Cous Cous - la danza del ventre di Rym (Hafsia Herzi) |
di Luca Ferrari
Per placare un bisogno, ci vuole un altro bisogno. Il mondo dei privilegiati non ha pietà né rispetto degli umili che sudano senza tregua per sopravvivere. La danza orientale viene in loro soccorso ma nessuno dei pomposi spettatori ne carpisce il vero significato. Presentato in anteprima alla 64º edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, Cous cous (La Graine et le Mulet, 2007, di Abdellatif Kechiche) vincitore nella rassegna lagunare del Leone d'argento – Gran premio della giuria, ex aequo con Io non sono qui di Todd Haynes.
Il mite Slimane (Habib Boufares) vive oppresso tra il peso della sua numerosa e prima famiglia, invadente e poco rispettosa della sua nuova sfera affettiva, e la responsabilità che sente verso la nuova compagna Latifa (Hatika Karaoui), la figlia di lei, Rym (Hafsia Herzi). Anticipando l’esplosione globale del precariato a oltranza, il sessantenne Slimane viene licenziato dal cantiere navale dove lavorava da anni senza troppi complimenti.
Prova allora a mettere in piedi un ristorante specializzato in cuscus su una barca ormeggiata al porto, dove in cucina ci starebbe l’ex-moglie. Ma come accade sempre più spesso, l’iniziativa di persone dalle modeste possibilità economiche e senza conoscenze altolocate, viene schiacciata dalla strafottenza delle giacche incravattate.
Emblema di tutto questo, la parte finale della pellicola quando Slimane invita tutta la più facoltosa clientela a una cena gratuita per far degustare le migliori specialità, e dare un’idea precisa di quella che potrebbe essere questa attività a dispetto di cartelle, permessi o presentazioni varie. Una cena con le migliori specialità della cucina magrebina, in particolare il cuscus di pesce (cefalo).
Nonostante l’invito, sono sufficienti pochi minuti di ritardo per far iniziare a sbuffare gl’invitati. E dopo un iniziale successo della serata, la situazione inizia a precipitare. Uno dei figli di Slimane abbandona il ristorante perché vede una delle sue tante amanti e scappa via in macchina dimenticandosi che nel portabagagli c’è la semola del cuscus. Le figlie non fanno altro che sparlare della nuova compagna del loro padre, mentre gli ospiti non dimostrano la benché minima tolleranza per questo ritardo del piatto più atteso.
Sono cafoni. Hanno già deciso che bocceranno il suo progetto. Intanto però s’ingozzano. Gratis. I bisogni dell’uomo primitivo erano e sono rimasti due: la fame e il sesso. Non sono cambiati. Per sedare uno, si può utilizzare l’altro. E Rym, stufa di sentire commenti irrispettosi su Slimane, si toglie l’abito da sera e d’accordo con gli amici musicisti che stanno allietando la serata, inizia un’indimenticabile performance di danza del ventre, puntando decisamente sul lato erotico e non quello artistico né spirituale. L’appetito si placa, e il pubblico inizia a guardare e applaudire.
Del culto della femminilità e della sua storia però non v’è traccia. Guardano le forme della ragazza che si muovono. Ammirano divertiti la performance come ricchi bambocci viziati .Rym balla. Quasi indemoniata. Si percepisce la calura del posto. Danza stretta a contatto con i musicisti. L’attrice ha volutamente messo su qualche chilo per questa interpretazione, per essere più “in carne”. Una danza che sembra attingere dai culti tribali. Una danza dettata dell’amore di una ragazza per un uomo cui vuole bene come un padre.
Cinema e danza del ventre, due mondi che nel mondo occidentale fin'ora hanno dialogato poco e male. Ne La guerra di Charlie Wilson (2007, di Mike Nichols), l’escamotage per tenere il ministro egiziano impegnato, è una fin troppo conturbante performance di danza del ventre. Di ancor meno interesse la flebile interpretazione di Luciana Littizzetto in Genitori & figli – Agitare bene prima dell'uso, (2010, di Giovanni Veronesi) o la versione coatta di Claudia Gerini in Bianco, Rosso e Verdone (2008). Più odalische che altro invece, nel mediocre La banda dei babbi natale (2010, con Aldo, Giovanni e Giacomo).
Cous cous uno dei rari film di successo sbarcati in Occidente dove la danza orientale (bellydance) non è un ballo di pochi secondi, tanto per mettere un po’ di colore orientale. Un finale quasi interamente vissuto dentro i movimenti di quest’arte millenaria. Ciò che appare però non è la celebrazione della femminilità, ma un escamotage per imbonire un clan di egoisti, superficiali e poco rispettosi, che brindano alle parole di “Salam aleikum” come uno slogan. Cous cous è una storia malinconica dove il senso di superiorità della ricchezza rende fin troppo amara la lotta continua del pescatore Slimane.
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