La signora dello zoo di Varsavia (2017, di Niki Caro) |
di Luca Ferrari
"Un altro film sul nazismo? Ma no, basta. Sono passati più di 70 anni dalla fine della II Guerra Mondiale e ancora vanno avanti 'sti radical chic, ma sono fuori dal tempo! Ormai è preistoria". Ieri sera ero pronto per andare a vedere al cinema La signora dello zoo di Varsavia (2017, di Niki Caro), storia vera che vide protagonista Antonina Żabińska (Jessica Chastain) e suo marito Jan (Johan Heldenbergh), direttore della struttura nella capitale polacca al tempo dell'invasione tedesca, nascondere ebrei nelle gabbie degli animali.
Ho avuto un imprevisto all'ultimo e non sono riuscito a vederlo eppure, ispirato anche da una interessante conversazione avuta con la collega E. Nina Rothe, giornalista dell'Huffington Post, da ieri continuo a pensare a questo film domandandomi chi al giorno d'oggi, in un'ipotetica nuova guerra mondiale, saprebbe osare tanto, mettendo a repentaglio davvero la propria esistenza per quella degli altri. Un tempo era facile comandare le masse perché erano all'oscuro di tutto. Oggi che sanno (credono di sapere) ogni cosa, lo è ancora di più.
Ma forse è lo scenario che sarebbe diverso. Le guerre mondiali non sono più in grado di produrre sconfitti e supremazia. Oggi al contrario assistiamo alle guerre locali, di quartiere. Topi di fogna che latrano nel modo più sguaiato possibile cercando di schiacciare gli ultimi arrivati della colonia, puntandogli ogni cosa contro, ignorando del tutto chi nasconda il veleno mortale tra quei rifiuti per cui si sbranano ogni giorno pur di arraffare.
Si, è passata qualche decade dalla fine del Secondo Conflitto Mondiale ma giorno dopo giorno in Italia (e non solo), l'orgoglio nazionalista che non si sa bene perché ormai sia inscindibile da xenofobia, ignoranza e razzismo, sta guadagnando sempre più spazio nei pensieri del prossimo. Nel Bel paese stiamo assistendo a un vero attacco di nostalgia per il Duce Benito Mussolini (ormai i suoi calendari nelle edicole si trovano sempre di più, ndr), un uomo che si è macchiato dei crimini più efferati ma ehi, sapeva mantenere l'ordine quindi va bene.
Impariamo dalla storia, è ora di abbattere il mito di questa frase o meglio la veridicità. Se fosse davvero così, non passerebbe giorno in cui nel mondo non prospererebbero amore e felicità. Non è così. È molto raro. Le ideologie di una volta ormai hanno lasciato il campo all'opportunismo più bieco e gli unici che ancora si arrogano l'orgoglio di un'idea (o presunta tale), sono quelle peggiori. Quelle che non lasciano spazio agli altri. Quelle che inneggiano a una non troppo velata superiorità. Di cosa, non si sa bene.
Dalle Alpi alla Sicilia, gli orrori del Fascismo sono stati dimenticati troppo in fretta perché alla fine è sempre colpa dell'altro, mentalità questa ancora tragicamente dilagante in Italia. Oggigiorno gli orrori del Fascismo in Italia sono stati in qualche misura ridimensionati in nome di un odio populo-politico verso tutto e tutti (o quasi), dove chiunque è un esperto, sempre pronto a social-sbandierare una pseudo-idea che col Duce vivremmo prosperi, non ci sarebbe corruzione e saremmo una nazione potente. Le fake news al riguardo che si trovano su Facebook poi, sono imbarazzanti, specie per chi ci crede.
Cosa può fare il cinema in tutto questo? Niente, è ovvio. Tra i film più recenti passati sul grande schermo, La veritò negata (2016, di Mick Jackson) con Tom Wilkinson, Rachel Weisz e Timothy Spall, ispirato alla vera vicenda tra la professoressa Deborah Lipstadt e lo scrittore David Irving, ha toccato tasti molto importanti quali la memoria e il negazionismo ma come detto a più riprese, l'arte al massimo può ispirare un cambiamento e non certo esserne il soggetto principale.
Interessanti anche la storia vera di Maria Altmann (Helen Mirren) in Woman in Gold (2015, di Simon Curtis) e Lo stato contro Fritz Bauer (2015, di Lars Kraume).
L'arte e dunque anche il cinema possono essere un pezzo del mosaico ma di sicuro finché la gente continuerà a riempirsi la bocca, o meglio i post, di slogan e gli sproloqui senili di persone come la giornalista Oriana Fallaci, capaci solo di istigare all'odio e alla paura, c'è ben poco da fare. Anche e perché dall'altra parte c'è il nulla. Non c'è una cultura vera fondata sui valori degni di una società civile. Quando il gioco si fa pesante, pur di non perdere i voti, si fa un passo indietro sulle tematiche più variegate. Non esiste un fronte compatto capace di respingere l'odio con un'autentica e aggiornata cultura multietnica.
Dopo l'originale Lui è tornato (2015, di David Wnendt), film basato sull'omonimo bestseller satirico di Timur Vermes e ispirato a un immaginifico ritorno nella Germania contemporanea di Adolf Hitler, nel 2018 il regista nostrano Luca Miniero (Benvenuti al Sud, Un boss in salotto, Non c'è più religione) porterà sul grande schermo il remake italiano con protagonista ovviamente Benito Mussolini. Posso già immaginare che le reazioni saranno molto diverse tra il pubblico delle ex-Potenze dell'Asse e temo andranno nella direzione opposta.
Sono passati più di 72 anni da quando le truppe sovietiche dell’Armata Rossa scoprirono il campo di concentramento di Auschwitz ma per ancora troppa gente sono solo fandonie montate. E in Italia poi, è stato impiccato un grande uomo per mettere al governo dei farabutti. “Lui toglierà loro la libertà e loro l'ameranno per questo” sentenziava preoccupato il senatore Gracco (Derek Jacobi) ne Il Gladiatore (2000, di Ridley Scott). Quello era “solo” un film dopo tutto. Già, ma perché allora è ancora così dannatamente vero?
Lui è tornato (2015, di David Wnendt) |
La verità negata (2016, di Mick Jackson) |
La signora dello zoo di Varsavia (2017, di Niki Caro) |
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