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mercoledì 2 novembre 2016

In guerra per amore... della Sicilia

In guerra per amore - Arturo (Pif) e Flora (Miriam Leone)
Nel mezzo della storia (vera) di come la Sicilia venne abbandonata alle spietate grinfie della mafia, due neo-Romeo e Giulietta lottano per stare insieme. In guerra per amore (2016, di Pif).

di Luca Ferrari

Che cosa saresti disposto a fare per l’amore della tua vita? Si fa presto a dire tutto e poi restare con le mani in mano lasciando la propria amata al più scaltro rivale. Il timido Arturo invece non si perde d’animo e un po’ per volontà, un po’ per caso, eccolo ritrovarsi alla periferia “sicula” della II Guerra Mondiale pur di ottenere la mano della sua bella. Lì nel mezzo e attorno, un mondo che stava cambiando e avrebbe segnato per sempre una terra con la violenza più spietata. È uscito sul grande schermo In guerra per amore (2016, di Pif).

New York, 1943. Arturo Giammarresi (Pif) è un semplice cameriere innamorato di Flora (Miriam Leone), figlia del proprietario del ristorante ove lavora, Alfredo (Orazio Stracuzzi), che è anche lo zio di lei. A dispetto del sentimento che unisce i due giovani e i propositi di vivere insieme, c’è come sempre di mezzo l’interesse. La fanciulla infatti è già stata promessa a Carmelo (Lorenzo Patanè), figlio del potente boss locale Don Tano (Mario Pupella).

Non sembra esserci soluzione se non quella più estrema. Tornare in Italia, e più precisamente in Sicilia, per chiedere la mano di Flora direttamente a suo padre. Se già in tempo di pace un viaggio del genere avrebbe richiesto tempo e danaro, figuriamoci ora che in Europa è in corso la II Guerra Mondiale. Il fato però da una mano al buon Arturo. Gli Stati Uniti infatti hanno deciso di stringere d’assedio il nemico penetrando in Italia dalla punta più meridionale e sono alla ricerca di uomini che conoscano il territorio.

Le carte però non bastano. I nazisti sono un osso duro. Come fare per fiaccare la resistenza locale senza perdere troppo tempo evitando inutili spargimenti di sangue con la popolazione civile? Ecco allora l’idea. Prima di partire, l’alta dirigenza militare fa una chiacchierata col boss mafioso Lucky Luciano (Rosario Minardi), in carcere oltreoceano. L’accordo viene trovato.Ad accogliere i militari stranieri e fare in modo che tutto fili lisci ci sarà Don Calo’ (Maurizio Marchetti). Lì nessuno farà opposizione, e anzi i fascisti si consegneranno senza colpo ferire.

Gli USA partono alla volta del Bel paese incluso Pif, sotto il comando del tenete Philip Catelli (Andrea Di Stefano). Ordine dopo ordine e con i preziosi suggerimenti di Din Calo’, Catelli si vede costretto a scarcerare persone poco raccomandabili poiché identificate come “antifascisti”. Decide allora di parlarne col suo superiore (James Maone) ma gli ordini sono ordini, e se la Mafia è stata in grado di non far consumare alcun proiettile né versare una goccia di sangue ai loro soldati, perché mettersi di mezzo?

Se l’ingenuo innamorato Arturo, tra un incontro con i “collodiani” Saro (Sergio Vespertino), cieco e Mimmo (Maurizio Bologna), zoppo, e quattro chiacchiere col piccolo Sebastiano (Samuele Segreto), figlio della bella Teresa (Stella Egitto), che attendono il ritorno di suo padre, non fa altro che pensare a cosa dire al futuro (si spera) suocero, giorno dopo giorno la Sicilia venne consegnata al potere della Mafia. Una strada senza ritorno.

In guerra per amore non è una fiaba inventata a tragico fine ma ciò che è accaduto veramente in quei convulsi anni di fine-conflitto mondiale. Dopo l’esordio alla regia con La mafia uccide solo d’estate (2012), Pif ri-dichiara il suo sofferto amore per la Sicilia. Una terra di rara bellezza stritolata dal potere assassino delle mafie, per anni nascosto fino all'evidenza con i suoi delitti più efferati ai danni di illustri e coraggiosi personaggi dello Stato Italiano.

Ma come fu possibile che tutto ciò sia avvenuto sotto il naso dell’esercito più potente del mondo? Banalmente, fu deciso di lavarsene le mani. L’allarme infatti era stato dato, e in modo anche ufficiale. Era il 1943, e poco dopo lo sbarco americano in terra sicula, fu redatto il rapporto Scotten, dal nome dell’ufficiale che lo scrisse sul tema "Il problema della mafia in Sicilia".

Per convenienza, forse poco tempo e chissà, si lasciò perdere. Cavalcando l’ondata anti-comunista ed ergendosi a baluardo dei valori democratici e cristiani (…), la mafia prese a mani basse il controllo della Sicilia. Emblema di ciò, l’estradizione in Italia proprio di Lucky Luciano “per servizi resi durante la seconda guerra mondiale". In un tempo in cui sarebbe stato ancora possibile intervenire cambiando la storia della Sicilia e non solo, si lasciò perdere.

La II Guerra Mondiale non fu solo nazismo. In Italia anche fascismo, un fenomeno troppo ridimensionato e i cui orrori furono tutti addebitati al solo Adolf. Un gioco malvagio in cui Benito Mussolini venne tirato dentro quasi senza colpa, dicono. Nel terzo millennio ancora troppi ignorano cosa sia stato davvero il fascismo e peggio, lo rimpiangono. Tutti pronti a puntare il dito contro Hitler e le sue camere a gas, dimenticando però come il Duce, all’epoca senza alcun sostegno nazista, abbia usato i gas nervini contro la popolazione etiope per la sua sete di conquista imperiale o di come trattasse i contestatori (vedi Antonio Gramsci).

Così, mentre nel comune veneziano di Jesolo emergono folli per non dire vergognose proposte di dedicare edifici al duce Benito Mussolini, Pif risponde inconsciamente a questo sentimento a modo suo. Tra una risata e un bombardamento, ecco il vecchio Agostino (Antonello Puglisi) disfarsi della statua del Duce in un modo che ha un che di profetico e vendicativo.

Non sarò certo io a mettere in discussione l’interpretazione di Marlon Brando ne Il padrino ma continuo a sostenere l’idea che troppo spesso il mafioso non venga rappresentato come dovrebbe, ossia un essere spregevole alla stregua di quella feccia che commette le azioni più brutali nel mondo. Con il suo stile originale  Pif racconta una storia che a parte (forse) i siciliani, in Italia conoscono in pochi. Una storia che andrebbe sviscerata per prendere coscienza di un problema che non riguarda solo Corleone e dintorni, ma l’intera penisola.

In guerra per amore
...della Sicilia. Bella, incantevole e talvolta irraggiungibile. Inespugnabile? Sarà così anche per i sentimenti di Flora e Arturo?

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In guerra per amore - Arturo (Pif) regala del latte in polvere al piccolo Sebastiano (Samuele Segreto)
In guerra per amore - da sx, il tenente Catelli (Andrea Di Stefano),
il comandante Vincent Riotta (James Maone) e il boss locale Don Calo' (Maurizo Marchetti)

2 commenti:

  1. Credo che la sua sia una ricostruzione ancora più parziale di quanto narrato nel film. Certo è storicamente provato che gli americani usarono i mafiosi per conquistare non la Sicilia, non solo quantomeno, ma l'Italia intera per assestare copli decisivi all'armata nazifascista. Ma già subito dopo l?unità d'Italia la mafia ebbe influenze importantissime nella formazaione dei governi Nazionali da De Petris a Giolitti e Crispi. Il Fascismo viene dopo. La spiegazione è semplice : l a mafia per esistere ha bisogno della politica perchè deve controllare il territorio e tutte le attività economiche anche quelle che erano di appannaggio pubblico. Non dimentichi che il più grande partito del dopoguerra , la Democrazia Cristiana, nasce da un siciliano Don Sturzo che in parte ha venduto i siciliani con le sue discutibili scelte politiche La mafia ha bisogno del potere per esistere , se ne serve e lo serve ed il potere forte è sempre stato quello centrale , non periferico. La mafia è un fenomeno nato in Sicilia ma il cui modello è convenuto ed è stato fatto proprio a livello centrale. Nasce e si evolve negli ambienti contadini con i feudi per poi trasformarsi e plasmarsi alla storia.Il mafioso di cui parla lei nella parte finale della sua recensione è quello vicino ai nostri giorni , capace di efferati delitti da Portella della Ginestra in poi.Saluti

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    1. Gent.mo Roberto, intanto la ringrazio per aver commentato la recensione. Il film non è certo un documentario sulla Mafia, ma sottolinea la nascita di quel sistema che come purtroppo ha sottolineato anche lei, poi è diventato dominante in Sicilia e non solo. Cosa peggiore, è stato permesso che accadesse senza fare nulla per impedirlo a dispetto dei pericoli, quindi si, io ho evidenziato quel modello di cui ovviamente l’opera del regista si riferisce. La stessa rabbia e sconforto del regista che traspare è quella che provo io stesso così come milioni di italiani. Ha tragicamente ragione anche quando dice che la mafia ha bisogno del potere, non a caso ormai è di casa anche nel nord Italia. Saluti a lei

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