Exodus: dei e re - Mosé (Christian Bale) |
di Luca Ferrari
Non è questo (…) il tempo ideale per i kolossal religiosi. Se ne faccia una ragione Ridley Scott e chiunque in mancanza d’idee voglia attingere a quella sceneggiatura senza troppi diritti d’autore che è il Vecchio Testamento. Exodus: dei e re (2014) è un’opera scialba, con troppi salti temporali e incapace di coinvolgere davvero lo spettatore, nemmeno ricorrendo al salvifico 3D. Un’opera di quasi 2,30 h. interamente “sbolognata” sulle spalle di Christian Bale (Mosè) che può davvero poco di fronte a un simile scenario dal biblici sbadigli.
Antico Egitto. Da 400 anni gli ebrei sono schiavi senza diritti dei malvagi egiziani. In tutto questo tempo il loro dio (Yahweh) ha avuto altro cui pensare (forse a programmare il Medioevo, ndr). D’improvviso però quest’ultimo non riesce più ad accettare la situazione e a dispetto del suo straordinario potere (è Dio d’altronde), si manifesta all’ateo Mosè, figliastro del Faraone e ora scacciato perché scoperto ebreo, incaricandolo più o meno di guidare la rivolta del proprio popolo.
Ridley Scott da troppo per scontato. Un paio di didascalie esplicative a inizio film crede che bastino per spiegare qualcosa che, nutro seri dubbi, a Bangalore così come a Osaka o Tokyo, possano conoscere bene. Un incidente naturale capitato a Mosè, così come potrebbe avere chiunque scivoli per le scale, lo mette in contatto con l’Altissimo e grazie a lui troverà il modo di prendersi una lunga pausa da moglie e figlio, destinazione la liberazioe della sua gente. Perché lui non lo desiderava, infatti. O meglio: si e no. Era alla ricerca di qualcosa/qualcuno cui obbedire per sentirsi in dovere di farlo.
Quasi sessanta anni fa venne girato I dieci comandamenti (1956, di Cecil B. De Mille) con la coppia Charlton Heston/Mosè – Yul Brynner/Ramesse a scontrarsi per davvero. Una vera epopea con effetti speciali capaci di toccare lo spettatore. Saltando fuori dalla storia umana e relazionandosi con l’essere divino. Sebbene originale la scelta di Scott sul come raffigurare il Creatore, a tradirlo è proprio la sua stessa fisionomia. E da architetto dell’universo si fa intransigente e capriccioso vendicatore.
Un flop anche le scene clou, come il passaggio tra le acque del Mar Rosso o l’arrivo dell'angelo sterminatore (o chicchessia), colui il quale uccide tutti i primogeniti egiziani; in Exodus: dei e re non si capisce proprio. Mosè minaccia Ramses con la flemma di un vate sotto acido, mentre l’altro ricambia con urletti tardo-adolescenziali. Arriva il momento. Muoiono bambini, incluso il futuro faraone. La macabra predilezione però può essere realmente compresa solo chi ha letto qualcosa del Vecchio Testamento o quanto meno ha visto I dieci comandamenti.
Se Mosè “Hood” riesce a barcamenarsi tra azioni “Longstridiane” e strategia, per nulla convincente è l'ex-fratello Ramses (Joel Edgerton). Impiccagioni a parte, la sua presunta rabbia non fa proprio breccia. Per nulla propenso a credere a maghi e simili a differenza del padre Seti (John Turturro), gli basta aver annusato qualcosa di personale nella predilezione sull’imminente guerra contro gli Ittiti, per avere sensazioni spiacevoli e cominciare a guardare Mosè con sospetto.
A dir poco insignificanti le presenze femminili, con Sigourney Weaver (Tuya) a Golshifteh Farahani (Nefertari) al limite del mutismo. La prima odia Mosè. Il perché però non viene detto. È così e basta. Qualche (dolce) parola in più per la bellissima Maria Valeverde (Zipporah, la moglie di Mosè). Spettatori, più che attori non protagonisti, anche “l’Aragorniano” (per l’aspetto) Aronne (Andrew Tarbet) e Giosuè (Aaron Paul). Qualche cenno di vita in più per Nun (Ben Kingsley).
Immancabile una considerazione di tipo prettamente logico. Vedere come migliaia d’anni fa i re si affidassero a presagi interpretati da qualificati maghi sulla base di sangue colato e visceri vari, fa comprendere quanto poco sia cambiato il mondo. Ancor oggi i regnanti despoti dirigono con opportuni fili un’umanità a dieta stretta di autostima e disposta, dopo accurato lavaggio di cervello, a inginocchiarsi miseramente dinnanzi a storie variegate che hanno tutte in comune un unico grande obbiettivo: la loro schiavitù.
Il popolo ebraico supera l’esame di egiziano e parte per la sua terra promessa. Ci vedranno come invasori, dice Mosè rispondendo alla domanda su cosa accadrà una volta lì arrivati. È ancora così. Nel 2015 il popolo “eletto” è ancora visto in questo modo dai cugini arabi. Oggi, nel 2015, la Palestina è ancora una valle di sangue senza che nessuno intervenga. Né Dio né i nuovi dei della guerra o della pace.
In un’epoca (cinematografica) infine dove si spaccano film in due per portare più allocchi davanti al grande schermo annacquando sceneggiature che funzionerebbero anche in un unico viaggio, in Exodus: dei e re sarebbe stato il caso di farlo. Ma a giudicare da quanto visto, meglio che il “dente” sia stato tolto con un unico intervento. Unica nota dolce, la dedica finale del regista al fratello e collega Tony (1944-2012), anche se forse si sarebbe meritato qualcosa di meglio come opera alla sua memoria.
Exodus: dei e re - Nun (Ben Kingsley) |
Exodus: dei e re - Mosé (Christian Bale) eZipporah (Maria Valeverde) |
Exodus: dei e re - Ramses (Joel Edgerton) |
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