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mercoledì 9 novembre 2016

Non sono solo 7 minuti

7 minuti - Bianca (Ottavia Piccolo)
Un piccolo ritocco sulla già esigua pausa pranzo non è un dettaglio da poco, ma un astuto ricatto della classse padronale. Tratto da una storia vera, Michele Placido dirige il "femminile" 7 minuti.

di Luca Ferrari

Una fabbrica sta vendendo. I nuovi proprietari d’Oltralpe hanno comunicato le loro intenzioni. Nessuno perderà il posto. Nessuna porta verrà chiusa. Questo almeno se le 11 delegate sindacali che rappresentano il pensiero delle oltre trecento dipendenti accetteranno di togliersi sette minuti dai 15 complessivi di pausa pranzo. Chi non accetterebbe? Ispirato a fatti realmente accaduti a Yassingeaux (Francia) e basato sul testo teatrale di Stefano Massini, è sbarcato sul grande schermo 7 minuti (2016, di Michele Placido), film presentato al Festival del Cinema di Roma.

Italia, 2016. L’esperta delegata sindacale Bianca (Ottavia Piccolo) è a colloquio con la nuova e vecchia dirigenza dell’azienda tessile ove lavora da oltre trent’anni. Le altre dieci rappresentanti la attendono per conoscere il destino del proprio posto di lavoro e di altre centinaia di colleghe, tutte fuori dai cancelli tra paura, proteste e speranza. Parole e convenevoli si sprecano. Le ore passano. Il clima “lavoratore” si fa sempre più insofferente. Verso il primo pomeriggio la donna esce. Ha con sé una busta. Dovranno votare SI o NO all’offerta di madame Rochette (Anne Consigny).

Tutto resterà uguale. Nessun licenziamento previsto. Nessun trasferimento in qualche paradiso fiscale. La sola richiesta (pretesa) è la rinuncia a pochi minuti di pausa pranzo. Fa quasi ridere. Partono risate, telefonate. Si rilassano tutte, non lei. Bianca è preoccupata e prima della votazione ufficiale chiede di riflettere. Conti alla mano, ogni mese la proprietà guadagnerà 900 ore di lavoro gratuito fra tutte le dipendenti. 900! Oggi sette minuti e domani? Quanto era lunga la pausa pranzo quando Bianca cominciò a lavorare? Gli umori cambiano. Il fronte si spacca. Il potere divide il popolo. Una formula che funziona dalla notte dei tempi.

A guidare la furiosa crociata del “si” in modo anche sguaiato è Angela (Maria Nazionale), un marito in cassa integrazione ("che non esce di casa per la vergogna" sottolinea lei stessa) e quattro figli a carico. Angela vuole il lavoro e lo vuole subito. Per lei non esistono gli ideali. Con le idee non si pagano le bollette né si comprano i libri di scuola. Angela è l'emblema di quel mondo pauroso che sarà sempre schiavo. Una volta non c’era nulla, oggi c’è la libertà dei social network ma le catene restano catene. 


Non è da meno Kidal (Balkissa Maiga), africana. Non si fida nessuno, nemmeno di Bianca, che anzi accusa di accordi segreti con la neo-dirigenza. Sono straniere anche Hira (Clèmence Poesy), albanese, e Micaela (Sabine Timoteo), rumena. Storie difficili le loro, anche molto tristi. Il rischio del foglio di espulsione farebbe accettare qualsiasi accordo, figuriamoci 7 minuti in meno per una futile pausa pranzo. Hanno paura, ma sanno che potrebbero averne ancora di più. 
 
Greta (Ambra Angiolini) è una combattente di fede cattolica. Sbuffa. Sbraita. Ringhia. Sbeffeggia. Alza le mani. Marianna (Violante Placido) era un’operaia come le altre, poi un incidente sul posto di lavoro l’ha obbligata sulla sedia a rotelle e ora lavora in ufficio contabilità. A decidere le sorti dell’azienda con il proprio voto ci sono anche Isabella (Cristiana Capotondi), incinta, sua mamma Ornella (Fiorella Mannoia) e Sandra (Luisa Cattaneo). Punto di congiuntura dei due fronti, la ventenne Alice (Erika D’Ambrosio), passata dalla spensieratezza dei banchi di scuola alla realtà della fabbrica. È il mondo che sarà. Tra le sue mani c’è molto di più di un singolo voto.

 
Non possiamo o non vogliamo fare niente?” chiede Bianca. Il problema è sempre lì. Chi non ha rispetto dell’operato umano conosce bene i lati sensibili della classe lavoratrice. Il potere sa bene che la “manovalanza” non può permettersi di perdere l’impiego e forte della propria posizione, chiede sapendo bene di avere partita facile. Ma che succederebbe se il popolo rispondesse unito e deciso? Quel arringante “come un sol uomo” che spronava Massimo Decimo Meridio (Russell Crowe) in mezzo alle frecce del Colosseo è una legge non scritta che valeva allora tra le tigri e vale ancora oggi tra i canini dell’economia più subdola.

Nessuno della fabbrica è nella posizione di poter vivere di ideali ma ci sono operaie che scelgono di rischiare e lottare, pensando in prospettiva a ciò che potrà essere il loro futuro. Poi ci sono quelle che restano vittime e sono disposte anche a strisciare pur di avere la certezza della terra sotto i piedi. È su queste, quasi sempre la maggioranza del pensiero, che fa leva e affidamento la classe sfruttatrice.

Lo scontro è impari ma c’è un’altra considerazione su cui volgere lo sguardo. Dov’è la politica in tutto questo? Dove sono quei rappresentanti che dovrebbero avere come primo pensiero il benessere dei cittadini? Se la popolazione vive bene e guadagna poi spende, dunque l’economia gira. L’equazione è semplice ed elementare eppure non viene mai applicata, perché? È evidente che la formula "minor guadagno-maggior controllo" sia più conveniente se il popolo rimane in cattività.

7 minuti è uno di quei film sempre più rari che alla stregua di pellicole come Due giorni, una notte (2014, di Jean-Pierre and Luc Dardenne) meriterebbe di essere visto dal milioni e milioni di persone. Tra tutte le ottime interpreti, a salire in cattedra sono soprattutto Ambra Angiolini e Ottavia Piccolo. Quest'ultima è una guerriera stanca ma ancora volitiva nel voler usare la pericolosa arma del cervello. È paziente. Consumata. Ne ha viste tante ma ha ancora molto da insegnare. L’attrice bolzanina da anni residente a Venezia conferisce al suo personaggio fierezza, grinta e preoccupazione.

Se nel recente Veloce come il vento (2016), Stefano Accorsi ha interpretato il ruolo migliore della sua carriera (fin'ora) nei panni dell'ex-pilota tossico Loris detto il ballerino, 7 minuti potrebbe aver rappresentato lo stesso traguardo per Ambra Angiolini. Il suo personaggio è una pugile incazzosa. Ce l’ha col mondo intero. Non teme di mostrare le lacrime oltre alla forza bruta. La sua fede è Gesù Cristo. Dei tanti tatuaggi sul proprio corpo svetta la parola amen sul collo. È una delle prime ad accettare il facile “si” ma col passare dei minuti capisce che la forza non sta solo nei pugni ma anche in parole & pensieri, dimostrazione umana di cambiamento, intelligenza e caparbietà.

Violante Placido aveva forse il compito più difficile, dare credibilità a una donna handicappata senza scadere nel facile pietismo. La prova si è rivelata vincente. Recita come una maratoneta. Parte lenta senza restare indietro poi quando è il momento di attaccare, lo fa, andando oltre i propri limiti. Quando può rallentare lo fa mantenendo integrità e forza. Potrebbe essere la prima sacrificata o forse no. Lei comunque è pronta a lottare.

7 minuti (di Michele Placido) è un film da vedere. Un film di cui suggerisoco la visione in particolare al regista americano Michael Moore, la cui fasulla opera Where To Invade Next (2016) dipinge il mondo lavorativo italiano come un’oasi di diritti rispettati, lunghe pause pranzo da consumare perfino in casa propria con pasta fatta in casa e vacanze retribuite. Un’immagine a dir poco bugiarda. Un’opera che è un insulto alle difficili lotte (molte già perse in partenza) di troppi lavoratori nostrani. 7 minuti di Michele Placido al contrario è un film duro, veritiero e intelligente. Avanti popolo, alla riscossa.


11 donne e una scelta da prendere: 7 minuti, di Michele Placido

7 minuti – Il potere trama, il popolo si divide
7 minuti - Greta (Ambra Angiolini)

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