Good Night, and Good Luck - l'anchorman Edward R. Murrow (David Strathairn) |
di Luca Ferrari
“Una volta tanto elogiamo l’importanza delle idee e dell’informazione” arringava l’anchorman Edward R. Murrow (David Strathairn). Ho rivisto di recente Good Night, and Good Luck (2005, di George Clooney). La grandissima attualità della pellicola ambientata durante i tetro periodo del Maccartismo mi ha spinto a scrivere questo lungo articolo che mi auguro possa essere letto dal maggior numero di utenti possibili.
Stati Uniti, anni ’50. È il tempo della caccia isterica ai comunisti durante la Guerra Fredda. Un tema questo sviluppato di recente anche da Jay Roach in L’ultima parola – La vera storia di Dalton Trumbo (2015) e in modo del tutto diverso dai fratelli Ethan e Joel Coen con Ave, Cesare! (2016). Seconda regia del premio Oscar George Clooney, Good Night and Good Luck si concentra sulla figura del sopracitato Murrow, integerrimo giornalista e anchorman della rete televisiva CBS, nonché fiero sostenitore della libertà e dei diritti civili.
Presentato alla 62° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia (31 agosto – 10 settembre 2005), il lungometraggio si aggiudicò il premio (Osella) per la Miglior sceneggiatura e la Coppa Volpi per la Miglior interpretazione maschile (Strathairn), fallendo però il riconoscimento più importante, il Miglior film (Leone d’oro) e in seguito mancando 15 (dico, quindici) nomination su 15 tra BAFTA, Golden Globes e Oscar.
Il film racconta della coraggiosa battaglia portata avanti da Murrow e il suo staff diretto dall’amico Fred Friendly (George Clooney), con la trasmissione televisiva See It Now, in onda ogni martedì sera. Al centro del loro interesse, la famigerata lista di proscrizione creata dal senatore Joseph McCharty con cui migliaia di cittadini americani furono chiamati a rispondere in tribunale anche solo per avere espresso un’opinione o magari letto un libro, che per vie traverse poteva essere collegata al socialismo-comunismo o simili. Un sospetto che era già accusa e condanna, e dunque trasformando questa gente in traditori e possibili minacce per la sicurezza degli Stati Uniti con tutte le conseguenze possibili e immaginabili.
Murrow sapeva di puntare alla giugulare di un uomo potente ma sapeva anche che il prezzo della posta in palio valeva il rischio. E lo accettò. Inevitabile la reazione di McCharty che replicherà con ignobili menzogne nei confronti dello stesso anchorman, definendolo un infiltrato di Mosca. Uno scontro che alla fine vedrà uscire vincitore il giornalista, sostenuto in un certo qual modo anche dal capo del network, William Paley (Frank Langella).
“Ho iniziato dicendo che la Storia la facciamo noi” dice Murrow, “Se continueremo così, la Storia prima o poi si vendicherà e il castigo non impiegherà molto ad arrivare. Una volta tanto elogiamo l’importanza delle idee e dell’informazione. Sogniamo anche che una qualche domenica sera lo spazio normalmente occupato da Ed Sullivan venga occupato da un attento sondaggio sullo stato dell’istruzione in America e che una o due settimane dopo lo spazio normalmente occupato da Steve Allen sia dedicato a uno studio approfondito sulla politica americana Medioriente.
Forse l’immagine dei rispettivi sponsor ne risulterebbe danneggiata? Forse i loro azionisti si infurierebbero e si lamenterebbero? Che cosa potrebbe succedere oltre al fatto che qualche milione di persone sarebbe più informato su argomenti che possono determinare il futuro di questo paese e di conseguenza anche il futuro di queste aziende? A coloro che dicono: la gente non starebbe a guardare non sarebbe interessata, è troppo compiaciuta, indifferente e isolata, io posso solo rispondere: ci sono secondo la mia opinione delle prove inconfutabili contro questa tesi.
Ma anche se avessero ragione, che cosa avrebbero da perdere? Perché se avessero ragione e questo strumento (la televisione, ndr) non servisse a nulla se non a intrattenere, divertire e isolare, i suoi effetti positivi si starebbero dissolvendo e presto la nostra battaglia sarebbe perduta. Questo strumento può insegnare, illuminare. Può anche essere fonte di ispirazione ma può farlo solo ed esclusivamente se l’essere umano deciderà di utilizzarlo per questi scopi. Altrimenti non è che un ammasso di fili elettrici e valvole in una scatola. Buona notte, e buona fortuna”.
Il mondo del giornalismo cinematografico potrebbe fare di più per la cultura e la promozione di pellicole capaci di far riflettere e non solo divertire-intrattenere. Chi recensisce un film dovrebbe saper anche osare, esponendosi magari a una riflessione senza paura di uscire dai placidi binari dell’eccessiva neutralità. E questo perché a differenza di un blogger improvvisato che può solo dare un’opinione condivisibile o meno, un giornalista esperto può (deve) dare molto di più proprio alla luce della sua competenza.
Il giornalismo è sotto attacco da un pezzo e non bastano certo un paio di Oscar (2016) consegnati a Il caso Spotlight (di Tom McCharty) perché adesso tutti abbiano rispetto della professione, spesso denigrata senza alcun fondamento. Giovedì 17 marzo scorso intanto, è uscito Truth – Tutta la verità (2016, con Robert Redford e Cate Blanchett), la cui recensione uscirà a breve su cineluk. Il film tratta l’inchiesta giornalistica (vera) che portò alla luce la notizia che l’allora presidente degli Stati Uniti, George W. Bush, trovò il modo di evitare la guerra del Vietnam.
“Un omaggio al coraggio di un giornalismo autorevole e una riflessione sulle contraddizioni di un mondo dove le notizie arrivano caoticamente da ogni parte, dove tutti sono potenziali giornalisti e dove forse non lo è più nessuno” ha scritto Alessandra De Luca sulle pagine di Ciak (marzo 2016). Contraddizioni a parte della professione, il film meriterebbe di sicuro un’analisi e una visione su larga scala ma dubito che raggiungerà certi risultati al botteghino, e questo anche a causa di una permanenza in sala che ho forti dubbi raggiungerà le due settimane consecutive. Vedremo.
Chi al contrario ha già raccolto e sta raccogliendo parecchio è Lo chiamavano Jeeg Robot (2016, di Gabriele Mainetti). La maggioranza della stampa specializzata lo ha incensato senza mezze misure. Io stesso prima di recarmi in sala ero convinto della validità del prodotto, salvo poi restare alquanto deluso poiché rivelatosi un mal riuscito tentativo di unire più generi nostrani e stranieri, facendo leva sul fenomeno cinecomics per richiamare le masse. Ma analisi a parte, ad avermi colpito è stato scoprire che la suddetta pellicola sia stata riconosciuta di interesse culturale nazionale dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali.
Mi piacerebbe sentire dalla Commissione dove sia il contributo alla cultura di questo film. La settimana prossima uscirà invece Ustica (2016, di Sergio Martinelli) , inerente il mistero del DC9 precipitato il 27 giugno 1980. La domanda è quanto più banale ci possa essere: secondo voi questo film ha ricevuto un egual considerazione della sopracitata pellicola? Manco per sogno. E lo stesso (ovvio) trattamento lo ha ricevuto La Trattativa (2014) di Sabina Guzzanti, pecora nera del grande schermo, per le sue idee e le legittime rivendicazioni.
La gente oggi si scandalizza facilmente ma tutte le sue reazioni si riducono a un post sui social network, portando dunque un contributo alla causa pari allo 0,000001 per cento. Ma se questi trattassero temi di una certa importanza, almeno sarebbe un (minimo) passo avanti. La maggioranza tratta cose insignificanti (e mi ci metto dentro talvolta pure io), esplodendo in reazioni spropositate se poi non si condivide la medesima opinione. Perché la realtà purtroppo è questa: alla gente non interessa cambiare il mondo, importa solo imporre la propria ragione-visione.
L’Italia è una delle migliori nazioni dove viene spacciata una sopraffina democrazia il cui gas nervino della reale dittatura viene rilasciato in dosi differenti (a seconda del reddito) in modo che non cambi nulla e anzi, si venga controllati nel più stupefacente modo possibile. I social network sotto questo profilo sono stati una mossa geniale. Ormai non si può più vivere senza e i tanti invisibili carcerieri ringraziano per questo.
Come i film e la televisione, anche i media del settore hanno una grande responsabilità, scegliendo o meno di dare risalto a pellicole che trattano tematiche di una certa importanza e capaci anche di insegnare. Non sempre avviene, anzi peggio. Succede di rado. La spiegazione non è tanto difficile da trovare: interessi, sponsor, padroni che non vogliono certo fomentare l’uso dell’intelletto umano. Il caso dei cinecomics è emblematico. Questi infatti raggiunge due scopi in un sol “boccone”:
- Intrattiene alla grande con storie di facile appeal e futili effetti speciali,
- Convince le pecore che per cambiare le cose serva necessariamente un supereroe (irreale) e i deboli esseri umani non siano in grado di fare alcunché
Il secondo punto è una delle più grandi menzogne mai perpetrate al genere umano. Il gioco. L’effetto. Ricordate le parole del senatore Gracco nel film Il gladiatore? Tutto questo stordisce e così quella massa che potrebbe fare la differenza, dorme. Troppo interessata a parlare di buffoni chiusi in stanze o isole, tatuati che inseguono una sfera rotonda o personaggi noti che scelgono la chirurgia estetica e di cui, non si capisce bene perché, ci dovrebbero interessare le loro stupide e superficiali vite.
Se facessi un sondaggio per sapere quante persone ricordano la formazione dell’Italia campione del Mondo ’82 e allo stesso tempo chiedessi i nomi degli ultimi undici presidenti della Repubblica Italiana, non ci sarebbe storia. Ecco, appunto. Quella Storia di cui parlava Murrow si sta già vendicando e continuerà a farlo almeno fino a quando non s’inizierà a fare qualcosa di più utile. Nel caso specifico, rinunciare a qualche futile blockbuster scegliendo la cultura, e magari cercando d’imparare qualcosa.
Buona visione, e buona fortuna!
Good Night, and Good Luck - Fred Friendly (George Clooney) |
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