"Non mi sono mai impegnato per risultare simpatico, ma solo per essere rispettato. Che cosa è stata la mia vita? Tante cose. Tanti posti. Tante conquiste. Tanti fallimenti. È stato amore, odio, problemi. Mi sono battuto in tutti i modi a me noti. Mi sono battuto perché ritenevo giusto battersi. Credo che nessuno debba temere le conseguenze perché tutti devono fare ciò che ritengono giusto. Mi sono battuto per i diritti dell'uomo, di tutti gli uomini, di tutte le razze, di tutte le religioni. Forse sarò sempre fuori dagli schemi. Forse quegli schemi non li capirò mai ma ci proverò" Bill Russell (Monroe, 12 febbraio 1934 – Mercer Island, 31 luglio 2022). Si congeda così il cestista pluricampione dei Boston Celtics nel documentario in due puntate Bill Russell, la leggenda dell'NBA (2023, di Sam Pollard), disponibile su Netflix anche in italiano e/o in lingua originale con i sottotitoli.
Bill Russell non è stato un semplice giocatore di pallacanestro. Sì, il più vincente della storia (11 titoli NBA di cui otto consecutivi), ma sembra davvero poca cosa rispetto a quello che ha fatto nella sua vita, quella fuori dal campo sportivo. Bill Russell nasce in un'epoca dove negli stati del sud degli Stati Uniti latita ancora il Ku Klux Klan. La discriminazione razziale è presente ovunque ma Bill non fa finta di nulla. Non si accontenta di vivere da privilegiato. Bill mette in discussione lo status quo. Affianca Muhammad Alì nella sua crociata anti-guerra del Vietnam. Ammira Martin Luther King ma appoggia le battaglie di Malcolm X. Bill Russell è un nero che vive nel mondo dorato dei bianchi. Se assiste a discriminazioni, Bill Russell non si gira dall'altra parte. Durante una trasferta lui e altri compagni non possono mangiare in un albergo perché neri. Per tutta risposta decide di non giocare la partita, riuscendo a coinvolgere nella protesta anche i giocatori avversari di colore.
Il documentario parla, ovviamente, anche di basket ripercorrendo l'intera carriera fin dagli esordi coi Boston Celtics e le inevitabili difficoltà una volta sbarcato nell'NBA. Anno dopo anno, la sua ascesa fu inarrestabile, diventando col tempo l'indiscusso leader della squadra, mettendo addirittura in discussione la leadership del leggendario capitano Bob Cousy, l'Houdini dell'hardwood. Quando quest'ultimo si ritira, la domanda che tutti si pongono, è: vinceranno anche senza di lui? La domanda passa quasi in secondo piano quando, complice un infortunio, il granitico coach Red Auerback (1917-2006) lancia il primo quintetto di soli neri, nel dicembre 1964. Una scelta che fa sobbalzare il giornalismo bianco di Boston, ancora palesemente in difficoltà con certi "pigmenti". Auerback è uno che va per la sua strada e ha un solo mantra: mettere in campo la formazione migliore. Il resto non conta.
La storia di Bill Russell passa inevitabilmente per quella di Wilt Chamberlain,il suo più grande rivale, quasi sempre sconfitto. Senza voler entrare in discorsi tecnici, ciò che emerge nel documentario è la capacità di Russell di giocare per la squadra e farla crescere. Un compito che assolse talmente bene da mal sopportare i riconoscimenti individuali. "Se vuoi essere un campione da solo, datti al tennis. Ma se vuoi vincere come in una famiglia, devi fare gruppo con i tuoi compagni di squadra" racconta Dikembe Mutombo parlando di Russell, dopo l'ennesima vittoria, in gara 7 contro i Warrios dove militava Chamberlain. Bill Russell non era la squadra dei Boston Celtics. Bill Russell giocò fin da subito per la squadra, qualcosa che "un certo" Michael Jordan al contrario, ci mise parecchi anni (e sconfitte) per comprendere. Bill e Wilt non erano solo rivali, ma anche amici. Quando si sfidavano, Bill andava a cena a casa della sua famiglia.
Oltre ai compagni/rivali di una vita, su tutti Wilt Chamberlain e Jerry West, il microfono passa alle glorie del più recente passato come un'altra indiscussa bandiera dei Celtics, Larry Bird, e via via i leggendari Magic Johnson e Kareem Abdul-Jabbar dei Lakers, fino all'altrettanto campionissimo Isiah Thomas dei Detroit Pistons (sui quali è stato realizzato il documentario Bad Boys, disponibile online su Disney+), che così ha detto parlando di Russell: "batterebbe Dio è il Big Ben. Ha cambiato le regole e infranto barriere", fino ai più recenti Shaquille O' Neal, Steph Curry, Jasyon Tatum e la due volte campionessa WNBA, Renee Montgomery. Russell vinceva sul campo ma fuori era tutta un'altra storia. Una storia bianca. Dopo il quinto titolo, cerca una nuova casa e per tutta risposta, quegli stessi fan che lo idolatrano sul parquet, firmano una petizione perché non venga venduta la proprietà cui è interessato. La moglie vorrebbe cedere ma Bill non si fa intimorire e dice: "Io ci tengo ai nostri figli. Non potrei guardarli negli occhi se tollerassi questi comportamenti. Non permetto a nessuno di dirmi dove posso vivere".
La vita di Bill Russell è un continuo alternarsi tra trionfi e impegno civile. "Combattevo contro i pregiudizi dei bianchi da una vita. Giocavo sempre in difesa, adesso volevo giocare in attacco" dice. Nel 1963 il movimento per i diritti civili prende forza grazie a Martin Luther King. Russell guida una marcia di protesta. Pochi mesi dopo c'è la storica marcia su Washington per i diritti civili e lì incontra King. Bill scende in prima linea. Tiene incontri nella zona del Mississippi a rischio della sua stessa vita. Conoscere la storia di Bill Russell significa confrontarsi col razzismo degli Stati Uniti, ancora oggi troppo minimizzato e lungi dall'essere sradicato, oltreoceano come in gran parte del mondo. Bill Russell è stato un uomo un esempio fino alla fine dei suoi giorni. Sette mesi prima di morire, mette all'asta tutti i suoi cimeli, inclusi i celeberrimi 11 anelli , trofei, maglie per devolvere parte del ricavato a progetti umanitari.
Bill Russell non chinava la testa davanti a nessuno, sul campo come nella vita. Era fermo e deciso, anche arrogante e scostante (celebre il suo rifiuto di concedere autografi). "Se fossi stato bianco, mi avrebbero detto che ero - fermo nelle convinzioni". In campo aveva una straordinaria visione di gioco. L'esperienza del college (oggi valore perduto che vede molti giocatori passare direttamente dalla high school alla NBA) gli aveva fornito un rigore da matematico. Scherzando, diceva "eravamo ingegneri spaziali in calzoncini". In campo Bill Russell era un giocatore intelligente, anche intimidatorio alle volte, ma sempre rispettoso. Naturale conseguenza, Bill diventa il primo atleta nero a ricoprire il ruolo di giocatore-allenatore e ovviamente sul suo cammino chi troverà? Wilt Chamberlain, naturalmente. Il tempo fa il suo corso e lì fuori sta cambiando troppo poco. Bill Russell si ritira nel 1969, chiudendo (manco a dirlo) con l'11° anello e battendo in finale gli arci-nemici dei Lakers con Chamberlain in campo.
Il documentario si chiude con la consegna della Medaglia della Libertà dell'allora Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama a Bill Russell, dicendo: "Conferiamo questa onorificenza a un uomo che rappresenta un modello. Ha reso possibile il successo di tanti altri dopo di lui. Spero che un giorno i bambini guarderanno una statua eretta non solo a Russell il giocatore, ma anche Russell l'uomo. Lei ha cambiato tante cose nella comunità e nelle relazioni razziali". Bill Russell fu battagliero fino alla fine, appoggiando la protesta del giocatore di football, Colin Kaepernick, che in seguito alla brutalità della polizia che aveva portato alla morte di George Floyd, aveva deciso di non alzarsi più durante l'inno nazionale americano, restando inginocchiato. Un gesto che anche Bill Russell fece, postando sui social, con un palese sguardo di sfida. Ecco, in quella immagine c'è tutto quello di cui parlava Barack Obama.
Nonostante il documentario sia vietato ai minori di 13 anni, ho guardato Bill Russell, la leggenda dell'NBA insieme al mio figlioletto di quasi 8 anni, grande appassionato di pallacanestro nonché giocatore dell'Alvisiana Basket Venezia. Spesso mi faceva domande. Domande legittime alle quali non era così facile rispondere, soprattutto quando mi guardava dubbioso su questioni complesse, tentando di capire perché la parola "nero" rimandi a segregazione, odio e razzismo. Attraverso la vita di Bill Russell mio figlio ha imparato a conoscere uno dei volti peggiori del mondo ma sono felice che l'abbia fatto con le gesta di un uomo che ha lottato per la giustizia e l'uguaglianza, dentro e fuori dal campo. Bill Russell non è stato un campione solo perché ha vinto 11 titoli NBA. Bill Russell sarà sempre IL CAMPIONE perché è un uomo che non si è mai tirato indietro davanti a nulla e a nessuno, sul campo e nella vita. Che si trattasse di Wilt Chamberlain o di un'ingiustizia, Bill Russell è sempre sceso in campo dando il massimo e guardando l'avversario diritto negli occhi senza timore. Questo fa di Bill Russell, la leggenda dell'NBA.
Bill Russell, la leggenda dell'NBA
Bill Russell, la leggenda dell'NBA
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