I quattro protagonisti di Dobbiamo parlare |
di Luca Ferrari
Due coppie, una stanza. Quattro amici, due relazioni. Linda (Isabella Ragonese) e Vanni (Sergio Rubini) convivono. Più navigati, entrambi con figli dai precedenti matrimoni ma ormai separati in casa Alfredo (Fabrizio Bentivoglio) e Costanza (Maria Pia Calzone). La scoperta di un tradimento apre il classico vaso di Pandora facendo venire a galla anche gli (altri) scheletri più insospettabili. Ad appena due anni da Mi rifaccio vivo, Sergio Rubini torna dietro la macchina da presa per dirigere (e interpretare) Dobbiamo parlare.
Una sera come tante spalanca le porte dell'inferno più dolorosamente amichevolo-sentimentale. Vanni e Linda, rispettivamente scrittore e ghost writer, stanno per andare a una mostra del pittore Basquiat insieme al proprio editore, quand'ecco piombargli in casa l'amica Costanza, di professione dermatologa, fuori controllo dopo aver scoperto che il marito, rinomato cardiochirurgo, la tradisce. Tempo pochi minuti e arriva paonazzo anche l'esagitato Alfredo.
Ha inizio così una lunga nottata dai rancorosi sviluppi dove tutti attaccano tutti e l'alba non disegnerà necessariamente un futuro migliore. Col passare delle ore gli arbitri si levano la casacca e prendono posizioni sempre più marcate fino ad abbandonare la rassicurante strada della neutralità affrontandosi l'un l'altra su questioni irrisolte e più personali, lasciando così i due originali litiganti riposarsi (un po’) in panchina.
Infine ci sono anche i due attori non protagonisti. Due pesci rossi. Uno per boccia. Uno di Vanni e Linda, l'altro dei vicini. Emblema di una incomunicabilità forzata. Emblema di un non-contatto imposto. Eppure basterebbe così poco perché tutto (ri)cominciasse. Sarebbe sufficiente che qualcuno trasferisse l'uno nello spazio dell'altro.
È impossibile guardare Dobbiamo parlare senza ripensare a Carnage (2011) di Roman Polanski. Alla stregua del collega polacco, Rubini sceglie ottimi protagonisti con un Bentivoglio grandiosamente burino, ma non cinico come il “carnagiano” Alan Cowan (Christoph Waltz). Al contrario Costanza è più letale della pacata Nancy (Kate Winslet). Se Linda appare l'anello debole della compagnia in linea con Penelope Longstreet (Jodie Foster), a dispetto delle proprie debolezze, Vanni non ha comunque il caratteraccio di Michael (John C. Reilly).
Sentimenti ma non solo. In ogni buona litigata italiana che si rispetti c'è sempre un po' di politica (vedi anche il remake italiano Il nome del figlio, 2015, di Francesca Archibugi). Vanni e Linda sono di Sinistra, o comunque votano per il Partito Democratico (non è proprio la stessa cosa). Costanza e Alfredo sono per una non troppo definita Destra dove l’ostentazione del benessere è lo status ideale senza tante ideologie di mezzo. Alfredo però è un gran lavoratore. Come suole ripetere all'infinito, si sveglia ogni giorno alle 5,30 del mattino e sgobba come un mulo.
Borghesia e opulenza a confronto. Costanza ha un abbigliamento rigido. I suoi occhi lanciano saette. Pretende di avere sempre ragione. È incapace di guardarsi per davvero allo specchio. Alfredo incassa ma non barcolla più di tanto. Più popolano di quanto si pensi, snocciola pensieri e parole dall'alto di una grossolanità da borgata che lo rende il più umano dei quattro..
Vanni e Linda sono più composti. Come una perfetta metafora, vivono in centro Roma ma la casa ha qualche difettuccio che continuano a trascurare. A tratti intimoriti dai loro amici, non sanno mai dirgli di no. La loro forza è un tacito accordo. Lei è più giovane di lui. Ha il terrore dei gatti. Parla piano. Trasmette fragilità. A dispetto di una certa ingerenza del portinaio, Vanni non la difende mai. Troppo impegnato a scrivere per capire i veri bisogni della sua metà.
Le discussioni sono pericolose. Possono far emergere segreti e ridisegnare del tutto i rapporti, mettendo in evidenza crepe fino ad allora cementate sotto una morbida e ben accetta malta di facciata. Tanto nella finzione come nella realtà sta ai protagonisti decidere quali carte scoprire e ripartire da lì. O magari troncare di brutto e cominciare una nuova vita. Tutti a questo mondo dobbiamo parlare di più. L’alternativa è una finzione di comodo col tempo cancro dirompente della vita relazionale.
Per un regista italiano nato e cresciuto in una cultura che troppe volte si lascia sedurre dal piagnisteo e un fantomatico fato riparatore, Dobbiamo parlare non era un film facile da trattare. Rubini al contrario regala rabbia e risate senza cadere nella miseria umana. I quattro protagonisti si feriscono, sbattono le porte e arrivano anche alle lacrime, scegliendo la strada della recriminazione più sfrenata. Allo stesso modo non c'è pietismo né un stupido affidarsi al volemose bene. Dopo aver parlato e ammesso taciute verità, è tempo di scegliere. Qualcuno magari lo farà. Qualcun altro si accontenterà. Nella vita come in Dobbiamo parlare (2015,di Sergio Rubini).
Dobbiamo parlare - Linda (Isabella Ragonese), Alfredo (Fabrizio Bentivoglio) e Vanni (Sergio Rubini) |
Dobbiamo parlare (2015, di Sergio Rubini) |
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