L'insulto - Yasser (Kamel El Basha) e Toni (Adel Karam) |
di Luca Ferrari
Rancori. Pregiudizi. Parole non dette. Scontro fratricida. Sofferenza. Due uomini contro. Due nazioni contro. Due lancinanti bisogni di riconoscimento e giustizia. Due trascorsi alla ricerca del proprio e tanto atteso antagonista, per dare così sfogo a tutto e a troppo. Presentato in concorso alla 74° edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia e vincitore della Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile conferita a Kamel El Basha, è uscito L’insulto (2017, di Ziad Doueiri).
Beirut, terzo millennio. Yasser Abdallah Salameh (Kamel El Basha) è un rifugiato palestinese che vive in Libano, capocantiere di una ditta locale. Una grondaia fuori norma dell’appartamento abitato dal meccanico Toni Hanna (Adel Karam), porta quest’ultimo a insultare l’operaio in modo pesante, impegnato a fare solo il suo lavoro, e così ricevendo per tutta risposta “due costole rotte”. È l’inizio di una drammatica lotta tra i due uomini, passando dal face to face alle aule di tribunale.
In seguito alle ferite riportate, Toni ha un successivo svenimento. Scoperto accasciato, la moglie Shirine (Rita Hayek), incinta, partorisce una figlia prematura per lo spavento, con tutte le conseguenze del caso. Ristabilitosi, e a dispetto dei tentativi familiari-lavorativi di riconciliazione, la disputa finisce in tribunale dove viene rappresentato dall’esperto Wajdi Wehbe (Camille Salameh), mentre l’imputato dalla giovane Nadine (Diamand Bou Abboud). Pur di far vincere il proprio assistito, si scava e si scava ancora. Fino a far emergere le più sepolte delle verità.
L’insulto (2017, di Ziad Doueiri) è un film che ci appartiene. Tutti, nessuno escluso. Xenofobia, razzismo e odio del diverso sono sempre in agguato ma non sono gli unici mostri che dobbiamo combattere. Dietro le nostre più amabili facciate perbeniste si nascondo molti più pregiudizi di quelli che amiamo pensare e ammettere. Magari saremo accoglienti con chi è lontano, ma chi ci sta vicino? Che sia un parente o una prostituta che lasciamo sulla strada senza fare nulla, anche il silenzio è un insulto al giorno d’oggi.
Ho scelto volutamente di pubblicare la recensione de L’insulto pochi giorni prima di natale, come regalo a tutti voi. È un film che non solo consiglio a chiunque ma è davvero un’occasione per uscire dal proprio orticello di preconcetti, razzismo latente e pregiudizi. Non si può continuare così. Il mondo e la pazienza non sono infiniti. La bontà dell’essere umana sarà presto soffocata dall’odio sempre più globale se non si inizierà a reagire davvero con una cultura differente.
Scelto come portabandiera del Libano ai prossimi premi Oscar, L’insulto è entrato nella top nine come Miglior film straniero 2018. Insieme a lui il cileno Una Donna Fantastica (di Sebastián Lelio), il tedesco Oltre la notte (di Fatih Akin), l’ungherese Corpo e Anima (di Ildikó Enyedi), l’israeliano Foxtrot (di Samuel Maoz), il russo Loveless (di Andrey Zvyagintsev), il senegalese Félicité (di Alain Gomis), il sudafricano The Wound (di John Trengove) e infine il favoritissimo The Square (di Ruben Östlund), svedese, già trionfatore a Cannes.
Appuntamento il prossimo 23 gennaio per conoscere i nomi dei cinque che si siederanno al Kodak Theatre di Los Angeles il 6 di marzo alla 70° edizione degli Academy in attesa del mitico "And the winner is…". L’insulto merita questo premio più degli altri e cineluk – il cinema come non lo avete mai letto lo sosterrà fino alla fine perché il cinema è anche dialogo. Perché il cinema arriva lì dove politica e sproloqui social falliscono ogni giorno. Perché il grande cinema de L’insulto ci tocca la coscienza spronando a costruire un nuovo e migliore domani.
Ci sono film e film. Nessuno pretende che la settima arte possa sostituire insegnanti e libri di storia ma è indubbio che possa dare un contributo non indifferente. Ci sono film fini a se stessi, buoni al massimo per imbonire un pubblico a dieta stretta di materia grigia mettendolo nelle condizioni di ingrassare con superficiale irrealtà. E poi ci sono film come Venuto al mondo (2012, di Sergio Castellitto) o l'ancor più politico-sociale Il figlio dell'altra (2012, di Lorraine Levy), che hanno la capacità di affrontare la vita e tutte le sue più dolorose segmentazioni.
L’insulto ha come protagonista uno scontro libano-palestinese ma potrebbe essere benissimo una disputa italo-austriaca, serbo-ungherese, statunitense-iraniana, veneto-napoletana, partitica, di quartiere, di commensali, etc. L’insulto è uno specchio dove ognuno deve trovare la forza (morale) di mettersi davanti e restarci il più possibile. E più ci resterà, più saprà andare avanti. E più ci resterà, più saprà comprendere il proprio vicino di casa, comune, provincia, regione, nazione, continente, religione.
A questo mondo tutti hanno sempre ragione e forse è così. Ognuno ha le sue ragioni ma non è certo urlando reciprocamente il nostro disprezzo che qualcosa cambierà. Nelle sue ultime parole prima di suicidarsi, il musicista Kurt Cobain fece un augurio a tutti di empatia, qualcosa che al giorno d’oggi non sappiamo più neanche cosa sia. La sola cosa che c’importa è screditare il prossimo e imporre il nostro modo di pensare, credo religioso o ideologia politica che sia. È un mondo triste. È il mondo in cui viviamo.
Non pubblicherò bigliettini di auguri il 24 e il 25 dicembre su cineluk – il cinema come non lo avete mai letto. Questo è il mio regalo per tutti voi. Questa lunga recensione-editoriale sul film L’insulto, presentato al Lido di Venezia in anteprima mondiale lo scorso 31 agosto. Ritagliatevi un momento nella corsa sfrenata allo shopping natalizio, regalatevi la visione de L’insulto e una volta usciti dalla sala, guardate (davvero) la vostra vita a fianco di quelle altrui. Il resto spetta a ciascuno di voi. Buone feste!
Il trailer de L'insulto
L'insulto - a sx, la moglie di Toni Hanna, Shirine (Rita Hayek) |
L'insulto - Toni (Adel Karam) e Yasser (Kamel El Basha) |
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