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lunedì 18 marzo 2013

Carnage (2011), il massacro delle relazioni

Carnage - da sx: Michael (J. C. Reilly), Penelope (J. Foster), Alan (C. Waltz) e Nancy (K. Winslet)
C'è un rabbioso "figlio di puttana" dentro ciascuno di noi. Roman Polansk lo sa bene e lo fa emergere in tutti e quattro i (grandiosi) protagonisti di Carnage.

di Luca Ferrari

Una zuffa tra due adolescenti spalanca le porte alle voragini relazionali e personali dei rispettivi genitori che s’incontrano "amichevolmente" per discutere la questione. Basato sull’opera teatrale Il dio del massacro di Yasmina Reza, il regista premio Oscar Roman Polanski dirige Carnage (2011), film presentato alla 68° edizione della Mostra Internazionale d’arte Cinematografica di Venezia

L’intera vicenda si svolge in un’abitazione. I due effettivi protagonisti, i figli, si vedono all’inizio e alla fine della pellicola, sempre nel parco. Prima c’è lo scontro, poi si parlano. Com’è normale tra ragazzi. Senza fantomatici o auspicati interventi pater-materni. In mezzo, un viaggio angosciante nelle vite adulte di coppia per  le quali le nuove generazioni si rivelano un ostacolo insormontabile da educare, consigliare e amare.

Alan Cowan (Christoph Waltz) è il più coerente dei quattro. Padre del ragazzo che ha colpito con un bastone l’altro. Del tutto disinteressato all’incidente dall’inizio alla fine del menage con la famiglia Longstreet. Definisce senza mezzi termini il proprio figlio un “pazzoide” che ignorerà qualsiasi predica gli si farà. A parte pensare ai fatti suoi, sottolinea l’esagerazione della madre del ragazzo picchiato nel giudicare un carnefice il propriom, solo per una scaramuccia tra ragazzi venuti alle mani. Per nulla avvezzo a provare compassione per le cosiddette fasce deboli, è un scaltro avvocato che difende multinazionali pescecane, Pentagono incluso. Costantemente attaccato al suo iPhone, non c’è conversazione che non venga interrotta da una chiamata a cui risponde con incredibile nonchalance.

Nancy Cowan (Kate Winslet) è in apparenza la più fragile dei personaggi. Si sforza di comprendere le ragioni altrui. È repressa emotivamente e poco dedita a dire le cose come sono, presumibilmente per compensazione visto che il marito non si fa alcun problema. Causa stress e una fatale torta di mele e pere, vomita sui preziosi libri d’arte di Penelope Longstreet. 

Un paio di whisky le daranno il coraggio di buttare fuori tutto quello che ha dentro, gettando esausta il prezioso telefono multi-servizi del marito in un vaso pieno d’acqua (e mandandolo così per la prima volta in crisi), sparando poi senza pietà sull’altra coppia e dicendosi alla fine felice di quanto accaduto. Precisando che il piccolo Longstreet altro non è che un frocetto cagasotto e vigliacco e aggiungendo che è fiera che il proprio figlio lo ha picchiato.

Michael Longstreet (John C. Reilly) è un maratoneta dell’esplosione. Parte lento. Posato. Nel nome della mediazione e della conciliazione. Ma più a lungo prosegue il dialogo con i Cowan, più inizia a cedere la barricata mentale richiesta dalla rigida moglie. Michael vende oggetti per la casa. Ha una madre opprimente. Sentitosi svilito di fronte all’importante lavoro del corrispettivo maschile, inizia a scaldarsi e gonfiare il petto. Poi il suo disagio rompe gli argini e viene fuori la sua vera natura, tuonando contro la sua dolce metà. 

Michael è un uomo rude. Scarica addosso alla consorte le incomprensioni e miserie di una vita intera. Ha una bassissima opinione del matrimonio e della famiglia, cosa sottolineata citando episodi di vita personale. Abbandona in piena notte il criceto dei figli, di cui ha terrore, in mezzo alla strada. Sorseggia whisky fumando sigari, cosa che non tutti gradiscono. Parole sue, dice di essersi atteggiato a “buon borghese” quando in realtà è “un figlio di puttana isterico”.

Penelope Longstreet (Jodie Foster) è il personaggio più emblematico del quartetto. La classica madre apprensiva. Suo figlio è stato picchiato e per lei è una vittima. Ignora però che sia il capo di una banda e che aveva cominciato la lite. Usa paroloni come “aggressione” e “sfigurato”. La sua esasperata emotività sull’argomento nasce da una sensibilità rivolta ai più deboli. Ama l’Africa e sta scrivendo un libro sulle vittime del Darfur.

Ci sono però lacune nelle sue tesi. Pur dicendo di parteggiare per il più debole, se ne esce con una filosofia molto Bushiana alla “sono felice e fiera di vivere nell’Occidente evoluto”. Cerca di ribattere alle stoccate del marito, ma le lacrime sono la sua unica arma di difesa. Per una sorta di solidarietà femminile trova saltuariamente un’alleata in Nancy, ma è un fuoco di paglia. È rigida nei giudizi e incapace di far valere le proprie idee come nella cinica lezione sul costante “massacro quotidiano” che Alan gli rifila senza pietà. È un’idealista che non trova alleati. È il personaggio più triste. Sconfitta da tutti. Crede nell’evoluzione dei rapporti umani, ma lei stessa è sinonimo del fallimento di questi.

Perché per qualcuno è tutto così complicato nelle relazioni di coppia? Perché per qualcuno è tutto così semplice nelle relazioni di coppia? Nella maggior parte dei casi basterebbe parlare. Basterebbe iniziare a dialogare anche quando l’idea dell’amore eterno non è ancora un kit di sopravvivenza o è molto lontano dall’essere un facile bersaglio da scorticare. Bisognerebbe parlarsi quando è più facile cedere al dolore e al silenzio. Bisognerebbe comunicare senza ostacoli quando si smette di meravigliarsi della presenza di un cuore che batte vicino al nostro.

Carnage - Penelope (Jodie Foster) e Michael (John C. Reilly)
Carnage - Michael (John C. Reilly) e Alan (Christoph Waltz)
Carnage - da sx: Michael (J. C. Reilly), Nancy (K. Winslet), Penelope (J. Foster), Alan (C. Waltz)
Carnage (2011) di Roman Polanski

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