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martedì 3 maggio 2016

La foresta dei sogni suicidi

La foresta dei sogni - Arthur Brennan (Matthew McConaughey)
Viaggio dantesco nel tortuoso percorso dell’uomo a tu per tu con la propria fine, sperduto ne La foresta dei sogni (2016, di Gus Van Sant) e, forse, alla ricerca di un'ultima speranza.

di Luca Ferrari

Il dolore ha avuto la meglio nella vita di Arthur ed è ora tempo di ammainare la sempre più flebile bandiera della propria esistenza. Lui ha pianificato ogni dettaglio. Il posto. Il modo. Il giorno. Se è davvero deciso ad andare fino in fondo, sarà il confronto tangibile col baratro a sancirlo. Presentato alla 68° edizione del Festival di Cannes, giovedì 28 aprile è uscito sul grande schermo La foresta dei sogni (2016, di Gus Van Sant).


Arthur Brennan (Matthew McConaughey) aveva una vita e una moglie, Joan (Naomi Watts). Qualcosa però non ha funzionato. L’imprevisto più tragico (e non solo) lo hanno portato a uno stato di abbandono senza ritorno e incapace di reagire. Per uscire dall’incubo non c’è che una soluzione. Arthur compera un biglietto per il Giappone, destinazione la famigerata foresta di Aokgigahara, chiamata anche la Foresta dei Sogni. Sogni già, quelli eterni. Qui infatti molta gente viene a suicidarsi.

Arthur è deciso a seguire la medesima via. Vi entra per non uscirne. Prende un sentiero inibito al personale non autorizzato. Cammina. Osserva. Si siede. Guarda il panorama. Ha con sé solo una boccetta di pillole e una bottiglietta d’acqua per ingurgitarle tutte, una dopo l’altra. Quando le prime sono già in circolo, qualcosa lo interrompe. Un rumore. Un passo strascicato. Un uomo dolorante. Il suo nome è Takumi Nakamura (Ken Watanabe).

Pur perfetti sconosciuti, tra i due s’instaura subito un legame intenso. Entrambi sono lì per la ragione più desolante, eppure qualcosa sembra ancora battere (dentro). Impressione o banale parentesi? Takumi si è perso e chiede aiuto. Vuole uscire. Dice di voler tornare dalla sua famiglia. Arthur non si tira indietro. Il cielo intanto promette tempesta, ed ecco la natura rivelarsi nel suo approccio più spietato a tu per tu con l’uomo in balia di se stesso. Due uomini abbandonati ma uniti possono mutare un destino già deciso?

La vita come l’Inferno. Il viaggio nella selva oscura come Purgatorio. La possibile uscita da essa come ambizione del Paradiso. Il regista Gus Van Sant (Will Hunting - Genio ribelle, Scoprendo Forrester, Promised Land) si è spesso ispirato alla più tragica realtà per mettere mano alla telecamera (Elephant, Milk, Last Days). In questa sua nuova opera, ispirata agli effettivi e numerosi suicidi consumati nella suddetta foresta nipponica, mette l’essere umano a contatto con il sé più profondo. La foresta fa da sfondo ed è protagonista. È letale e allo stesso tempo un ecosistema dove possono sbocciare nuovi germogli di vita.

Da belloccio sciupafemmine e indiscusso protagonista di commedie leggere (Prima o poi mi sposo, Come farsi lasciare in 10 giorni, A casa con i suoi), Matthew McConaughey è ormai da tempo passato sulla sponda del cinema impegnato, fin da quel Killer Joe (2011) di William Friedkin. Di lì poi è stata una sequela di volti drammatici, scelta che lo ha portato a vincere il più che meritato premio Oscar come Miglior attore protagonista in Dallas Buyers Club (2013, di Jean-Marc Vallée).

Arthur Brennan è un aspirante suicida. Arthur non sale su di un ponte vicino casa gettandosi di sotto. Arthur non compera una pistola e se la punta alla tempia. Arthur è alla ricerca di un finale a metà strada tra sofferenza e poesia. Lascia le chiavi dentro la macchina parcheggiata in aeroporto. Non vuole nemmeno consumare i pasti sul velivolo. Nonostante tutto ciò, una parte (inconscia) di sé crede ancora nella luce. La ricerca dello scenario perfetto forse nasconde una speranza cui la ragione non già fa più vedere.

“Then a deamon/come to me/ You must know/ I’m gonna win – Poi un demone venne da me, tu devi sapere che io vincerò” sibilava la corrosiva voce di Layne Staley (1967-2002) sulle note strazianti di Lifeless death (Mad Season). Chi vincerà: il male verso se stessi o è una dichiarazione di sfida alla vita? La canzone va interpretata, la vita pure, o forse meno. La vita non è teoria ma inappellabile pratica. Arthur intraprende un viaggio decisivo. Quale che sia l’esito, emergerà qualcosa di mai visto fino a ora.

Tutti nella vita arriveremo (o siamo già arrivati) al classico punto di rottura dove il domani è solo uno scantinato chiuso senza finestre né porta d’accesso. Vorremmo che la nostra caduta si arrestasse e invece va avanti. E quando finalmente delle viscide rocce nere ci riportano al contatto con la realtà più spietata, nulla ha più senso. Quel momento potrà segnare la definitiva fine o l’inizio di un tortuoso e nuovo cammino. Un momento che se superato ci farà cercare una nuova strada e dunque nuovi sogni, o nella peggiore delle ipotesi ci lascerà perduti per sempre nella foresta del sonno eterno.

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La foresta dei sogni - Takumi Nakamura (Ken Watanabe) e Arthur (Matthew McConaughey)
La foresta dei sogni - Joan (Naomi Watts) e Arthur (Matthew McConaughey)

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