Dickens - L'uomo che inventò il Natale (2017, di Bharat Nalluri)
Per dare una svolta a un nuovo libro (e all'umanità intera), ci vuole ispirazione e la voglia di fare i conti con i propri "spettri". Dickens - L'uomo che inventò il Natale (2017, di Bharat Nalluri).
Può un libricino di poche pagine cambiare il corso di una vita, o più di una? La risposta è sì, ancor di più se di mezzo c'è al festa per antonomasia dove tutto è possibile: il natale. Un'ispirazione sgorgata dai vicoli più oscuri della propria più rivoluzionaria immaginazione. Un'ispirazione che dovrà fare i conti con le lacrime abbandonate del proprio passato. Un'ispirazione che troverà la forza di mutare il corso della vita e della storia, imparando dalla dolcezza di chi ci sta accanto. Ecco allora il caso metterci il suo zampino, e poche pagine dopo, un uomo cambierà per sempre il significato di una festa, a quell'epoca sempre poco sentita. Dickens - L'uomo che inventò il Natale (2017, di Bharat Nalluri).
Charles Dickens (Dan Stevens) è uno scrittore di successo. Il suo libro "Le avventure di Oliver Twist" lo hanno reso celebre in tutto il Regno Unito ma le ultime produzioni non hanno soddisfatto le aspettative. Lui intanto continua a spendere e spandere, e i debiti aumentano. Nella sua ricca dimora a Londra, intanto, sono arrivati anche (senza chiedere) i suoi genitori, con i quali c'è ancora molto rancore dopo essere stato abbandonato a causa della sconsideratezza paterna. Per risollevare le sorti e l'avverso destino, servirebbe un nuovo libro. Un'opera capace di rilanciarlo, finanziariamente e intellettualmente. L'ispirazione però non basta desiderarla. Bisogna sentirla, assecondarla.
Un uomo intanto bussa alla porta della mente dello scrittore, ma non è ancora chiaro chi sia. Il nome non viene, non ancora. Poi, sì. Quando lo si trova, lo si riconosce: Ebeneezer Scrooge (Christopher Plummer). Uno a uno, i personaggi di questa nuova storia assumono le sembianze della vita reale. Il cinico ma fraterno Jacob Marley è l'avaro notaio Haddock (Donald Sumpter). Lo spirito dei natali presenti è il generoso John Forster (Justin Edwards), suo amico leale e instancabile nell'aiutarlo per realizzare l'opera. Dickens intinge nel mondo dei vivi, ma il finale è a un vicolo cieco. Il problema in realtà non risiede nelle parole, ma nell'anima dello scrittore stesso.
Per credere a un lieto fine bisogna essere pronti a viverlo dentro e fuori di sé. E dopo l'ennesima bugia di suo padre (Jonathan Pryce), Charles non ne vuole più sapere di averli sotto il naso, e lo caccia insieme a sua madre (Ger Ryan). Un errore commesso anche ai danni della giovanissima aiuto-governante irlandese, Tara (Anna Murphy), ma nulla che la paziente e amorevole moglie Kate (Morfydd Clark) non sia pronta a sistemare, ispirando quel cambiamento fondamentale nel cuore tormentato dello scrittore. Charles Dickens adesso è pronto a rischiare il tutto per tutto, nella vita privata e nella stesura del libro. E saranno in molti, ancora oggi, a capire e a farsi ispirare
Per noi profani e senza fede non ci potrebbe essere la festa del 25 dicembre senza il Canto di natale di Dickens. Nel 2009 fu la magia animata di Robert Zemeckis a trasportare sul grande schermo A Christmas Carol, facendoci commuovere fino alle lacrime. In questa nuova incursione cinematografica invece, scopriamo cosa ispirò la nascita di un racconto destinato a ridisegnare il significato stesso della festività. Veritiero o meno che sia il ritratto dello scrittore, vediamo un aitante e generoso Dickens, allora segnato però da una voragine dolorosa che affonda gli aculei nei suoi ricordi di bambino affidato (dai genitori stessi) in un gelido orfanotrofio. Ed è proprio da quella ferita così aperta che gli appare Scran... Scrook... Scrooge, la sua anima più nascosta in cerca di redenzione proprio a natale.
Scrooge cede. E' davvero cambiato? Lo è davvero? Con il Soprannaturale non si può mentire, eppure adesso vorrei capire. Perché dobbiamo sempre arrivare al precipizio per comprendere i nostri sbagli? Perché dobbiamo aspettare un'alta marea di 187 cm per mettere in sicurezza una città fragile o assistere impotenti al crollo di scuole e ponti, recuperando tra le macerie i morti, per iniziare a fare sul serio (...) il nostro lavoro? Scrooge cambia, è vero. E la sua storia lo dimostra ma è un caso isolato. Una pecora bianca in una fossa di egoisimi. Mi dispiace essere così amaro ma questo è il mondo in cui viviamo e non voglio prendervi in giro. Non l'ho mai fatto e non comincerò certo a farlo in questo tormentato natale 2020. Qualcuno cambia, e il resto del mondo che fa? Vi sto aspettando.
Il trailer di Dickens - L'uomo che inventò il natale
L'uomo che inventò il Natale - Dickens (Dan Stevens) e Scrooge (Christopher Plummer)
Un poliziotto alle elementari - il maestro John Kimble (Arnold Schwarzenegger)
Nessuno riesce a farla franca con il detective John Kimble (Arnold Schwarzenegger). Qualcuno sì, o meglio, una "orribile" scolaresca elementare che lo metterà letteralmente KO.
John Kimble (Arnold Schwarzenegger) è un poliziotto deciso a portare dietro le spalle il pericoloso trafficante di droga, Crisp (Richard Tyson). Per chiudere davvero la partita però, deve riuscire a trovare i soldi nascosti, e così si mette sulle tracce della ex-moglie scappata insieme al figlio. Viene così mandato sotto copertura insieme alla collega Phoebe O' Hara (Pamela Reed), ma qualcosa va storto durante il viaggio, così tocca al forzuto Kimble prendere il posto della donna e diventare il nuovo maestro elementare di un piccola cittadina di provincia. Che insidie potranno mai essere dei bambinetti per un ruvido uomo di legge, pensa lui? La parola allora a Un poliziotto alle elementari (1990, di Ivan Reitman).
Ma chi se lo sarebbe mai immaginato nei testosteronici anni Ottanta di vedere il gigantesco Arnold Schwarzenegger duettare e soccombere a una classe di impredvedibili pulcini? La preside Miss Schwlosky (Linda Hunt) mal tollera la presenza di Kimble, ed è certo che mollerà. Le premesse dopo il primo giorno sembrano darle ragione. I piccoli fanno chiasso. Sono indisciplinati. Gli fanno domande. Lo martellano senza tregua. Poi finalmente, eccolo tornare a casa. John è stravolto. La telecamera dal basso lo ritrae in caduta libera sul letto, con il viso schiacciato. O' Hara lo chiama. E lui, esausto risponde:
Vattene via! Allora lei, gli chiede: è andata male? E lui: SONO ORRIBILI! Quindi lei, "Che bella scoperta.
Ma non è certo questa l'unica gag memorabile. Come dimenticarsi la sua faccia, seriamente preoccupata, quando ammette alla collega che i bambini si stanno prendendo gioco di lui? Siparietto da standing ovation quando la minuta e grintosa dirigente scolastica, dopo averlo richiamato per aver picchiato il papà di un bimbo, colpevole averlo menato regolarmente il piccolino, gli chiede: Ora mi dica, che cosa ha provato a colpire quel grandissimo figlio di puttana? E lui un po' sorpreso ma allo stesso tempo emozionato, risponde con un impagabile, quasi balbettando: "è stato bellissimo!".
Arnold Schwarzenegger (Conan il barbaro,Danko, True Lies) alza anche le mani, ma sempre in modo differente, mettendosi in gioco e facendo l'eroe familiare senza scadere nel banale, cosa che tornerà a fare anche nel comunque simpatico Una promessa è una promessa (1996, di Brian Levant). Curiosità. Il film è ambientato ad Astoria, nell'Oregon, chiamata da una mamma "la capitale delle madri single". Proprio lei, Astoria, dove un certo Steven Spielberg ambientò alcuni anni prima un film destinato a lasciare il segno nella settima arte, I Goonies (1985). La struttura della città è subito riconoscibile e forse aguzzando bene la vista, magari vedremo anche casa Walsh.
In Un poliziotto alle elementari non c'è l'Arnold Schwarzenegger spaccone e pompato dei (discutibili) cult "Eighties" Predator e Commando. Rispetto al collega Sylvester Stallone poi, che in quelle rare occasioni in cui provò a usare i muscoli al servizio dell'ironia ottenne risultati patetici, su tutti l'atroce Fermati, o mamma spara (1992), Arnie riesce a giocare con se stesso, mostrando inaspettate qualità comiche, vedi anche I gemelli (1988) al fianco di Danny DeVito e sempre diretto "dall'acchiappa-fantasmi" Reitman. Un ulteriore passo avanti pochi anni dopo, ancora protagonista di una simpatica commedia per giovani famiglie dove al fianco dei bicipiti ci mise risate con un pizzico di sincera malinconia, Last Action Hero (1993, di John McTiernan).
Un poliziotto alle elementari, la scena memorabile
Fuga per la vittoria - Colby (Michael Caine), Fernandez (Pelè) e Hatch (Sylvester Stallone)
Dal film Fuga per la vittoria (1981, di John Huston), liberamente ispirato a una tragica vicenda, alla partita farsa organizzata dal dittatore ceceno Kadyrov, insieme a tante stelle mercenarie del calcio.
Dalle urla “insonorizzate” dei civili torturati mentre si disputavano i Mondiali di Argentina ’78 al divieto anche solo di pronunciare le parole “diritti umani” durante le Olimpiadi di Pechino 2008. Quando sport fa rima con propaganda e omicidio legalizzato. Nel 2011 il presidente ceceno Ramzan Kadryov organizzò una partita di calcio farsa, dove scesero in campo molte stelle del pallone. Una prestazione degna dei più squallidi mercenari, l'esatto opposto di chi pagò con la vita la propria integrità di fare gol. Un fatto quest'ultimo, vero e tragico, a cui s'ispirò liberamente il film Fuga per la vittoria (1981, di John Huston).
1942, II Guerra Mondiale. Durante una visita nel campo di concentramento il Maggiore Karl Von Steiner (Max von Sydow), ex-calciatore della Nazionale Tedesca, riconosce il collega inglese John Colby (Michael Caine), e gli propone una partita internazionale per risollevare il morale. Inizia così il reclutamento al quale cerca d'inserirsi in tutti i modi il poco dotato Hatch (Sylvester Stallone), desideroso di beneficare del regime carcerario agevolato, e tentare così l'ennesima fuga. Una presenza questa molto poco a gradita a Colby, che lo sbatte fuori senza mezzi termini, salvo poi tornare sui suoi passi.
La partita intanto viene inglobata in un preciso messaggio della propaganda nazista che ha deciso una partita ad alto livello da disputare a Parigi, ma non sanno che nel frattempo anche la Resistenza Francese si sta muovendo. La squadra alleata intanto si rinforza, grazie agli innesti di ottimi elementi, alcuni dei quali giunti malnutriti dai campi di concentramento più terrificanti. Ecco dunque indossare la maglia calcistica internazionale Luis Fernandez, Terry Brady, Carlos Rey, Michel Fileu, Paul Wolchek e Gunnar Hilsson interpretati rispettivamente dai veri campioni del pallone Pelè, Bobby Moore, Osvaldo Ardiles, Paul Van Himst, Kazimierz Deyna e Hallvar Thoresen.
Dal grande schermo alla realtà censurata. L’11 maggio 2011 il presidente ceceno Ramzan Kadryov, in barba ai problemi di una nazione traumatizzata dalla violenza che si protraeva quotidianamente nell’indifferenza della Comunità Internazionale, inaugurò in grande stile l’ultramoderno nuovo stadio di calcio da 30mila posti, il Terek Grozny Stadium, con una partita amichevole disputata con vecchie glorie mondiali. Un evento questo, passato sotto silenzio dalla maggior parte dei media. Un fatto, non certo sorprendente ma piuttosto grave. Una vicenda in cui lo sport si piegò al potere e alla politica più assassina.
Una selezione di giocatori del Caucaso guidati in campo dallo stesso Kadryov (presidente dell’FC Terek Grozny, squadra militante nella Premier League Russa e allenata all'epoca dal pallone d'oro, Ruud Gullit) affrontò una formazione di stelle del passato, recente e non, tra cui i palloni d’oro Diego Armando Maradona, Jean-Pierre Papin e Luis Figo, gli ex-milanisti Franco Baresi, Alessandro Costacurta, e altri famosissimi calcatori come l’uruguaiano Enzo Francescoli, il cileno Ivan Zamorano, il francese Fabien Barthez, l’inglese Steve McManaman.
In campo dunque c’era anche il pibe de oro (1960-2020). Proprio lui, che anni or sono si era fatto immortalare con i simboli “anti-imperialisti” Fidel Castro e Hugo Chavez, e in quell'occasione invece è sceso a celebrare Ramzan Kadryov, criminale burattinaio dello zar Vladimir Putin. Ciliegina sulla (nauseabonda) torta, la partita è stata vinta dai caucasici con una tripletta messa a segno dal "fuoriclasse" Kadryov. Una pagliacciata nella farsa. La storia calcistica, e sportiva, però non ha sempre avuto codardi al servizio dei potenti. In territorio russo, quasi settant’anni fa, si disputò un match molto particolare ma dall'esito del tutto opposto.
Nel lontano 9 agosto 1942, allo stadio Zenith di Kiev, città allora sotto occupazione nazista, si fronteggiarono la locale Start e una compagine composta da ufficiali tedeschi dell’aeronautica militare Luftwaffe. In vantaggio la formazione di casa per 3-1 alla fine del primo tempo, durante l’intervallo un ufficiale teutonico intimò agli avversari di farsi battere. Raggiunti sul pareggio, l’orgoglio e la dignità ebbero la meglio sulle minacce e le probabili terribili ritorsioni, e il match finì 5-3 per gli ucraini. La maggior parte dei vincitori vennero in seguito uccisi, altri torturati e ammazzati, altri ancora spediti nei lager. Venne ribattezzata la “partita della morte”. Una tragica pagina di sport a cui si ispirò il celebre film Fuga per la vittoria (1981, di John Huston).
Altro spessore. Altri Uomini. Chi farebbe oggi un film chiamato “La partita della vergogna” mettendo in imbarazzo personaggi intoccabili della politica internazionale e baroni del pallone? Dove sono i Tommie Smith, i Muhammad Alì del terzo millennio? Dove sono gli uomini disposti a combattere per il loro valori? In Cecenia la violenza di stato è sempre continuata contro chiunque non si adattasse alla linea filorussa. Chi osa criticare il regime, o denunciare le costanti violazioni dei diritti umani, viene eliminato. La giornalista Anna Politkovskaja (1958-2006) è solo una delle tantissime vittime spazzate via dalla brutalità di questo distorto sistema. Il governo ceceno è protetto dal potente e vicino alleato.
Non sono arrivate troppe fotografie della partita di Gronzy. Allora proverò a immaginare la scena. Kadryov segna, e i vari calciatori i complimentano con lui. Come se fosse una festa. Le strette di mano. Gli abbracci. Mi piacerebbe mostrare a tutti i calciatori lì presenti le foto di donne stuprate e ammazzate dai commando militari ceceni. E vorrei poi che fossero loro a spiegarmi che cosa si prova a stringere sorridendo una mano inzuppata del sangue di innocenti. Una misera figura. Di tutti. Nessuno escluso. Con la loro presenza questi “atleti” hanno insultato le duecentomila vittime della doppia guerra ceceno-russa (1991-1996 e 1999-2006). Con la loro presenza hanno sputato sui diritti violati di migliaia di innocenti.
"Hatch, se scappiamo ora, perdiamo più di una partita" lo implorava Fernandz. E voi, cosa avreste fatto se lì fuori non ci fosse stata una telecamera milionaria ma i terribili aguzzini della Ghestapo?