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martedì 21 giugno 2016

L'uomo che intuì e dimostrò l'infinito

L’uomo che vide l’infinito – Srinivasa Ramanujan (Dev Patel)
Dalle pure intuizioni matematiche alle dimostrazioni che ne sancirono l’universale validità. Storia del matematico Srinivasa Ramanujan, L'uomo che vide l'infinito (2015, di Matthew Brown).

di Luca Ferrari

Il nuovo linguaggio della matematica contro ogni pregiudizio e freno mentale. Da Madras a Cambridge. Dall'India all'Inghilterra. Srinavasa Ramanujan è un ambizioso venticinquenne con un intelletto fuori dal comune. Dialoga coi numeri. Scrive formule. Nell’allora colonia britannica dei primi del '900 nessuno lo prende sul serio. Quasi nessuno. Basato sulla biografia “L'uomo che vide l'infinito – La vita breve di Srinivasa Ramanujan" (1991, di Robert Kanigel), è uscito sul grande schermo il film omonimo diretto da Matthew Brown. "Se credete nel cambiamento, leggete a vostro pericolo".

Il genio. Il mentore. La forza di non mollare mai. Sono i tre elementi cruciali per inscrivere il proprio il nome nel ristretto elenco dei Grandi della Storia. Srinivasa Ramanujan (Dev Patel), addetto alla contabilità di Sir Francis Spring (Stephen Fry), a Madras, è un genio incompreso della matematica. Nella propria terra natia dove comandano gli uomini di Sua Maestà non c'è posto per il suo talento. Ecco allora la montagna andare da Maometto.

Al Trinity College di Cambridge c’è un docente diverso dagli altri. Ama le idee rivoluzionarie. Non gl’interessa la bandiera o il colore della pelle. Non ha legami di alcun tipo. La sua è una vita dedicata allo studio. Il suo nome è G. H. Hardy (Jeremy Irons). È il 1913 e ha appena ricevuto una strana lettera dall’India con pagine di formule mai viste prima. Lì per lì creduto uno scherzo dall’amico e collega John Littlewotod (Toby Jones), una volta compresa l'effettiva esistenza di questo diamante grezzo, il passo successivo non può che essere l’invitarlo in Inghilterra.

Per il giovane è un inevitabile mondo nuovo (nuovissimo). A dispetto di un entusiasmo dirompente, per arrivare primo sul traguardo è necessario imparare tanti piccoli dettagli del nuovo tracciato. Dalla dieta vegetariana da seguire non senza difficoltà all’inevitabile razzismo cui andrà incontro, specie con lo scoppio del primo conflitto mondiale, fino allo scontro accademico con docenti che non accettano di vedersi scavalcare dall’ultimo arrivato, per di più senza alcun titolo accademico e ancor per di più proveniente dalle colonie.

Hardy è sempre al fianco di Ramanujan ma non saranno sempre rose e fiori. Amore disinteressato per il geniaccio indiano o interesse a tirare un bel montante al corpo docente che spesso lo ha screditato? Un po’ entrambi, e non c’è nulla di male. L’interesse per le sue capacità non tarderà troppo a lasciare spazio a una grande amicizia, e perfino Hardy, vecchio cuore di quercia inglese e allergico ai sentimenti, sentirà di dover stare vicino a questo ragazzo che ha abbandonato la propria casa nel nome della loro amata matematica.

Vita dura quella dei geni anticonformisti. Non esiste epoca dove la rivoluzione del sapere sia stata accolta con travolgente entusiasmo, salvo le solite rare eccezioni. Eppure, a ben pensarci, è davvero un controsenso. Isaac Newton è venerato al Trinty College, eppure quante volte anche lui fu ostacolato nel proprio lavoro? Ramanujan subisce il medesimo trattamento. Il nuovo mette sempre in discussione lo status quo. I titolari del sapere hanno solo il guardaroba differente dai loro ottusi predecessori.

Entri nel mondo de L'uomo che vide l'infinito (2015, di Matthew Brown) ed è inevitabile pensare a pellicole analoghe. Due su tutte, A Beautiful Mind (2001, di Ron Howard), film vincitore di quattro premio Oscar, e il più recente The Imitation Game (2014, di Morten Tyldun), rispettivamente sulle figure di John Nash e Alan Turing. Ma se Nash e Ramanujan si “sono limitati” a lasciare un’impronta indelebile nella matematica applicata, il timido Alan diede un contributo alla vittoria degli Alleati II conflitto mondiale che nessun’arma degli Alleati riuscì mai lontanamente a eguagliare per effetto contro gli odiati nazisti.

I quaderni di Ramanujan sono scritti quasi sotto dettatura (divina?) esattamente come ci mostrava Milos Forman nell'indimenticabile Amadeus (1984) sul geniale musicista austriaco Mozart. Ma prima delle formule L'uomo che vide l'infinito (2015, di Matthew Brown) è soprattutto un viaggio/percorso umano dove ha un ruolo fondamentale il dolore della lontananza. In un’epoca dove ci si poteva al massimo scrivere lettere (di attesa), Srinavasa ha lasciato nel subcontinente la giovane moglie Janaki (Devika Bhise) e l’invadente madre. Non senza difficoltà e qualche evitabile incomprensione, i due portano avanti il loro matrimonio con amore vero e sincero.

Sontuosa l’interpretazione di Jeremy Irons (Mission, Io ballo da sola, Il mercante di Venezia), passato nel giro di pochi mesi dall’inedita veste (per lui) di Alfred il maggiordomo al fianco di Ben “Batman” Affleck ai sentimenti sofferti di La corrispondenza per Giuseppe Tornatore. L'attore britannico calza alla perfezione le  vesti di un dotto inglese per nulla immobilizzato in etichette. 

Notevole anche il suo alterego (buono), il collega d'oltremanica Toby Jones, viso noto sul grande schermo e co-protagonista di moltissime pellicole tra cui Neverland - Un sogno per la vita, Frost/Nixon - Il duello e Captain America- il primo vendicatore. Meno entusiasta di Hardy sulle doti del neo-arrivato ma non meno prodigo di aiuti e appoggio morale. I due docenti sembrano gli Sherlock Holmes e Watson dell’indagine matematica anche se con sfumature ed ego di entrambi i personaggi creati dalla penna di Sir Arthur Conan Doyle.

Intensa anche le prova del giovane Dev Patel, londinese di origini indiane classe '90. Se fin’ora ci aveva abituato a ruoli più leggiadri, inclusi quelli (doppi) del buffo titolare del Marigold Hotel, al fianco di un altro monumento del cinema d’Oltremanica (Maggy Smith), in L'uomo che vide l’infinito si spoglia dell’imprevedibilità giovanile prendendo in mano la volontà di un uomo deciso e convinto delle sue capacità. È studioso e concentrato. È una mosca bianca nella valle dei pregiudizi ma è sicuro che alla fine il mondo comprenderà l’importanza del suo lavoro.

Nel marasma dei social network dove chiunque vuole sempre insegnarti a vivere e condividere scontate perle di saggezza nel nome di chissà quale missione evoluzionistica, di recente mi è balzata sotto gli occhi una frase attribuita a Steve Jobs (non ho trovato gran riscontri in rete, ndr). La tipica frase con cui tutti si riempiono la bocca ma poi messi di fronte alla realtà che questa esprime, al 99,99 per cento farebbero un bel balzo all’indietro. Queste le parole: Non ha senso assumere persone brillanti e poi dire cosa devono fare. Noi assumiamo persone brillanti così loro ci dicono cosa fare.

Nel Bel paese (e non solo) i potenti di qualsiasi ambito sono disposti anche a guadagnare meno (denaro o prestigio che sia) pur di non vedere il proprio nome oscurato da persone più capaci. Invece, come sosteneva il buon Hardy “Un cambiamento è una magnificenza. Noi esploriamo l’infinito alla ricerca della perfezione”. Ramanujan sentiva davvero di avere qualcosa di speciale da condividere col mondo intero. Con la giusta guida è passato dall'intuizione purissima alla dimostrazione accademica. Così ha dato il suo contributo a un mondo diverso. La sua vita stessa è la prova immortale che si può e deve cambiare.

Il trailer de L'uomo che vide l'infinito

L’uomo che vide l’infinito – Ramanujan (Dev Patel) a confronto con il prof. Littlewood (Toby Jones)
L’uomo che vide l’infinito – il prof. G. H. Hardy (Jeremy Irons)

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