Sognare è vivere – il tenero sguardo di Fania (Natalie Portman) |
di Luca Ferrari
1945. La II Guerra Mondiale è finita. Centinaia di migliaia di ebrei sono fuggiti dall'Europa liberata, destinazione quella Palestina alla base delle loro lontane origini. Tra di essi, la famiglia Klausner: Arieh (Gilad Kahana), la moglie Fania (Natalie Portman) e il piccolo Amos (Amir Tessler). Mentre l'uomo è felice e ansioso di partecipare a questa nuova pagina di Storia, la donna patisce gli spazi angusti e il clima arido.
La famiglia di Fania viene dalle terre baltiche. Abituata vivere all'aria fresca e in mezzo alla natura, qui, a Gerusalemme, ha trovato solo rocce, sole e politica. Lo stato d'Israele non esiste ancora. A governare è un provvisorio Mandato Britannico in terra palestinese. Per la donna la sola oasi di leggerezza è il dolce figliolo a cui racconta storie con protagonisti loro stessi. Nemmeno le rispettive famiglie le sono di conforto, criticata per ragioni diversi dalla propria madre e quella del marito.
Fania è un'anima sofferente ma di fronte a ciò che sta succedendo, è solo un essere minuscolo la cui voce al massimo viene recepita dal cuore del figlio ancora piccolo. È materna. Le sorelle vivono lontane, a Tel Aviv, e solo di rado riesce a vivere qualche momento di pace. Con la mente torna sempre lì, ai ricordi mescolati all'immaginazione, sognando un eroico conquistatore ebreo capace di liberare la sua casa ma allo stesso tempo essere premuroso e attento alla sua persona.
Arieh è sempre più preso dalla sua attività letteraria e politica. Amos non ha amici, e si rifugia nella lettura, cosa non troppo ben vista da molti compagni di scuola. Lì nel mezzo c'è lei, Fania. Il suo fisico crolla. Non regge più la luce. Questo nuovo mondo non è la sua casa. Per alcuni è solo una “bimba capricciosa”. Per alcuni semplicemente bisogna andare avanti. Anche lei troverà la forza di farlo, a modo suo s'itende.
Tutti (o quasi) conoscono la storia dell'Olocausto ma in quanti possono dire di avere la medesima (o presunta tale) della storia degli ebrei una volta arrivati nella futura Israele? L'urlo di gioia misto alla sensazione di una rivoluzione raggiunta quanto davanti alla radio viene annunciato che è passata la Risoluzione delle Nazioni Unite per la creazione di uno stato d'Israele, è a dir poco toccante. C'è inevitabilmente un ma. C'è il ma di (quasi) tutti gli Stati arabi che hanno votato contro e tutti noi nel 2017 sappiamo com'è andata avanti la Storia.
“Solo nell'immaginazione due popoli oppressi si uniscono. Figli di un padre violento, ciascuno vede nell'altro la ferocia che in principio hanno subito” sentenzia Amos. Ebrei e arabi, entrambi perseguitati dall'Occidente, invece di trovare una strada comune per vivere come fratelli che appunto sono, ancora oggi, a più di 70 anni dalla fine delle ostilità del secondo conflitto mondiale, non hanno saputo (voluto) trovare una strada per la condivisione di quella terra così grondante di sangue.
Protagonista all'età di 13 anni dell'indimenticabile Leon (di Luc Besson) al fianco di Jean Reno e Gary Oldman, per la sua prima regia l'attrice di origine israeliane Natalie Portma (V for Vendetta, Il cigno nero, Jackie) ha scelto un testo per niente facile. Una storia gravida di pioggia interiore il cui titolo originale rende decisamente meglio dell'omologo italiano. Una storia dove le ombre interiori cercano il proprio spazio in un mondo sempre più complicato e drammaticamente mutevole.
In questo inizio estate 2017 sono sbarcati sul grande schermo tre colossi commerciali con budget da capogiro: La Mummia, Wonder Woman e Baywatch, film quest'ultimo tratto dall'omonima serie degli anni '90. In mezzo a questi prodotti dal facilissimo appeal e cavalcando i due più nauseabondi trend del momento (cinecomic e remake), che cosa potrà mai dire/dare Sognare è vivere (2015, di Natalie Portman)? Poco o niente, se non a una ridotta e più colta minoranza. Chi s'illude del contrario è uno stolto incapace di comprendere il tempo che sta vivendo.
Ebrei e palestinesi si stanno ancora facendo la guerra, banalmente i telegiornali sono più interessati ad altro. Il Medio Oriente è ancora una terra dalle mille contraddizioni. La maggioranza delle sue dittature sono ben accette dall'Occidente con la sola storica eccezione dell'Iran. È indubbio che la maggior parte del pubblico sia più interessato a una superdonna dai poteri soprannaturali che non alla Storia dove ciascuno potrebbe contribuire a cambiare e modificarne gli eventi futuri. Ma è proprio questo il punto.
“Realizzare un sogno significa ucciderlo” racconta Amos ormai anziano nello scorrere di Sognare è vivere. Più di tante altre generazioni, il mondo attuale si accontenta dell'effimero. È ormai convinto che non ci sia più nulla da fare. Meglio dunque credere che un'immaginifica Regina delle Amazzoni possa entrare nella nostra dimensione sistemando le cose che non iniziare a comprendere i meccanismi del Sistema, e dunque agire. No, quello è difficile. Più facile ignorare, lamentarsi scrivendo post e restare nel'ignoranza. Più semplice andare al cinema a vedere Wonder Woman che Sognare è vivere.
Bella recensione e molto efficace la descrizione di Gerusalemme. Sono d'accordo sull'infelicità della traduzione italiana del titolo. Meno d'accordo con le ultimissime righe della critica, che trovo un pò troppo politiche. In ogni caso, sito salvato in preferiti. E... sono curioso di vedere la Portman di nuovo in azione come sceneggiatrice e regista.
RispondiEliminaciao, si anch'io. Come attrice si è sempre dimostrata molto versatile, spero che come regista faccia lo stesso. Un attore/regista, per quanto bravo/a possa essere, che resta sempre relegato a un genere non mi fa impazzire.
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