Alla ricerca di Dory - Nemo, Dory e il polpo Hank |
di Luca Ferrari
Un pesce chirurgo con l’handicap della memoria a breve termine. Una storia toccante per l’ennesima volta più adulta che non bambina. Tornato a casa il piccolo Nemo, è ancora la famiglia il fulcro della nuova ricerca oceanico-PIXARIana. Alla ricerca di Dory (2016, di Andrew Stanton) è un film graficamente ineccepibile. Sentimentalmente perfetto. Forse anche troppo. Talmente bello dal chiederti se non fosse stato il caso di sbagliare qualcosa.
Lì, sulla barriera corallina, la vita acquatica ha ripreso a scorrere placida. Dory però, in qualche raro barlume di ricordo lontano, le sovviene di aver perduto la propria famiglia. Inizia una nuova avventura alla quale non si sottraggono Marlin e Nemo destinazione l’acquario Gioiello di Morro Bay, California. Con la complicità della tartaruga centenaria “ciaobbbello” Scorza (voce originale del regista stesso) e il figlioletto Guizzo, la combriccola arriva diiritta verso la sua meta.
Scorci di memoria iniziano a farsi strada, ed ecco Dory ritrovare i vecchi amici d’infanzia, lo squalo balena Destiny e il problematico beluga Bailey. Sul suo cammino (acqueo), le viene incontro il polpo camaleonte Hank, per nulla intenzionato a essere ributtato nell’oceano ma desideroso di godersi la vita placida nella rinomata struttura di Cleveland (strizzando un po’ troppo l’occhio ad Alex il Leone di Madagascar).
Dory è commovente. I suoi ricordi da piccina con tanto di occhioni da “gatto Shrekiano” sono un inno alla tenerezza. I suoi genitori, Charlie e Jenny, hanno dovuto affrontare il dramma peggiore: la scomparsa della propria figlia, ma non si sono dati per vinti e hanno lasciato tracce in modo che un giorno, se Dory fosse riuscita a ricalibrare la propria mente, li avrebbe ritrovati.
Dicembre 2003, un cinema fiorentino. Fu la mia prima volta con l’animazione del terzo millennio. All’epoca si parlava ancora di cartoni animati. All’epoca era tutto ancora un po’ grezzo. Alla ricerca di Nemo (2003, di Andrew Stanton) fu qualcosa di inaspettato. Mai visto prima. Rimasi a bocca aperta. Rimasi scioccato da quello che avevo appena visto sul grande schermo. 13 anni dopo l’emozione non è più la stessa.
Sono lontani i tempi di Up e Ratatouille, dove le storie dei Pixar Animations Studios avevano qualche scintilla in più. Col passare degli anni la qualità grafica e le esigenze di mercato ormai incentrate sui cosiddetti “young adult” ne hanno alterato la forma. Prima il troppo Disneyano The Brave – Ribelle (2012), poi l’altrettanto perfetto Inside Out (2015), e ora Alla ricerca di Dory. Tre colossi d’animazione che peccano di quella semplicità basilare per rendere un’opera davvero completa.
Il modo di agire di Dory è frutto dell’improvvisazione, senza un apparente piano deciso e ragionato. Segue l’istinto. Si arrangia con quello che ha, come il piccolo Nemo con la penna atrofica. Avere qualcosa di diverso dagli altri non significa valere di meno, e questo lo capirà perfino il meno ardimentoso Marlin. Qualcosa cui anche il burbero Hank si affiderà per far si che tutti “nuotino felici e contenti”.
“Volere è potere”, sembra sussurrare Dory. In un mondo giovanile e adulto dove il bullismo regna su tutti i livelli, un’opinione differente è sufficiente per far emergere tutta la bile nascosta o un torto (presunto) subito è sufficiente a mettere la parola fine alle relazioni umane, Alla ricerca di Dory (2016, di Andrew Stanton) è una dolce lezione di vita. Una strada che i tanti piccini venuti a vederlo, confidano inconsciamente che i propri genitori possano sostenere e a loro insegnare.
Alla ricerca di Dory - (da sx) il beluga Bailey, il polipo Hank, Dory e lo squalo balena Destiny |
Alla ricerca di Dory - Guizzo, Marlin e Dory |
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