che vive a San Diego, Eddie Vedder.

 È l’inizio di una storia. Ancora nel vivo della sua poetica più determinata a lottare. A turno i membri della band raccontano. Si raccontano. Ma se Eddie, Mike e Matt appaiono più nelle vesti di intervistati, Stone e Jeff sono dei narratori. Senza abiti di scena. Quelli non li avevano nemmeno sul palco, figuriamoci nella vita.

Il viaggio cinematografico si sviluppa tra passato con immagini della carriera della band (fantastica la parodia al Saturday Night Live del comico Adam Sandler su Vedder) e presente. Crowe si sofferma sull’amicizia delle band di Seattle. “Imparavamo gli uni dagli altri e ci ispiravamo a vicenda” spiega ancora Chris parlando del rapporto tra Soundgarden e Pearl Jam, “per me i Temple of the Dog sono nati da questo. Johnny Ramone me lo fece notare, dicendomi – mai vista una cosa simile –”. Poi il successo. La folle invenzione del grunge e la sovraesposizione mediatica. 

I Pearl Jam raccolgono consensi ovunque. Non mancano le critiche. Tra le più feroci, quelle di Cobain anche se in seguito abbasserà i toni, spendendo belle parole soprattutto per il cantante."Ci ha spinto a riflettere su tutto quello che facevamo” racconta Stone Gossard parlando proprio del cantante dei Nirvana, “le sue critiche iniziali ci hanno tenuto sulla retta via. Se oggi valiamo qualcosa, in parte è merito suo”. 

"...a nessun paracadute ho affidato i miei traslochi/...non avrei potuto fare altrimenti...non allora/... quelle  diagnosi piene di parole  erano le uniche gole  che certificassero la mia esistenza/… non ho mai provato dolore quando credevo che la fine fosse solo rinviata di qualche ora/… l’eventualità di una sopravvivenza al riparo da un articolo di giornale d’epoca erano la memoria in quegli occhi risvegliati dal frastuono della propria ritrovata separazione..." l.f

Cameron Crowe, che già aveva diretto la band in Singles (1991), non si perde in patinate celebrazioni che mal si sposerebbero con la stessa linea umana del gruppo. Ne mostra i lati percolanti, e quelli azzardati. Gli anni difficili tra Vitalogy (1994) e No Code (1996), quando il gruppo denunciò all’Antitrust americana il monopolio della Ticketmaster, mettendo a serio rischio la possibilità di suonare, salvo poi venir presi sotto l’ala protettrice (e dannatamente rock) di Neil Young

“Sono convinto che avendone l’opportunità, non ci si possa esimere dal prendersi certe responsabilità” dirà Jeff Ament dopo i fischi per Bu$hleaguer, ennesima presa di posizione senza paura dei Pearl Jam, questa volta contro la politica assassina dell’allora presidente George W. Bush.

Mike McCready racconta aneddoti mentre il suo figlioletto gli gioca vicino. Stone ci fa entrare nella sua abitazione. 4/5 della band è sempre la stessa. Il definitivo batterista si siede ai tamburi a partire dal 1998, ma è uno di famiglia. Quel Matt Cameron che ha viso crescere i PJ e ha suonato nell’album Temple of the Dog

“Credo che questa band sia solo all’inizio” dice un fan a fine film. “Credo che ogni volta che iniziamo ad ascoltare una loro canzone sia l’inizio di una nuova storia” mormora qualcuno subito dopo nel silenzio della sala.

Dopo quasi due ore di proiezione, Pearl Jam Twenty si congeda con una versione dal vivo di Alive. Un messaggio diretto rivolto a Andy Wood, che si ricollega a quella immortale Crown of Thorns che Eddie Vedder stesso ha voluto interpretare insieme agli altri Pearl Jam, nel nome del loro amico scomparso. Una dedica questa che continua a echeggiare ovunque. Che sia il palco di uno stadio. Il garage di una cittadina del nordovest americano, o una sala cinematografica italiana.

"...Raccolgo le mie cianfrusaglie Non è la prima volta che la mia esperienza diventa una scelta senza vie d’uscita. Non è la prima volta che mi succede quando cerco di contare solo su qualche istinto capillare fioccato senza fare affidamento alla mia memoria...

Allora in tutta sincerità vi di dico che quei cerchi sullo specchio non sono mai stati il frutto della mia immaginazione. Nemmeno quando i troppi novembre dimenticati crederono di essersi salvati altrove. Vi voglio dire che… vi voglio dire... il potere… l’assuefazione… e noi... ecco, mi ritrovo a improvvisare anche se già immagino da che punto tutto debba ricominciare… stia ricominciando … ogni volta che noi…" l.f.


“Prima di entrare ero curiosa, emozionata e impaziente, e con una voglia indescrivibile d’immergermi in quel mondo fatto di capelli lunghi, cassettine e la voglia di urlare la propria rabbia in ogni modo” racconta la padovana Paola Mezzaro, “Film o documentario, non lo so. Di una cosa sono certa. È stato un tuffo dentro noi stessi, con i segni tangibili ancora visibili nello sguardo di ciascuno dei presenti. Mentre le immagini scorrevano e si intrecciavano con le storie dei grandi che hanno costruito pezzo dopo pezzo, alcuni anche pagando con la propria vita, questo periodo irripetibile della storia della musica, l'emozione in sala diventava sempre più palpabile. 

Ognuno cantava dentro di sé quelle canzoni sentite migliaia di volte da cd ormai consumati. Un mormorio inevitabile si è alzato quando la telecamera ci ha riportato al primo concerto nell’Arena di Verona. Chi c’era stato, lo voleva dire. Come un bisogno incontenibile: io c’ero! Perché tutti. Lì dentro. In quel momento. Abbiamo avuto la consapevolezza di scrivere un pezzo di storia”

Il trailer di Pearl Jam Twenty

Pearl Jam Twenty - il chitarrista Stone Gossard
Pearl Jam Twenty - Seattle
Pearl Jam Twenty - il cantante Andy Wood (1966- 1990)
Pearl Jam Twenty - il cantante dei Soundgarden Chris Cornell commosso nel ricordare Andy
Pearl Jam Twenty - il cantante Eddie Vedder nel video Jeremy
Pearl Jam Twenty - Jeff Ament e Stone Gossard nel processo contro la Ticketmaster
Pearl Jam Twenty - il rocker canadese Neil Young
Pearl Jam Twenty - il bassista Jeff Ament
Pearl Jam Twenty - il cantante Eddie Vedder
Pearl Jam Twenty - il chitarrista Mike McCready
Spiaggia di Cannon Beach (Oregon, USA): una dedica ai Pearl Jam © Luca Ferrari

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