The Last Dance - il pubblico di Detroit sbeffeggia Michael Jordan |
di Luca Ferrai
Michael Jordan, il miglior giocatore della NBA, per tre anni consecutivi fu rimandato a casa dai fisici Detroit Pistons di Thomas, Rodman e Laimbeer. Jordan le provò tutte ma non ci fu niente da fare. Poteva anche essere l'erede dei "bravi e belli" Magic Johnson e Larry Bird ma sul campo erano i Bad Boys Detroit Pistons a dettare legge. Su Netflix è sbarcata la serie The Last Dance (2020, di Jason Hehir). Dei tanti episodi narrati, la sfida per superare l'ostacolo Pistons è senza dubbio l'emblema del più grande cestista di tutti i tempi.
Michael Jordan non voleva solo vincere. Michael Jordan non si accontentava di vincere. Per lui era inconcepibile che altri venissero messi al suo stesso livello senza meritarlo. E chi osava tanto, doveva essere spazzato via. Fu il caso di Clyde "The Glide" Drexler, arrivato alla finale NBA 1992 con i suoi Portland Blazers, e schiacciato fin dalla prima partita con un Jordan deciso a dire al mondo che lui era di un livello superiore. Ogni gara, ogni finale fu una motivazione differente. Dall'agognato primo titolo strappato ai Lakers fino all'ultima sfida contro gli Utah Jazz di Stockton e Malone, quest'ultimo "colpevole" di avergli rubato il titolo di MVP nella Regular Season 1996-97, così come accadde anche al vulcanico Charles Barkley nel 1992-93 con i Phoenix Suns, e poi piegati dai Bulls in finale.
Jordan schiacciasassi per se stesso e per il fido compagno Scottie Pippen, cresciuto al suo fianco, e difeso a spada tratta contro il capace manager Jerry Krause, che voleva portare a Chicago il cestista croato Tony Kukoc. Alla prima sfida contro la neonata Croazia alle Olimpiadi di Barcellona '92, tutto il Dream Team e in particolare Jordan-Pippen, non lo fece arrivare a canestro. Jordan e il rapporto con l'amato coach Phil Jackson, il cui destino e permanenza nei Chicago Bulls andarono di pari passo. Ma queste sono storie che tutti conosciamo. Questo è il Jordan dominatore. Ampio spazio nell'avvincente The Last Dance anche per Dennis Rodman. Tanto border line nella vita privata, quanto ligio e decisivo a fianco di His Airness.
Due puntate uscite a scadenza settimanale, ogni lunedì. Un racconto avvincente per chi conosce il campione e chi no. A tenere separato il fuoriclasse dalla leggenda, loro i Detroit Pistons. Dopo la bruciante sconfitta in gara 7 nella finale di Eastern Conference nel 1990, era tempo di cambiare a cominciare da se stesso. Jordan iniziò un allenamento anche muscolare, capace di metterlo nelle condizioni di resistere e soprattutto rispondere ai colpi dei Pistons. Le famose "regole Jordan" fino a ora avevano funzionato ma quando i Bulls si presentarono nella nuova finale con i bi-campioni (consecutivi) di Detroit l'anno successivo, la storia cambiò perché un uomo piegò il destino al proprio volere.
Ecco allora i Pistons uscire dal campo addirittura prima della fine della partita senza nemmeno stringergli la mano sotto lo sguardo "inorridito" di Michael. Ecco, è lì che la storia di Michael Jordan diventa cinema. E' in quella serie che Michael Jordan diventò una star della settima arte (mondo nel quale comunque lasciò il segno nel divertente Space Jam insieme ai Looney Tunes). Molto più del suo incredibile e trionfale ritorno dopo la parentesi "esistenziale" nel baseball, è nella sfida con chi lo aveva sempre battuto che Michael Jordan iniziò davvero a volare.
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