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mercoledì 31 luglio 2013

The Interpreter (2005), Peace Sucks

The Interpreter - Silvia Broome (Nicole Kidman)
Girato nella vera sede ONU, un inquietante thriller dove la fantasia non è purtroppo così lontanna dalla realtà. The Interpreter (2005, di Sydney Pollack)

di Luca Ferrari

Un finto attentato programmato sotto gli occhi di tutti i delegati ONU per trasformare in vittima il dittatore Edmond Zuwanie (Earl Cameron), presidente del Matobo, pronto a sbarcare a New York per un diplomatico discorso ed evitare il Tribunale Internazionale dell’Aja. Un piano quasi perfetto se non fosse che l’interprete Silvia Broome (Nicole Kidman) ascolta per sbaglio qualcosa, e grazie all’impegno degli agenti federali Dot Woods (Catherine Keener) e Tobin Keller (Sean Penn), il gioco viene scoperto e la giustizia trionfa.

È quanto ci fa vedere Sydney Pollack nel thriller The Interpreter (2005), girato nel Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite, volando decisamente di fantasia. Troppo. Un guadare che fa schiumare rabbia.

Il punto di partenza delle Nazioni Unite dal quale si sarebbe dovuto sviluppare un nuovo corso della storia. E c’è stato. Dietro una parvenza di liberalismo, le guerre hanno assunto forme più subdole. C’è chi ancora ricorre alle armi senza tanti problemi (Stati Uniti, Israele, Cina, Russia) per portare a termine i propri scopi, e chi è più attivo con altre forme meno appariscenti ma ugualmente letali (Europa).

Ma da quel lontano 26 giugno 1945, quanti nuovi Zuwanie ci sono stati senza che l’ONU abbia fatto nulla? La storia bellica è piena di rivoluzioni. Tirannie sostitute da altri beceri despotismi. È successo nel tragico Iran dello Scià di Persia sostituto dal regime oscurantista degli Ayatollah. È continuato in tempi più recenti in Egitto: da Hosni Mubarak a Mohamed Morsi, e chissà chi ci sarà ora (sangue sulle strade a parte).

E che dire dell’Italia? La II Guerra Mondiale segnò la caduta del Fascismo e delle leggi raziali (rimpianto il tutto ancora da molti), ma da allora mafie collegate con il potere hanno imperversato e continuano a fare il bello e il cattivo tempo nel Belpaese. Un nemico senza un volto identificabile. E il risultato è una nazione ancora profondamente corrotta, incapace perfino di ribellarsi a dittatoriali logiche atlantiche che la obbligano a comperare inutili aerei da combattimento (E.T. e il Generale Zod d’altronde sono sempre in agguato) invece di spendere miliardi di euro per risistemare un’economi andata ben oltre il collasso.

Ben lontano dalla crude atmosfere di Fair Game (2010, di Doug Liman con Sean Penn e Naomi Watts) basato sulla storia vera di Valerie Plame e del cosiddetto CIA-gate del 2003, nel film di Pollack, a dispetto di una fragile e nauseabonda patina buonista, non vince né la diplomazia né tanto meno la pace. Perdono entrambe. E la "verità" emessa nel tag-line appare solo per far sentire meglio pochi eletti. E continueranno a essere in pochi a potersela permettere.

E se l’interprete se ne torna (obbligata) nella natia Africa comunque soddisfatta della svolta dei propri demoni del passato, quanti dei suoi giovanissimi fratelli di colore rimarranno con gli AK47 in mano? Ancora troppi. E causa primaria di quella povertà senza ritorno sono proprio gli ex-datori di lavoro di Silvia, che a vitrea distanza da quanto succede nel mondo, continueranno a fare i soli interessi di chi detiene il monopolio. I loro.

Saprete anche dire pace in 6 o più lingue cari signori dell’ONU, ma la teoria che riempie la pancia è solo un privilegio dei benestanti. Ciak, l’incubo continua.

The Interpreter - l'agente Tobin Keller (Sean Penn) e la collega Dot Woods (Catherine Keener)

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