Bella addormentata - Rossa (Maya Sansa) |
di Luca Ferrari
Parlare della Fine non è facile per nessuno. Con una prova da libero artista invece, il regista romagnolo ci riesce. Per di più avventurandosi tra le anarchiche forche caudine dell’eutanasia. Bella Addormentata è un’introspezione corale che ruota attorno agli ultimi giorni di vita di Eluana Englaro.
Lo spessore culturale e umano del regista fa sì che il film non scada mai in quei salottini "Vespaioli", dove parlano solo gli interessi. Marco Bellocchio parla di morte, sì. Ma lo fa con i delicati sentimenti rabbiosi delle persone, e le contraddizioni delle rispettive vulnerabilità.
“Il film svela quello che io penso sull’argomento in modo complesso. Bella addormentata è fatto di risvegli e non risvegli. È un film semplice ed essenziale” ha spiegato il regista in conferenza stampa, insolitamente iniziata con una standing ovation dei giornalisti ai protagonisti, “All’origine della pellicola non c’è stato niente di voluto. Quello che vedevo e sentivo su Eluana mi è rimasto dentro. Ho cominciato ad avere delle immagini, personaggi e storie. Le ho lasciate depositare per un po’. Fino a quando, insieme agli sceneggiatori Veronica Raimo e Stefano Rulli, abbiamo iniziato la sceneggiatura”.
Se Isabelle Huppert è un’attrice di cinema ormai votata alla sofferenza più totale per la figlia ridotta in stato vegetativo e prega tutto il giorno, Toni Servillo è il politico Uliano Beffardi, iscritto al Pdl ma stufo di sottostare a ideali in cui non crede. O meglio, non crede più. Ma il personaggio più controverso, è sua figlia Maria (Alba Rohrwacher).
Orfana di madre. Ignora (…) che sia stata lei stessa a chiedere al marito di farla finita. Manifesta per la sopravvivenza di Eluana Englaro, però s’innamora di chi è lì per la ragione opposta, ossia Roberto (Michele Riondino). Tra loro è colpo di fulmine. E tutto il resto passa quasi in secondo piano. Il cuore è dolcemente egoista. Ed è giusto che sia così.
Dopo Buongiorno Notte (2003), Maya Sansa torna a farsi dirigere da Bellocchio. Buchi da tossica. Sfregi sulle braccia. Una bellezza meno mediterranea e più Tomeiana (Marisa, ndr) formato The Wrestler (2008, Darren Aronofsky).
È il suo personaggio a regalare un’impensabile speranza, e far virare il film verso un’atmosfera alla The Burning Plain (2007, di Guillermo Arriaga) inveceo del classico naufragio sugli anfratti di un'Italia perennemente e inconsolabilmente depressa. La pioggia della veglia lascia spazio a un sole leggero. C’è voglia di vivere. La finestra aperto è un passaggio verso il mondo da cui non si vuole più fuggire.
E come nello struggente Million Dollar Baby (2004), dove Frankie Dunn (Clint Eastwood) acconsentiva a spegnere Maggie Fitzgerald (Hilary Swank), così Uliano compie la medesima azione con la sua dolce metà. Ormai esangue e stufa di cure invasive, è costretta a ripetersi tre volte. Quasi che lui non volesse veramente sentire quella richiesta finale.
Ma non è forse il più grande e doloroso atto d’amore rinunciare a qualcuno che sta soffrendo, e che ti sta chiedendo di lasciarla andare? Chi lo nega, o non sa cos’è l’amore o è talmente egoista da mettere un’idea astratta davanti all’essere umano.
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