Untitled, di Stanley Kubrick |
di Luca Ferrari, ferrariluca@hotmail.it
giornalista/fotoreporter – web writer
Un’anziana guarda il mare. La sabbia cerca il primo piano. Navi all'orizzonte. Il sole sembra già alto e caldo. Le mani quasi in forma di preghiera. I volti scavati della gente. Guardano in tutte le direzioni. Una barca scrostata di qualche pescatore rientrato, con lo scafo puntato verso l’oceano. Iniziava così la mostra Stanley Kubrick Fotografo, quando il futuro regista neo-assunto per la rivista Look immortalò tra il 1945 e 1950 spaccati di vita quotidiana.
Dal 28 agosto al 14 novembre 2010 si è tenuta a Venezia, all’Istituto Veneto di Scienze Lettere e Arti nella sontuosa cornice di Palazzo Cavalli Franchetti, un’esposizione di scatti realizzati dal futuro regista di (tra gli altri) Arancia meccanica (1971), Shining (1980) e Eyes Wide Shut (1999). Un percorso fatto di 200 immagini con davanti a me le immagini immortalate su pellicola di un giovane diciassettenne che di lì a poco avrebbe iniziato a scrivere indimenticabili pagine di cinema.
Stanley Kubrick era un ragazzo come tanti altri. Al collo ha una macchina fotografica. Inizia a raccontare il mondo. Inizia a fissarlo. Corteggiarlo. Dalle spiagge portoghesi ai lustrascarpe di Brooklyn. Dal prezzo della libertà a spaccati della Columbia University. Il circo, la diva Betsy von Fürstenberg, il paddywagon (il cellulare della Polizia Penitenziaria), la città degli orfani e il jazz.
Inizio con sguardi veloci. Voglio vedere il bianco e nero entrare e uscire dai miei occhi. Pochi minuti, e ricomincio dall’inizio. La quiete dopo una tempesta di lampi, ma le pellicole brontolano ancora. Rimbombano. Oracoli in attesa di far conoscere le proprie rivelazioni. Ma per farlo, devo ascoltarmi. Traduco la mente in tante pagine bianche, lasciando che le foto lentamente mi entrino dentro.
Sono passati pochi attimi. C’è una coppia di americani nel Dopoguerra in viaggio in Lusitania. Li interpreto in luna di miele. S’incrociano sotto architetture, e al caffè. Teiere davanti. Sono sulla strada. Di spalle due bambine col vestito della festa. La strada ciottolosa. Sembra una scenografia. E queste due sorelline potrebbero rappresentare il futuro della coppia. Il desiderio di avere figli.
Inizio con sguardi veloci. Voglio vedere il bianco e nero entrare e uscire dai miei occhi. Pochi minuti, e ricomincio dall’inizio. La quiete dopo una tempesta di lampi, ma le pellicole brontolano ancora. Rimbombano. Oracoli in attesa di far conoscere le proprie rivelazioni. Ma per farlo, devo ascoltarmi. Traduco la mente in tante pagine bianche, lasciando che le foto lentamente mi entrino dentro.
Sono passati pochi attimi. C’è una coppia di americani nel Dopoguerra in viaggio in Lusitania. Li interpreto in luna di miele. S’incrociano sotto architetture, e al caffè. Teiere davanti. Sono sulla strada. Di spalle due bambine col vestito della festa. La strada ciottolosa. Sembra una scenografia. E queste due sorelline potrebbero rappresentare il futuro della coppia. Il desiderio di avere figli.
Cambio sala, e salgono in cattedra i lustrascarpe davanti al vecchio chiosco di hot dog di Brooklyn. Uomini eleganti li osservano. Un giovane lustrascarpe è fermato nell’ammirare la locandina di un film davanti al cinema. Poi è su. All’ultimo piano di un palazzo, con i piccioni. Aldilà della facile simbologia della libertà, è il suo sguardo concentrato sul volo che incanta. Ci proverà anche lui. Di sicuro. Con la vita.
E quando nella foto successiva rivedo il giovanissimo con i guantoni da boxe, sembra un promemoria della sua esistenza. Un combattente. Un giovane racconta i giovani. Il mondo universitario. Una ragazza nella foto grande scende dalla scalinata con pesanti libri e fogli di appunti che escono. Nella città dei ragazzi una bambina si allunga per toccare il muso di un alce. Il mondo dentro e fuori il furgone penitenziario. E la scritta nel retro del mezzo: Danger, keep 20 feet distance (Pericolo, tenersi a 20 piedi di distanza).
Kubrick apre le porte del circo. Superamento di confini. Assenza di tabu. Il tendone della vita quotidiana. Spettacoli dal vivo. Il bambino tocca la faccia divertita di un clown.
E quando nella foto successiva rivedo il giovanissimo con i guantoni da boxe, sembra un promemoria della sua esistenza. Un combattente. Un giovane racconta i giovani. Il mondo universitario. Una ragazza nella foto grande scende dalla scalinata con pesanti libri e fogli di appunti che escono. Nella città dei ragazzi una bambina si allunga per toccare il muso di un alce. Il mondo dentro e fuori il furgone penitenziario. E la scritta nel retro del mezzo: Danger, keep 20 feet distance (Pericolo, tenersi a 20 piedi di distanza).
Kubrick apre le porte del circo. Superamento di confini. Assenza di tabu. Il tendone della vita quotidiana. Spettacoli dal vivo. Il bambino tocca la faccia divertita di un clown.
Le immagini sono un crescendo prospettico. Ordinate e anarchiche. Gli spettatori si soffermano. Guardano più e più volte la medesima foto da distanze e posizioni diverse. Ognuno trova quella che gli somiglia di più. Una ragazza con un silenzioso foulard viola indugia davanti alle immagini circensi. Anche lei è una foto in quel momento, e io non posso che provare a divincolarmi nei labirinti di pensieri che la sento sprigionare in tutta la sua attenta analisi solitaria.
Guardo Betsy von Fürstenberg. Con il copione stretto al seno. Stanley riesce a fermare il momento. Kubrick ne coglie il doppio movimento. Con gli occhi chiusi, nell'atto dello sforzo mnemonico d’imparare le battute. E con la mano destra che carezza il cane. Lei è lì. Seduta sulla finestra. Con sotto la città, e il mondo che vuole conquistare e stupire con le sue interpretazioni. Ci riuscirà lei. Ci riuscirà lui. Ci riuscirò io?
Guardo Betsy von Fürstenberg. Con il copione stretto al seno. Stanley riesce a fermare il momento. Kubrick ne coglie il doppio movimento. Con gli occhi chiusi, nell'atto dello sforzo mnemonico d’imparare le battute. E con la mano destra che carezza il cane. Lei è lì. Seduta sulla finestra. Con sotto la città, e il mondo che vuole conquistare e stupire con le sue interpretazioni. Ci riuscirà lei. Ci riuscirà lui. Ci riuscirò io?
Stanley Kubrick, Portogallo (1948) |
Stanley Kubrick, Autoritratto |
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