il manifesto di Venezia 73 e (dx) Angelo Bacci |
di Luca Ferrari
Gli aneddoti. Le storie. A tu per tu con Angelo Bacci, uomo di grande cultura e storia del cinema. Quattro chiacchiere pre-73° edizione del Festival di Venezia con Angelo Bacci, tra, ricordi, presente e nuove iniziative. Conobbi Angelo Bacci parecchi anni fa e fu allora che misi piede per la prima volta dentro il Palazzo del Cinema. E fu lì che iniziò un’avventura che non cesserò mai di aggiornare, film dopo film. Sceneggiatura dopo sceneggiatura. Incontro dopo incontro. Ispirazione dopo ispirazione.
Venezia, 23 agosto ‘16. È una calda giornata di fine agosto. Mi sto per incontrare con Angelo Bacci a Sant’Elena. Lì, all’estremità dell’isola veneziana. Lì dove il Lido, terra del Festival cinematografico, si potrebbe anche raggiungere a nuoto (ma è vietato, ndr). Seduti sotto il frescolino del fitto manto arboreo, Angelo parte subito come il più classico dei proiettori in piena. Una bobina di storia si racconta. Ha lavorato dietro le quinte della Mostra del Cinema dal 1970 al 2004 e ne ha viste passare. Dai tempi di Gian Luigi Rondi fino al terzo millennio super-tecnologico.
Rondi, una personalità complessa. “Quando andrai all’inferno, dirai che sei in paradiso” gli disse una volta Pierpaolo Pasolini all’auditorium Santa Margherita, ricorda divertito Angelo. Una figura quella che non sfuggì nemmeno all’occhio “Disneyano” del fumettista veneziano Giorgio Cavazzan che lo immortalò in una epica storia Paperopolese dove il multimiliardario Paperon de’ Paperoni, pur di scroccare vitto e alloggio alla Biennale, si spacciò per regista alla conquista del Leone d’Oro, approdando alla Mostra del Cinema. Non andrà esattamente così, ma quella è un’altra storia. Questa invece ha le parole di Angelo Bacci.
Parlare con qualcuno di cinema è come assistere a un concerto rock. Non sai mai davvero cosa ascolterai, ma sai già che sarà entusiasmante e ciò che ti rimarrà dentro lo potrai ri-raccontare negli anni a venire. Per preparami a dovere mi viene automatico regalare al mio udito un bel collage di colonne sonore. Dall’epica “Limahliana” de La storia infinita e il gotico strumentale di Beetlejuice, ai più recenti e struggenti duetti di Les Miserables. Sbarco alla mia fermata. Si ferma la musica. Silenzio in “sala”.
Ha visto il calendario di questa 73° edizione, cosa ne pensa?
Mi piace molto il progetto e la visione. Il direttore Alberto Barbera ha portato tanti maestri e stelle che creeranno una cronice particolare alla Mostra. Ha fatto una selezione meticolosa e importante. L’ha sempre fatto ma quest’anno in particolare. Mi duole invece constatare lo scarso coinvolgimento dell’isola, elemento che contribuirebbe non poco per l’ulteriore rilancio della manifestazione. Andai a Cannes in un più di un’occasione e lì la partecipazione della città era di un altro livello. A Venezia è tutto complicato. Anche Roma gli sta togliendo spazio.
C’è qualche pellicola che in particolare aspetta di vedere più delle altre?
Sono molto curioso di vedere i tre film italiani in concorso di cui sento parlare molto bene: Questi giorni di Giuseppe Piccioni, Piuma di Roan Johnson e il documentario Spira Mirabilis di Massimo D’Anolfi e Martina Parenti. Dei film stranieri, la mia attenzione sarà in particolare rivolta a Jackie (di Pablo Larrain con Natalie Portman nei panni della vedova Kennedy). Più che la storia, voglio capire come verranno trattati i risvolti di quella gestione della politica e della società americana.
Che film l’ha più colpita quest’anno?
La grande scommessa di Adam Mckay con Christian Bale, Steve Carell, Ryan Gosling e Brad Pitt. Un film attuale. Una specie di cronistoria di ciò che sta accadendo a livello mondiale, ossia che la finanza è padrona.
Perché così tanti remake: ci sono davvero poche idee rispetto al passato o sono le grandi Produzioni a volere così?
C’è sempre meno valorizzazione delle nuove idee, nonché carenza di esperienza e qualità. Una volta portavamo avanti progetti che avevano obiettivi e finalità chiare: l’attualità. Adesso aldilà del business, c’è la politica. Certi temi toccano la società e dunque la politica, perciò devi farlo in modo sfumato o non te lo fanno proprio fare. Invece una volta la cinematografia aveva la caratteristica di portare a conoscenza queste tematiche. Una volta era più coraggiosa.
C’è un periodo in particolare della sua esperienza che ricorda con maggior affetto?
La gestione Lizzani è stata tra le più significative, merito anche del suo stretto collaboratore nonché critico e sceneggiatore Enzo Ungari. È grazie a lui che furono proiettati alla Mostra, all’Arena (oggi sala Darsena) la saga di Guerra Stellari ed E.T - L'extraterrestre. Una sala quella che poteva contenere fino a 1300 persone ed era sempre affollatissima fino a ore tarde. Il Bar Lions era il nostro ritrovo. Lì ho fatto indimenticabili e interminabili riunioni.
Un altro personaggio straordinario con cui ebbi la fortuna di lavorare fu la critica cinematografica Flavia Paulon, una donna molto amata e rispettata. Addirittura produttori e registi internazionali scrivevano a lei invece che a Rondi per il Festival. In certi anni, prima ancora del mio arrivo, l’Italia faceva scuola. Negli anni ‘50 e ‘60 il gruppo di operatori cinematografici guidati da Umberto Picuti venivano ogni anno chiamati a Cannes per fare i proiezionisti. Poi dagli anni ‘70 è finita.
Quale attore/attrice dal vivo l’ha più colpita e perché?
Dal punto di vista umano, Dustin Hoffman e Robert De Niro. Il primo lo incontrai sotto la direzione artistica di Guglielmo Biraghi, forse la persona più elegante e preparata nell’ambito cinematografico che abbia mai incontrato, sempre molto raffinato nelle sue scelte. Una volta mi chiese di andare a prendere/accogliere Hoffman che era all’hotel Excelsior per condurlo alla conferenza stampa. Arrivati alla porta girevole, d’improvviso lo vidi sparire per poi riapparire, sempre nella bussola, sottobraccio a una persona anziana. Era un uomo sensibile. Simpatico. Disponibile. Ironico. Molto semplice.
De Niro lo conobbi durante gli anni in cui fu direttore del festival Gillo Pontecorvo (del quale quest’anno ricorre il cinquantennale della sua opera più celebre, La battaglia di Algeri, che sarà riproposto alla Mostra del Cinema, ndr). Un’atmosfera informale. Una bicchierata in studio da Gillo nel cuore della proiezione, com’era sua consuetudine fare. Pontecorvo fu decisivo per riportare il cinema americano a Venezia. Nei miei anni alla Mostra incontrai più volte Al Pacino, Wood Allen, Martin Scorsese e Steven Spielberg (Disneyzzato anch'esso).
Qual è un film cui non saprebbe mai rinunciare?
Gli intoccabili.
The Untouchables (1987, di Brian De Palma). Quattro uomini contro un sistema corrotto. Un sistema che non lascia scampo. Rispetto a tante altre pellicole, De Palma mostrò la mafia per quello che era (ed è) davvero: una spietata organizzazione criminale la cui unica moneta è la violenza. Ma questa volta perde. L’agente federale Eliot Ness (Kevin Costner), lo sbirro di pattuglia Jimmy Malone (Sean Connery), la giovane recluta George Stone (Andy Garcia) e il ragioniere Oscar Wallace (Charles Martin Smith) riusciranno a bloccare Al Capone (Robert De Niro). Chiacchiere e distintivo avranno la meglio.
Nell’immediato futuro, oltre alla presentazione letteraria del suo ultimo lavoro, “La mia Biennale – Sottosopra”, Angelo Bacci tornerà anche quest’anno, sabato 3 settembre h. 18.30, a dedicare un intenso momento al compianto Claudio Maleti, titolare dell’omonimo bar al Lido di Venezia. “È stato un uomo che ha sempre investito molto sull’isola e sulla Mostra del Cinema, ecco perché ho voluto dedicargli una serata e un premio alla sua memoria, assegnato quest’anno a Giancarlo Di Gregori, direttore della comunicazione istituzionale e delle attività Giornalistiche di Luce Cinecittà. “Claudio ha sempre voluto creare un rapporto più stretto tra la Mostra e l’isola”.
Saluto Angelo Bacci e mi avvio. Nei pochi metri che mi separano dal battello direzione Lido, sento nella mia mente movimenti di macchine, schiamazzi e schizzi d’inchiostro. Parole, immagini, sequenze visive. Il film è la superficie più appariscente, lì dietro c’è un mondo affascinante fatto di mille mestieri e artigiani d’ogni arte possibile e immaginabile. L’amore per la settima arte è arrivato un po’ tardivo nella mia vita, intanto però mercoledì prossimo comincia la 73° edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica e io per il 9° anno consecutivo sarò in prima linea. Editoriale, s’intende, inviato del settimanale internazionale L’Italo-Americano.
(sx) Angelo Bacci in una bellissimo disegno di Giuseppe Pasqualetto e a dx durante una presentazione letteraria insieme all'amico Livio |
Gli intoccabili - The Untouchables (1987, di Brian De Palma) |
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