Cosa ci si può inventare per sorprendere qualcuno abituato a vivere al massimo e fare di ogni serata qualcosa di leggendario? È quello che si chiedono preoccupati Ted (Josh Radnor) e Marshall (Jason Siegel), decisi a far vivere un addio al celibato senza precedenti all’amico Barney (Neil Patrick Harris). In loro soccorso però scende in campo la futura sposa Robin (Cobie Smulders), capace di mettere su una messinscena a dir poco... LEGGENDARIA.
È ormai finita la sitcom How I Met Your Mother (in principio tradotta con un letterale E alla fine arriva mamma). Tra guest star sparse in tutta la serie, nel 22° episodio dell’VIII stagione, "L'addio al celibato" (The Bro Mitzvah), fece il suo trionfale ingresso (nel ruolo di se stesso) il protagonista del cult "eighties", Karate Kid (1984, di John C. Avildsen).
Fin dalle prime puntate però, Barney aveva sempre manifestato la sua profonda ammirazione per i cosiddetti “cattivi” della cinematografia. Non faceva eccezione nemmeno la sopracitata pellicola, anzi. Per lui il solo grande e vero Karate Kid non era il giovane eroe Daniel LaRusso (Ralph Macchio) ma il ricco bullo Johnny Lawrence (William Zabka) del dojo Kobra Kai, reso ancor più violento dopo aver visto la sua ex-ragazza Ali (Elizabeth Shue) cadere tra le braccia del nuovo arrivato.
Ecco l’idea dunque. Regalare a Barney tutto quello che adora, ma al contrario. Ossia il peggio. Nulla di meglio dunque di una scarna stanza d’albergo con vista (lontana) su Atlantic City. Un ambiguo clown. Una spogliarellista che altri non è se non Quinn (Becki Newton), l’ex del promesso sposo, e per finire la perdita di migliaia di dollari al casinò con tanto di abbandono alla mafia coreana di Marshall. Ciliegina sulla torta, la presenza del "karate kid" sbagliato, Ralph Macchio per l'appunto, a cui il festeggiato riversa subito il proprio disgusto.
Lo scherzo (apprezzato) sarà rilevato ma la vera sorpresa deve ancora presentarsi. Sotto quell’enorme vestitone rosso a pois, parrucca e cerone bianco infatti, si nasconde…
Barney: Io odio Ralph macchio!
How I Met Your Mother - R. Macchio, Lily (A. Hannigan), Barney (N. P. Harris) e Marshall (Jason Siegel)
How I Met Your Mother - Ralph Macchio, Barney (Neil Patrick Harris) e Ted (Josh Radnor)
How I Met Your Mother - Ralph Macchio, Barney (Neil Patrick Harris), Ted (Josh Radnor) e il clown
How I Met Your Mother - il clown si rivela a Barney ed è...
How I Met Your Mother - ... l'attore William Zabka, l'idolo "karatekiddiano" di Barney
How I Met Your Mother - l'abbraccio tra Barney (Neil Patrick Harris) e William Zabka
1990-91. Nella piccola cittadina di Twin Peaks la giovane Laura Palmer viene rinvenuta in un telo di plastica a ridosso di una cascata. A indagare sul misterioso omicidio viene mandato l'agente federale Dale Cooper. Inizia così un memorabile viaggio oscuro dove il regista David Lynch (Eraserehead, The Elephant Man, Mulholland Drive) ci mostra ciò che non si vede, ma diabolicamente esiste. Venticinque anni dopo si ricomincia. Perché?
È stata la prima serie adulta con cui mi sono confrontato. Due anni fa ho avuto il piacere di andare proprio lì al Twede's Cafe, sedermi e gustare il caffè nero, mangiare un cheeseburger con patatine e chiudere con l'inimitabile torta di ciliegie. Ho entrambe le serie a disposizione in qualsiasi momento. In tutta franchezza posso dire che conosco alquanto bene I segreti di Twin Peaks, di David Lynch, trasmessa in Italia a inizio anni Novanta.
Da qualche giorno è rimbalzata la clamorosa notizia. A venticinque anni dall'anniversario della messa in onda dell'ultimo episodio della serie, il geniale regista David Lynch tornerà dietro la telecamera per dirigere la terza stagione formata da nove nuovi episodi (come la prima) già programmati per il 2016. A differenza però di moltissimi fan e/o colleghi che hanno plaudito l'iniziativa, io non ne sono per nulla contento.
Ecco nove considerazioni:
1. Nell'allora panorama dominato da serial positivi, Twin Peaks fu un'autentica sassata in mezzo agli occhi. Un serial oscuro che si sposava alla perfezione con una certa cupezza sonora nella nascente (per l'Europa) scena musicale della vicina Seattle (Twin Peaks è il nome di una montagna dietro il comune di North Bend, dove è ambientata la serie, a mezz'ora di macchina dalla principale città dello stato di Washington, ndr). Oggi difficilmente potrebbe dire qualcosa di nuovo
2. Riprendere in mano un serial più di vent'anni dopo significa o snaturarlo del tutto o fare un'operazione da Geriatrick Park.
3. I revival o remake hanno il più delle volte miseramente fallito e sono stati dettati dal mero interesse economico. In passato si è parlato di riprendere anche Friends, per fortuna al momento un pericolo scongiurato
4. Già la seconda serie di Twin Peaks non fu all'altezza della prima, meno lineare e con un'esagerazione spropositata di legami tra i personaggi fino all'esasperazione conclusiva sebbene addolcita da una scena finale grandiosa. Il film Fuoco cammina con me (1992) poi, fu il peggio realizzato da Lynch. Da un regista del suo calibro è lecito aspettarsi qualcosa di nuovo e non operazioni nostalgia
5. In un'epoca dominata da polizieschi-investigativi di tutte le salse spesso contesi tra realtà e occulto, il sig. Lynch si è imbarcato in un'avventura dove rischia di mettere a repentaglio anche il ricordo dei primi lavori
6. Per chi vide Twin Peaks in diretta sarà difficile immaginarsi i protagonisti immersi in social network e l'attuale mondo contemporaneo. Il cinema è lo specchio di un tempo. Quell'epoca oggi non ci può più essere così come una sua degna continuazione
7. Troppi personaggi morti. Che farà Lynch? Ne aggiungerà di nuovi o si accontenterà di far tornare il probo James per sfidare gli eredi demoniaci di Bob incluso Leo che in qualche modo si sarà salvato dalla stretta mortale di Windom Earle?
8. Twin Peaks segnò il trionfo del male sul bene. Una linea molto poco americana. A cosa andremo incontro? Se trionferà il bene, sarà una banalità. Se sarà il lato oscuro a vincere, l'avremo già visto.
9. Sarei felice di sbagliarmi su tutti i punti appena scritti
Una
mafioso con coppola e lupara con su scritto sotto Repubblica Italiana.
Non si può non cominciare dalla locandina del nuovo lungometraggio di
Sabina Guzzanti,La Trattativa, film presentato nella sezione "Fuori Concorso" della 71°
Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Un viaggio di
oltre un’ora e mezza in quanto più di marcio ci sia sotto la flebile e
stantia patina della fasulla democrazia italiana collusa con la mafia.
Uno stato ancora incapace di voltare pagina. Uno stato sceso a patti con
brutali assassini che hanno falciato senza pietà uomini integerrimi che
si sono battuti per la verità e la giustizia.
Al centro
del nuovo lavoro dell’ostracizzata Guzzanti, la trattativa Stato-Mafia.
Una realtà indiscutibile dove le ipotesi non trovano posto (se non nel
finale dove la regista e i suoi collaboratori immaginano cosa ci fosse
scritto nella famosa agenda rossa dell’assassinato giudice Paolo
Borsellino) ma si uniscono i pezzi di un puzzle che il popolo ancora non
conosce o non vuole vedere. Dagli anni Settanta fino alla metà degli anni Novanta l’Italia fu teatro di stragi ed
esplosioni. Una realtà anestetizzata da un liberismo che altro non fece
se non stringere le tenaglie invisibili di una dittatura fondata sul
ricatto, l’estorsione e l’omicidio.
Utilizzando
un’originale formula cinematografica basata su filmati d’epoca,
rappresentazioni teatrali di ciò che accadde con gli stessi attori a
scambiarsi i ruoli, passando da malavitosi a forze dell’ordine, La
Trattativa entra nel vivo. Si assiste ammutoliti alla proiezione. Non si
può non piangere né non provare una rabbia incontenibile dinnanzi
all’omertà che ha segnato la storia della seconda Repubblica. E se a
qualcuno fosse sfuggito, l’Italia è in guerra. Non ci sono le barricate
nelle strade e non ci si spara apertamente ma sempre scontro è. Uno
conflitto deciso dai piani alti della politica e che, cosa assai grave,
non intende porvi la parola fine. Non c’è miglior segreto di qualcosa
messo alla luce del sole, ed è quello che è avvenuto e sta accadendo in
Italia.
Dalle terribili esecuzioni dei giudici Falcone
e Borsellino ai primi grandi arresti dei boss di Cosa Nostra, passando
per le successive esplosioni, l’allucinante soppressione del regime di
carcere duro del 41bis. Un’azione quest’ultima non contestata nemmeno
dalle più alte cariche dello Stato. E poi, c’è lui. L’ex-premier Silvio
Berlusconi, il cui partito Forza Italia venne creato (e deciso) per un
unico e solo grande scopo: permettere la connivenza più pacifica e
manipolatrice della mafia. Una realtà fuori da ogni logica e che solo in Italia può continuare a
convivere senza che prenda corpo una vera rivoluzione.
“Non è neanche passata
mezz’ora dalla fine dell’anteprima stampa del film La Trattativa (di
Sabina Guzzanti) e sono ancora scosso. Ripenso ai volti di tutti quei
morti ammazzati. Nella mia mente echeggiano parole come P2, Totò Riina,
Massoneria, Silvio Berlusconi, Bernardo Provenzano,
Marcello Dell’Utri, strage di Capaci, esplosivo. Non è ancora passata
mezz’ora e mi guardo attorno cercando negli occhi di chiunque mi passi
attorno una traccia di attonito orrore. E l’Italia, dilaniata da
liberatori politici, è ancora nel 2014 incatenata e torturata da forze
dolorosamente mimetizzate in qualsiasi strato della società civile.
Sottoposta a un costante lavaggio del cervello dove si cancella la
memoria dell’orrore".
Per
anni Sabina Guzzanti è scomparsa dal piccolo schermo. La sua voce così
affilata e fuori dal coro è in grado di ribellarsi. E intanto il
neo-premier Matteo Renzi, nel nome del cambiamento, è ancora a trattare
con quello stesso Berlusconi. Ma cos'è davvero l’Italia? Un
vicolo cieco dove non sono ammesse domande scomode, dove i ribelli sono
vittime designate. Una nazione fallimentare dove la parola – giustizia –
si può al massimo sussurrare perché Falcone non è morto. L’agenda rossa
di Borsellino non è mai esistita. La mafia è un’invenzione. La politica
e le forze dell’ordine sono tutti onesti.