Made in Dagenham (2010, di Nigel Cole) - la protesta delle donne arriva in Parlamento |
di Luca Ferrari
Discriminazione e diritti dei lavoratori. 1968, Dagenham, sobborgo orientale di Londra. Le donne alzano la voce. 187 operaie sfidano il colosso Ford. Impiegate alle macchine da cucire e costrette a lavorare in condizioni precarie per molte ore, sottopagate e non riconosciute come operaie specializzate, 187 coraggiose operaie alzarono i tono mettendo in atto uno sciopero contro la discriminazione sessuale e così ottenere la parità di retribuzione. Poco apprezzato in Italia e sbarcato al cinema col vergognoso titolo "We Want Sex", Nigel Cole dirige Made in Dagenham.
Guidate da Rita O'Grady (Sally Hawkins) e sostenute da Albert Passingham (Bob Hoskins, l'indimenticabile Eddie Valiant di Chi ha incastrato Roger Rabbit), la protesta, nonostante la chiusura provvisoria della fabbrica con conseguente ira degli uomini rimasti senza lavoro, arriverà fino ai piani alti del Governo inglese trovando nella deputata Barbara Castle (Miranda Richardson) un alleato fondamentale e decisivo, che non si piegherà al ricatto della Ford che minacciava la chiusura di tutte le proprie fabbriche in terra inglese.
Sbarcato in Italia con l'orrido We want sex, sarebbe stato corretto aggiungere quanto meno la parola "equality"- Parità di diritti di genere insomma e non certo "desiderio di sesso" come il titolo sembra voglia suggerire. Mi viene da pensare che per suscitare l'interesse degli italiani a certe tematiche si debba per forza usare riferimenti maliziosi, ignorando il dramma e l’importanza della battaglia di fine anni '60 che le donne inglesi portarono avanti per l'eguaglianza salariale.
Che la maggior parte degli italiani (maschietti e femminucce) non abbia idea da dove venga la prima grande svolta sociale per l’uguaglianza dei salari tra uomini e donne, lo posso comprendere visto lo squallore del trash lobotomizzante che imperversa sulle nostre televisioni. Che l’ennesima italianizzazione del titolo di un film però ne stravolgesse totalmente il senso, è una cosa che grida vendetta, molto più del tanto ripetuto The Eternal Sunshine of the Spotless Mind mutato in Se mi lasci ti cancello, che comunque aveva attinenza con la storia.
Una storia universale quella di Made in Dagenham. Una storia che evidenzia la necessità di essere uniti per vincere e cambiare le cose. E spesso i peggiori nemici non sono di fronte a noi, ma nelle stesse retrovie. Proprio quelli che ci dovrebbero guardare le spalle. E Rita, nella suo autentico ardore di lotta per i propri diritti, lo capisce bene e subito, fin dal primo incontro coi sindacalisti. Grassi signorotti che pur di mantenere le loro comode poltrone di lavoro, badano più a pranzi al ristorante e a non irritare i ricchi imprenditori. Ma lei non è così. E nemmeno le altre operaie della fabbrica.
Nel film c’è spazio per qualche risata e per le lacrime. Meccanismi familiari stravolti dalle donne che d'improvviso smettono di occuparsi delle faccende domestiche per imbracciare cartelli e serrare la protesta, cogliendo così di sorpresa intere generazioni di mariti incapaci perfino di lavarsi una camicia. Ma il problema della discriminazione resta nel mondo del lavoro così come nei confronti delle donne. Continua ancora oggi. A tutti i livelli e colpisce sempre.
Il popolo di precari ormai non ha più età. Folle di esistenze che fallimentari governi hanno creato con manovre che stanno rovinando famiglie su famiglie. E qual è la soluzione? Uno sciopero. Qualche giorno di protesta. Un piccolo contentino per farli tacere e poi cala il sipario. E poi il solito vicolo sperduto di sopravvivenza. L'ingiustizia determina il potere. Quando qualcuno arriva ad anteporre un'intimidazione come ultima scialuppa per salvare la propria indipendenza, allora è davvero il momento di lasciarlo solo con gli scricchiolii delle nostre voci. Tutte unite/i e temerarie/i al grido di: “È un diritto, non un privilegio”.
Il trailer di Made in Dagenham
Made in Dagenham (2010, di Nigel Cole) |
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