di
Luca FerrariGli spazi sconfinati degli Stati Uniti. Vagabondi, ma non reietti. Senza una casa, ma non senza un tetto. Le carovane dei nomadi moderni hanno abbandonato le proprie abitazioni. Chi per scelta. Chi perché senza più un lavoro. Chi perché senza più l'amore. L'America e l'orizzonte sconfinato. Un mito che pulsa ancora forte nelle gambe e nei cuori provati degli americani. Il capitalismo colpisce. Gli esseri viventi cercano un'alternativa, un'altra strada. In queste case motrici i nomadi si portano dietro tutto il loro mondo. Si incontrano con altre anime. Le comunità si trovano e si perdono. Gli esseri umani si raccontano. E' tornato sul grande schermo il pluripremiato
Nomadland (2020, di
Chloé Zhao).
Fern (
Frances McDormand) è una vedova. Perso il lavoro durante la grave crisi economica nel primo decennio degli Anni Duemila, ha deciso di mettersi in viaggio. La cittadina dove ha vissuto per anni insieme al marito si è ormai svuotata. Davanti a lei c'erano solo i ricordi, la solitudine e la fame. Non si è persa d'animo e ha iniziato a viaggiare. Un viaggio senza fine. Per lei i ricordi sono tutti dentro di sé e il proprio furgoncino, riadattato per cucinare e dormire. Una piccola casa mobile su quattro ruote. Le sue giornate dovrebbero essere l'antitesi della vita monotona tra le ormai solitarie quattro mura domestiche. Quelle portiere che dovrebbero raccontare una moderna storia di libertà, sono un'ancor più illusoria prigione.
Così, quando cede all'invito del reietto nomade Dave (
David Strathairn), diventato nonno e ben accolto da figlio e nuora, ecco Fern, banalmente non riuscire a dormire nel letto che le hanno preparato, finendo per rifugiarsi nel suo postribolo parcheggiato, e l'indomani alle prime luci dell'alba andarsene senza nemmeno un biglietto di amichevole ringraziamento. Fern se ne va. Anima inquieta alla ricerca di quella serenità perduta per sempre che con non troverà mai più. Fern preme l'acceleratore e il freno. Oggi si fermerà un paio di giorni. Domani chissà. Fern ormai ha rotto con i paradigmi della società. Forse il suo posto è solo on the road. Forse anche no, ma non sembra importarle molto.
Fern si sposta a seconda del lavoro da fare per campare, passando da impacchettare per Amazon a raccogliere barbabietole. Indipendenza e libertà estrema, è davvero questa la ricetta per affrontare le idre impazzite della macchina fabbrica-soldi? Ma per quanti anni ancora riuscirà a farlo? E se le dovesse succedere qualcosa? Una gomma bucata? Un improvviso malore? Potrebbe non esserci nessuno accanto a lei ad aiutarla. A molti di questi nomadi è andata esattamente così. Qualcuno è stato fortunato, altri meno. Fern guida. Fern pensa. Fern fa il bagno. Fern si fuga una sigaretta. Fern sta da sola. Fern sta insieme agli altri. Fern offre il caffè a sconosciuti. Fern resta in silenzio. Forse vorrebbe qualcosa di più e di diverso, ma oramai è fuori tempo massimo.
Cosa si potrebbe aggiungere a un film che ha vinto il
Leone d'oro al 77. Festival di Venezia, e sbancato i
Golden Globe e gli
Oscar?
Nomadland gioca una partita molto facile, affidandosi in tutto e per tutto al viso segnato di una grandissima attrice,
Frances McDormand (
Mississipi Burning,
Fargo,
Tre manifesti a Ebbing - Missouri), e i libertini spazi americani. Nessuna analisi economica. Nessuna introspezione interiore se non quel minimo indispensabile per fare apparire la protagonista come una fiera voce fuori dal coro, controcorrente.
Nomadland è l'usato sicuro che piace e tocca l'anima sofferente (chi non ce l'ha?,
ndr) di un mondo sempre più alla ricerca della scialuppa di salvataggio,
La telecamera regala ossessiva allo spettatore costanti ed estenuanti primi piani della protagonista. Fern pacata ma interiormente, una bomba pronta a esplodere. Continua testarda in questo pattinare sulle strade americane, ma molto
SexPistolsianamente sbanda sulla via del
there is no future. Non c'è la poesia di una vita
IntotheWildiana a contatto con Madre Natura, ma la triste caducità dei noodles precotti e riscaldati. Monta l'angoscia, deglutita come un grumo di sangue alla ricerca di una via (ferita) d'uscita ma al massimo potrà fare marcia indietro e ricominciare. Ancora, e ricominciare ancora in un monotono e dantesco girone.