di Luca Ferrari
Visionario. Forse anche troppo. Per un uomo che si risveglia o almeno tenta (Christoph Waltz), un esercito silenzioso annuisce pedalando. Ingranaggio sostituibile di un meccanismo che avanza comunque. Dopo le recenti sfide diaboliche di Parnassus, ci sono ancora specchi magici nella sceneggiatura di Terry Gilliam.
Ma come un fulmine a ciel sereno, se le telecamere sparse ovunque fingono di rappresentare una prigione, a ben guardare, sono le nostre costanti paure ad appesantire la nostra andatura onirica. Tutto il resto, dalle comunicazioni artificiali ai deus ex machina padronali (fantastico Matt Damon), sono solo condizioni passeggere.
Il vuoto cromatico capace di crescere e avvolgerci in reti inestricabili è l’insieme di quelle risposte che non vogliamo darci, e che vorremmo fossero altri a fornirci in modo da avere un destino su misura da incolpare o decantare a seconda delle aspettative sopraggiunte. Teoria Zero come Punto di partenza o del Non ritorno? La facile filosofia da rivista popolare direbbe che sono entrambe lo stesso elemento. Ecco perché alla fine anche il più subnormale dei giochi illusori può essere rotto con la fragilità della materia più blanda.
Il suicidio dei plurali ci riguarda tutti ma sono in pochi quelli in grado di non farsi trascinare in inconcludenti trenini con binari fatti di cuscini e qualche poster multimediale dove far passare tutti i nostri inconfessati bisogni di vicinanza ed effusione. Facendo un rapido controllo e connessione, è già ora che si spalanchi un’altra porta.
Esco dal mondo per impartire una lezione all’ignoto ma scopro che altro non è che l’anticamera di un posto che mi ha accolto ma non ho mai visitato. Sono contrito nel visualizzare l’acqua gelida che insegue la mia maschera da giullare rosso. A qualcuno tutto ciò potrebbe risultare infondato e poco in linea con le curve diritte al quale ci si è affidati. E da questo deduco che laggiù noi di certo noi non c’incontreremo.
The Zero Theorem (2013), di Terry Gilliam |
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