Io, Daniel Blake – Katie (Hayley Squires) e Daniel (Dave Johns) |
di Luca Ferrari
Daniel ha appena accompagnato Katie e i suoi due figli in una mensa dei poveri. Una gentile signora le chiede cosa desideri. A un certo punto la giovane mamma apre frenetica una scatola di fagioli col sugo per mangiarli così, scoppiando poi in lacrime. Ha fame. Non ce la fa più. Il sistema l’ha abbandonata. Non vuole la carità. Vorrebbe solo lavorare e vivere in modo dignitoso. Ken Loach accende la telecamera nel doloroso mondo della classe lavoratrice contemporanea. Un universo sempre più sfiancato, allo stremo e ignorato. Io, Daniel Blake (2016).
Daniel Blake (Dave Johns) è un falegname vedovo di Newcastle. Di recente ha avuto un attacco cardiaco e per questo i medici gli proibiscono di lavorare. Allo stesso tempo però il sistema sociale inglese non gli riconosce l’indennità di malattia. Per l’ormai anziano Daniel ha inizio un calvario nell’ottusità di burocrati che nel nome di non si sa bene quale competenza, giudicano e decidono della vita altrui senza un briciolo di umanità nè la volontà di capire la situazione caso per caso.
Nella cittadina inglese intanto è arrivata la giovane Katie (Hayley Squires) coi suoi due figli Dylan (Dylan McKiernan) e Daisy (Briana Shann). Abitava a Londra, ma il sistema l’ha sfrattata. Qui ha una casa ma anche da queste parti la macchina burocratica non arretra di un millimetro. È in difficoltà ma l’unico ad accorgersene sembra essere Daniel. Katie sta cercando disperatamente un lavoro ma più di porte sbattute in faccia non raccoglie, finché si ritrova alle mense della carità insieme a sempre più persone.
Daniel le da forza ma lui stesso comincia ad arrancare. Le bollette vanno pagate ma se non lavora e non ha alcun sostegno, come si fa? Per lo Stato deve lavorare, e pertanto viene spedito a ridicoli workshop dove la parola d’ordine è aria fritta. Già il mettere persone alla soglia della pensione e giovani insieme significa avere un unico obiettivo: confonderli fino allo resa per assenza di forze. Un gioco perverso e spietato dove uno dopo l’altro, prima o dopo, cadono tutti. Gli sciacalli si cibano delle loro membra. Un indistinto e incestuoso pasto di carne umana i cui resti giacciono scuoiati alla luce del sole, invisibili e indifferenti alla vista.
Nel resto del Regno Unito come in gran parte dell’Unione Europea la working class è sempre più allo sbando. Obsolete associazioni sindacali sanno solo chiedere senza ottenere, e alle volte non fanno più neanche quello. Gente senza più anima vomita parole verso persone che chiedono soltanto il minimo: quel poco per poter dare a se stessi e alla propria famiglia un’esistenza fatta di un tetto e dei pasti caldi. Non c’è più neanche quello. Ci sarà sempre meno perché nessuno fa davvero qualcosa.
Non ci sono vincitori nella classe operaia. Ken Loach racconta un mondo a dieta sempre più stretta di umanità. Che tu sia un giovane diplomato, un quarantenne con famiglia o un settantenne che non ha la minima idea di come si accenda un computer, al Sistema non interessa. La sua strategia è semplice: stordirti, metterti all’angolo e stritolarti. Continuerà così. È stato bravo. Ci ha divisi in mille e stupidi modi. Potremmo impedire che tutto ciò avvenga ma non ci interessa perché non ci ha ancora abbastanza toccato. E se l’ha già fatto, non siamo più in grado di reagire, nemmeno se avessimo il vento in poppa dalla nostra parte.
Il protagonista di Io, Daniel Blake è un uomo senza più l’amore della sua vita ma non cede all’autodistruzione né se la prende con chi ha meno di lui. È stimato dai colleghi e ogni tanto si fa due chiacchiere con il giovane vicino China (Kema Sikazwe), senza lesinargli qualche tirata d’orecchi. Suo malgrado si ritrova a combattere contro il Sistema. Sa che lo scontro è impari. Non è lì per dare l’esempio o fare il martire di una rivoluzione che non comincerà mai. Dopo aver dato tanto alla propria nazione, vorrebbe semplicemente ricevere le medesime attenzioni.
I figli di Katie ereditano un mondo che non fa prigionieri. La piccola Daisy è stata aiutata da Daniel e ora lei vuole ricambiare il favore. Viene presa in giro dalle compagne di classe perché la madre deve usare la colla per rattoppargli le scarpe. Glielo dice innocente senza versare neanche mezza lacrim. Nel cuore della notte si stringe a fianco di quella donna che è disposta a tutto pur di comprare a lei e al suo fratellino frutta fresca qualche giorno alla settimana.
Ken Loach (My name is Joe, Il mio amico Eric, Il vento che accarezza l’erba) va controcorrente. Il mondo crede che solo i supereroi possano cambiare le cose, lui più banalmente è convinto che siano gli uomini le leve per qualsiasi mutamento. Insieme al fedele sceneggiatore Paul Laverty entra dentro una realtà tragi-comune. Storie di vite in fila per cercare di sedare le lacrime della propria dignità perduta. Il necrologio è già pronto. Resta solo il nome e cognome da scrivere. La fine è arrivata ma forse qualcuno si ricorderà di quando siamo nati e cosa abbiamo vissuto.
Vincitore della Palma d’oro alla 69° edizione del Festival di Cannes e nello stesso anno anche del Premio del pubblico al Festival di Locarno, Io, Daniel Blake è molto di più di un film. La telecamera di Ken Loach si prende la responsabilità di lasciarti qualcosa dentro. Distribuito in Italia da Cinema srl, Io, Daniel Blake è uno di quei rari film capaci d’ispirare l’animo guerriero di chi è ancora convinto che loro non debbano vincere. Si, ci sono ancora quelli là e Daniel Blake lo aveva capito bene. Daniel Blake li ha guardati in faccia e ha deciso della sua vita.
Io, Daniel Blake – Daniel (Dave Johns) |
Io, Daniel Blake – Katie (Hayley Squires) con i figli Dylan (Dylan McKiernan) e Daisy (Briana Shann) a contatto con zelanti burocrati sociali |