E' solo la fine del mondo - i fratelli Antoine (Vincent Cassel) e Louis Knipper (Gaspard Ulliel) |
di Luca Ferrari
Un viaggio. Il silenzio (in)controllato. Una presenza portatrice di instabilità. Una verità muta e senza articolazioni. La docile paglia delle relazioni si spoglia della plastica metallizzata mostrando tutto il proprio rovinoso calore con buona uscita per il gelo della realtà. Sesto lungometraggio in appena otto anni di attività dietro la telecamera, il giovane regista canadese Xavier Dolan (Montreal, '89) ha realizzato È solo la fine del mondo, film presentato all'ultima edizione del Festival di Cannes (11-21 maggio 2016) e qui vincitore del Grand Prix Speciale della Giuria, nonché candidato all'Oscar 2017 come Miglior film straniero,
Louis-Jean Knipper (Gaspard Ulliel) è uno scrittore di successo. Andato via di casa 12 anni or sono, è pronto per fare il suo ritorno a casa. È malato terminale e lo vuole condividere con i propri cari ma come reagiranno a tutto questo? Ad attenderlo per un piacevole pranzo casalingo, mamma Martine (Nathalie Baye), la sorella minore Suzanne (Léa Seydoux) che non ha praticamente mai visto, l'ispido fratello maggiore Antoine (Vincent Cassel) e la cognata Catherine (Marion Cotillard).
Mamma e figlia si beccano. Marito e moglie litigano. Martine è fin troppo ottimista chiudendo gli occhi dinnanzi a ciò che andrebbe discusso. La più giovane di casa è accogliente ma allo stesso tempo ha una sacca di rabbia nascosta. Fulcro delle conversazioni è Antoine, nervoso e arrabbiato. È palese che la presenza del fratellino lo indisponga. Ridicolizza Catherine in ogni occasione. Non la lascia parlare. È frustrato.
Lì nel mezzo, Louis. È timido. È al centro dell'attenzione ma non riesce a superare le barricate che lui stesso ha sedimentato in questi anni. È l'anima sensibile della famiglia, eppure a parte qualche sparuta lettera e poco altro non ha saputo fare di meglio. Si dimostra estremamente attento con Catherine. Suo malgrado, la donna diventa il fulcro dello scontro fraterno e lei da brava vittima, subisce. Qualche piccolo accenno di ribellione per poi tornare al suo posto.
A tavola si mangia e si parla. A tavola torna a galla qualcosa. Il lago artificiale della vita familiare è stato creato con recinzioni solide e durature. Alle volte qualche lattina squarciata riemerge in superficie rovinando il panorama, ma è solo questione di tempo prima che una qualche onda la porti a riva abbandonandola in qualche angolo poco assolato. Sono in molti della famiglia Knipper ad avere qualcosa da dire ma non lo fanno puntando (quasi) tutti sulla medesima vittima ubriaca di bile.
Basato sull'omonima piéce teatrale di Jean-Luc Lagarce, È solo la fine del mondo è un film spiazzante. Lontano anni luce dal massacro relazionale di Carnage (2011, di Roman Polanski) e altrettanto dalle scappatoie tecnologiche di Perfetti sconosciuti (2016, di Paolo Genovese), il 6° film di Xavier Dolan nasconde solo in (minima) parte le emozioni. I protagonisti sono tanti piccoli vulcani. Ciascuno col proprio fumo toglie visibilità agli altri. Il risultato è un fagocitarsi l'un l'altro/a alla ricerca di chissà quale redenzione interiore e non.
Un cast a dir poco perfetto, su tutti il protagonista indiscusso Vincent Cassel (Irréversible, Ocean's Twelve, Child 44 - Il bambino n. 44). È un uomo caustico e ferito. Come una mina antiuomo, potrebbe far male a chiunque nei paraggi. Ne si avverte la tensione. Si riesce a percepirne le ossa tirate. Dolan lo rende imbuto di ogni silenzio ingurgitato ed è l'unico realmente a esplodere. “Dicono che chi parla poco sia un buon ascoltatore, ma non è così. Vorrebbe solo essere lasciato in pace” sbraita contro il fratello in macchina. È solo uno dei tanti paradossi della pellicola.
L'altro grande controsenso è Louis stesso. Abita lontano, o almeno così pare. Si capisce però che non vive in un altro continente, lo stesso protagonista d'altronde quasi lo dice. Presentato come assente da tempo immemore e più o meno (in)giustificato, il regista è molto bravo a non far trapelare il perché nessuno sia mai andato a trovarlo. Forse è per la sua omosessualità, o che altro? È possibile che la sua fama abbia rappresentato un freno alla comunicazione familiare? Ognuno ha il proprio alibi. Ognuno ha il suo invisibile segreto.
In un'epoca ossessionata dal super-eroismo, vedi il prossimo sbarco sul grande schermo dell'ennesimo spin-non-so-cosa di Guerre Stellari e un altro Spiderman versione "teen-adult", tanto di cappello al Circuito Cinema Venezia Mestre che ha mantenuto l'opera di Xavier Dolan per due settimane consecutive (8-21 dicembre) nella nella sala più grande (A) del cinema Giorgione, offrendo così al pubblico lagunare la possibilità di scoprire e apprezzare un cinema differente. Un cinema che non è solo effetti speciali ma soprattutto dialoghi, sguardi e storia.
Pochi spazi, molte parole. Quiete a valle, uragano in pianura. Stagno e/è abisso. Xavier Dolan usa la clava e il pennello. È solo la fine del mondo ti mette a sedere. Apre l'obiettivo e brutalizza la poesia insita in ciascuno di noi. Ti tira per i capelli. Vorresti parlare, ma non vuoi. Non lo dici. Puoi usare qualcuno per far tacere la tua complessità. Sediamoci a tavola e prendiamoci per mano. Un viaggio di ritorno ti aspetta. Sei ancora in tempo per decidere cosa vuoi fare, o più mestamente ti ripeterai che a prescindere di come andranno le cose non sarà la fine del mondo.
E' solo la fine del mondo - da sx Catherine (Marion Cotillard), Antoine (Vincent Cassel), Louise (Gaspard Ulliel), Suzanne (Lea Seydoux) e Martine (Nathalie Baye) |
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